Mi sembra il comandamento più difficile!


“Al mio cane manca solo la parola” mi hanno detto in tanti. “È come un parente”.
A volte, sembra che gli animali ragionino, ma, in realtà, fra loro e gli umani ci sono due grosse differenze: la ragione e la parola.

La capacità di ragionare, di formulare pensieri astratti, di coordinare i propri pensieri, proponendo e scartando varie ipotesi e addirittura arrivando alla creazione di nuovi concetti, appartiene solo all’uomo e questo lo rende somigliante al suo Creatore.

Ma poter ragionare non basta. La ragione ha bisogno di esprimersi e di comunicare il proprio pensiero, trasmettere e confrontare le proprie conclusioni e idee con quelle del prossimo. E così l’uomo è dotato dello stesso meraviglioso dono che Dio stesso usa per farsi conoscere: la parola.

Qual è, allora, la perversione più grande, l’abuso più brutto che l’uomo possa fare di questa sua meravigliosa capacità che lo assomiglia a Dio? È mentire, affermare il falso.

La Bibbia dichiara che “Dio non può mentire” e che è incapace di usare la sua ragione per ingannare. D’altro canto, come ha dichiarato Gesù, il diavolo “non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando parla dice il falso, parla di quel ch’è suo perché è bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8:44).

Non c’è da meravigliarsi, allora, che il nono comandamento dato da Dio a Mosè sul monte Sinai, dica: “Non attestare il falso contro il tuo prossimo” (Esodo 10:16). Mentire significa mettersi apertamente dalla parte di Satana. Significa negare il senso della propria umanità, creata per esprimere la verità.

Gesù ha detto rivolgendosi al Padre: “La tua parola è verità” (Giovanni 17:17) e ha dichiarato che ciò che Dio dice è sempre vero e esprime il suo carattere. Lo stesso è per noi. Le nostre parole rispecchiano ciò che siamo. Se dico cose false significa che sono disonesto. Se non sono sincera, dimostro di essere ipocrita. Se la mia lingua è tagliente, vuol dire che sono crudele. Se dico cose ambigue, sono poco limpido. Se alzo la voce per avere ragione, sono prepotente.

“Non attestare il falso”, significa non dire bugie, neppure a fin di bene. A volte sembra di ferire dicendo la verità, ma la verità detta con amore non ferisce, piuttosto guarisce. A parte il fatto che una  bugia deve essere sempre coperta da un’altra bugia, per cui non si sa più dove si va a finire.

Allora, come si fa a non trasgredire a questo nono comandamento? È difficile, ma c’è qualche indicazione utile.  

La prima è così evidente che sembra banale. Dire sempre la verità, come dice la lettera scritta da Paolo ai credenti di Efeso e non dire niente di cui non si è sicuri: “Bandita la mezogna, ognuno dica la verità al suo prossimo” (4:13).

Questo riguarda specialmente le calunnie e i pettegolezzi, che sono troppi in tutti gli ambienti. Se pensi, immagini, hai sentito qualcosa di negativo su qualcuno, tienilo per te. Anche se è forse vero, non serve a niente propagarlo.  

Un giorno, un giovane andò a chiedere perdono a una persona anziana, di cui aveva detto molto male. Fu perdonato.

Poi il giovane chiese come poteva rimediare. “Vieni con me” gli disse il vecchio, che si mise sotto il braccio un cuscino pieno di piume.

I due andarono su una terrazza molto alta e il vecchio lasciò andare libere le piume del cuscino, che volarono nel vento.

“Queste piume sono come le tue parole” disse. “Se tu potessi raccoglierle tutte, potresti rimediare al male che hai fatto. Le tue parole sono andate ovunque”. Una lezione molto chiara e terribilmente umiliante.

La seconda cosa importante è parlare poco, pesando quello che si dice. Si parla troppo a vanvera e senza pensare alle conseguenze. A volte si fanno delle battute cattive solo perché suonano spiritose. Gesù ha ammonito: “Di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; perché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:36,37). Un ammonimento che dovrebbe tenerci tutti sull’attenti.

Terza cosa: parlare con semplicità e schiettezza. “Sia il vostro parlare sì, sì e no, no. Il di più viene dal maligno” ha detto Gesù (Matteo 5:37). Non usare rigiri ambigui di parole,  metafore o paradossi. “Parla come mangi” dicevano i vecchi, una volta, quando qualcuno non si spiegava chiaramente. Usare parole chiare non crea malintesi.

Quarta cosa: non dire necessariamente tutto quello che si sa, anche se è vero. A volte, può essere crudele, altre volte, può essere una profonda sciocchezza.

Quinta cosa: pregare ogni giorno, come il Salmista, che diceva: “Signore, metti una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra” (141:3).

Ho detto che questo è il comandamento più difficile e solo Dio ci può aiutare a tentare di ubbidirlo. Ma, soprattutto, ringraziamolo che la sua salvezza è per grazia e non per opere. Altrimenti non so per voi, ma io non avrei speranza...

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Attenti al ladro...cinio


“Signora, le devo dire una cosa spiacevole: suo figlio ruba...” mi ha detto la maestra.

È successo quando i figli erano alle elementari e ci sono rimasta di sasso. Possibile che un figlio di credenti, servitori del Signore, potesse fare una cosa simile? Eppure gli avevamo insegnato il rispetto per le cose degli altri.

Il problema è stato risolto col solito procedimento di quando c’era una qualsiasi mancanza: confronto, confessione, punizione, perdono e, nel caso di appropriazione indebita come si dice in linguaggio giudiziario, restituzione del maltolto e richiesta di perdono alla persona offesa. Dopo il procedimento, non se ne parla più. Se si tratta la cosa con molta serietà e fermezza, di solito il furto non si ripete.

L’ottavo comandamento dice chiaramente: “Non rubare”.

Di furti sentiamo parlare tutto il tempo. Sembra diventata una prassi normale negli uffici, nei ristoranti, nelle scuole, sui mezzi di trasporto. Si ruba ogni volta che si presenta l’occasione propizia e quando si ha l’impressione di passare inosservati. E chi ruba per uno scopo giusto (per esempio se ha fame) è scusato dalla società.

Dio è padrone di ogni cosa e dà il diritto all’uomo di possedere ciò che compra, guadagna o riceve in regalo. Dio ha anche detto che chi trasgredisce l’ordine stablito da Dio deve essere punito. È interessante leggere nell’Antico Testamento molte minuzie legali del popolo d’Israele, particolarmente riguardo ai pesi falsi per i commercianti e le bustarelle per i magistrati.

Cosa significa “non rubare”? Prima di tutto, non prendere la roba degli altri. Giacomo parla molto severamente dei padroni che rubavano il salario ai dipendenti e trattavano male gli schiavi. L’apostolo Paolo dice che chi rubava, prima di convertirsi a Cristo, non deve rubare più, anzi deve lavorare per poter aiutare chi è nel bisogno e, scrivendo al suo collaboratore Tito, biasima con energia i lavoratori che frodano i loro padroni.

Si può anche rubare a Dio, non dandogli quello che gli è dovuto, Nel capitolo 3 del Libro di  Malachia, Dio lo dice chiaro e tondo per bocca del profeta: “Voi siete colpiti di maledizioni, perché mi derubate” (v. 9). Nell’Antico Testamento come nel Nuovo, Dio non richiede soltanto l’adorazione delle sue creature, ma vuole anche riconoscenza per tutte le benedizioni che esse ricevono giornalmente. Questa riconoscenza si esprime sia per mezzo di offerte fatte per sostenere l’opera di propagazione della Parola di Dio sia per aiutare chi è nel bisogno. Chi non dona generosamente (nell’Antico Testamento Dio richiedeva la decima parte di ciò che uno possedeva e guadagnava) è considerato ladro da Dio. 

È un pensiero allarmante che dovrebbe spingerci a pensare come ci vede Dio, quando spendiamo per noi stessi comprando cose inutili o superflue, e trascuriamo ciò che Lui considera importante. Oggi Dio non richiede tassativamente la decima, ma certo vuole che i suoi figli siano generosi. C’è chi dovrebbe vergognarsi di dare solo la decima!

Un nostro amico diceva: “Quando apri gioiosamente il portafogli, è segno che sei un vero credente” e aveva ragione. Troppe opere missionarie sono in difficoltà perché chi potrebbe donare per sostenerle non dona. Troppi credenti (e non credenti) sono nel bisogno, mentre altri  vivono nell’abbondanza.

Il segreto per usare bene il proprio denaro si trova nella Bibbia, che ha una parola precisa su ogni argomento: “La vostra condotta non sia dominata dall’amore per il denaro; siate contenti delle cose che avete, perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così noi possiamo dire con piena fiducia: «Il Signore è il mio aiuto, di chi temerò. Che cosa potrà farmi l’uomo?» (Ebrei 13:5,6).

Chi si affida al Signore per i suoi bisogni presenti e futuri è una persona felice. Lavora, dona e fa del bene alla sua famiglia e al prossimo. In fondo, il credente è l’unica persona che la possibilità di non rubare, perché il Signore lo aiuta a non cadere davanti alla tentazione. Bello, vero?
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Non commettere adulterio: una scelta


È possibile che un credente possa disubbidire a questo comandamento e che marito e moglie possano tradire le promesse di fedeltà fatte davanti a Dio? Certamente succede. Il fatto che la Bibbia contenga tante esortazioni alla fedeltà coniugale indica che Dio conosce molto bene la fragilità delle sue creature, anche se dichiarano di amarlo.

Quali sono i segnali di pericolo o i motivi di questo tipo di infedeltà? È chiaro che l’infedeltà non capita per caso né per destino. È sempre il risultato di un processo (spesso inconscio) e poi di una scelta. Il processo, di solito lungo, è composto da varie combinazioni, come stanchezza, trascuratezza, noia, offese non risolte. Il campanello d’allarme e composto di solito da due elementi: l’incapacità fra coniugi di comunicare liberamente e tranquillamente l’uno all’altro i propri sentimenti e le possibili insoddisfazioni, senza sfociare in una litigata, e la diminuzione continua del numero e della qualità dei rapporti intimi sessuali.

L’apostolo Paolo ha scritto e insegnato che, nella normalità, i rapporti sessuali fra coniugi, per evitare il pericolo di tentazioni e tradimenti, dovrebbero esser frequenti e mutuamente soddisfacenti. Il marito o la moglie che si sottraggono a questo impegno d’amore non soltanto feriscono profondamente il loro matrimonio, ma probabilmente rivelano che il loro matrimonio è già seriamente ammalato. E, molto spesso, aprono la strada verso l’infedeltà.

È stato Gesù che ha rivelato che l’infedeltà matrimoniale non è necessariamente quella fisica. Ha detto che “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5:27). Lo stesso si può dire anche di una donna che fantastica di unirsi con un altro uomo che non è suo marito.

L’infedeltà è, dunque, il risultato di un lungo processo, più o meno inconscio. E poi di una scelta. Basta una lontananza da casa, un’occasione inaspettata in cui il tradimento potrebbe essere nascosto, oppure la vicinanza giornaliera con una persona simpatica e comprensiva, magari una collega o un collaboratore. E il pensiero inconscio diventa una spinta quasi incontrollabile.

Però l’adulterio è sempre anche il risultato di una scelta. Molti lo negano e, appunto, parlano di attrazione fatale, irresistibile, travolgente per cui vale la pena bruciare tutti i ponti col passato. Ma la voce di Dio, che tu sia credente o no, sconvolge ogni ragionamento. Egli, nella sua onniscienza, ti dice forte e chiaro, per il tuo bene: “Non commettere adulterio!”.

La scelta è sempre tua. Nessuno ti può forzare a disubbidire a Dio. Sei tu che scegli.

Ma se hai già commesso adulterio, che fai? Se hai disubbidito, non cercare scuse e giustificazioni. La colpa è tua e Dio ti offre il suo perdono. Sia che tu lo abbia commesso nei fatti o solo col pensiero, devi confessare il tuo peccato al Signore e abbandonarlo, senza cercare e, naturalmente trovare, “se” e “ma”. L’unico modo per vincere la tentazione è fuggire da essa, darle un taglio netto.

Poi, corri a riparare le brecce nel tuo matrimonio. Esaminati senza pietà: dove sono le tue colpe e le tue mancanze? Nella trascuratezza? Nell’egoismo? Nel rifiuto di perdonare? Nella durezza nel trattare tua moglie o marito? Nel rifiuto di chiedere perdono? Nella critica? Nel rifiuto di comunicare francamente e apertamente?  Nel rifiutare le relazioni sessuali frequenti e di mutua soddisfazione? Ricorda che le peggiori cattiverie, sia da parte femminile che maschile, si fanno proprio in camera da letto. 

Il settimo comandamento dichiara che Dio è sovrano anche della tua vita sentimentale, della tua vita sessuale, della tua vita famigliare. Lo è?

Adesso, vi devo una confessione. Questo post, che esprime esattamente quello che penso, non è farina del mio sacco. È farina di Guglielmo, mio marito, e io l’ho ricavato da un suo articolo scritto nel 1979 nel nostro mensile La VOCE del VANGELO. 
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L’ attrazione fatale esiste?


“Non lo amo più, forse non l’ho mai amato” mi ha detto Camilla, una giovane donna sposata da poco più di un anno. “Non sento più niente per lui. Anzi, quasi mi disgusta”.

“Ma quando lo hai sposato sembravi impazzita di gioia...”

“Era la gioia della festa, del vestito bianco, di tutti che dicevano che ero una meraviglia. Mi sono sbagliata. La vita da moglie non fa per me. Lo lascio.”

“Ma non c’è mica un altro?” ho chiesto senza girare troppo attorno al soggetto.

“C’è un collega molto gentile... è tutto diverso da Diego ...”

“Ci vai a letto?” ho insistito.

“Non ancora, ma...”

“Ma che cosa?” ho continuato.

“Ma mi piacerebbe” ha ammesso con una faccia dura e trasognata al tempo stesso. “Si parla tanto di attrazioni fatali... forse mi è capitata...”

Il matrimonio di Diego e Camilla è andato a pezzi, come mille altri, anche se tutti e due si erano dichiarati credenti.

Secondo me, non si tratta di attrazione fatale, ma di  pura stupidità e incoscienza. Oggi si entra nel matrimonio con la riserva mentale che, se la cosa non va, si può sempre cambiare. Lo fanno gli artisti, gli attori e gli sportivi. Perché non posso farlo io? Sulle riviste non si parla quasi di altro e il gossip fa tanto “in”... Si vede che è normale!

In più, psicologi e cosiddetti esperti dicono che è normale voler provare nuove esperienze. Mica si può stare una vita con lo stesso uomo e con la stessa donna. A un certo punto, la noia subentra e ci vogliono nuovi stimoli.

Dio, che è molto più savio degli psicologi, nel settimo comandamento ha scritto categoricamente: “Non commettere adulterio”. Egli sa che il matrimonio è una sua meravigliosa invenzione e che gli uomini non sono come gli animali che sono programmati, sempre da Dio, secondo la loro specie e si accoppiano per istinto quando si avvicinano a una femmina in calore.

Per gli uomini, Dio ha creato un piano molto più alto. Li ha fatti a sua immagine e somiglianza con un’anima, una mente, una volontà e la capacità di amare e scegliere, oltre che di un corpo dotato di organi sessuali.

Ha dato agli uomini la possibilità di conoscerlo come Creatore e di sottomettere a Lui, come Signore, impulsi e i sentimenti. Anche quelli che riguardano la sessualtà. Chi lo crede, sperimenta che è possibile, bello e soddisfacente unirsi con una persona del sesso opposto, per diventare con lei un tutto unico: anima, corpo e spirito, rimanendole gioiosamente fedele per tutta la vita. Proprio come Dio ha stabilito subito dopo aver creato la prima coppia.

Il peccato ha rovinato il disegno perfetto di Dio, è vero, ma la gioia e la perfezione di questo disegno possono essere ancora realizzati, almeno in parte. Come?

Per cominciare, bisogna avere la ferma convinzione che Dio sa meglio di noi quale sia il nostro vero bene, che ha rivelato nella sua Parola. Senza una scelta dell’autorità a cui si vuole ubbidire, non si va da nessuna parte. Questa autorità deve essere la Parola di Dio.

Oltre a questa convinzione della mente, che secondo me è essenziale, ci vuole anche una gioiosa, onesta e realistica accettazione del piano di Dio. L’unione di due persone diverse (e con la tendenza a peccare) non è automatica né istantanea. Bisogna lavorarci.

Durante questo processo di adattamento, è di grande aiuto l’impegno costante a ubbidire a Dio, unito alla determinazione a fare del bene al proprio coniuge, mettendo da parte egoismi, preconcetti e idee ereditate dalla propria famiglia e derivanti dalla propria preparazone e educazione. Manie e puntigli devono essere messi da parte.

Infine, un ultimo elemento importantissimo: si deve decidere di rimanere fedeli, a qualsiasi costo, al proprio coniuge e, assolutamente, di trovare un accordo con lui o con lei. Sarà, a volte, un processo faticoso di dare e di ottenere, di proporre e di cedere, di parlare e capire, ma sarà come mettere insieme un magnifico puzzle, giorno per giorno, “finché morte non ci separi”.

Dato che il matrimonio è un progetto così meraviglioso, l’adulterio è il più grande crimine contro la propria felicità e soddisfazione che uno possa commettere.

Ma perché, allora, ci sono tanti tradimenti, dispiaceri e separazioni? Perché si sfasciano anche tanti matrimoni fra credenti? Le cosiddette “attrazioni fatali” ci sono o non ci sono?

Ne parliamo la prossima volta.
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Non commettere omicidio


“Se è una legge dello stato non può essere una cosa sbagliata” mi ha detto una ragazza che mi parlava della sua vita “sessualmente attiva”, come si chiama eufemisticamente quella che la Parola di Dio chiama fornicazione. Mi diceva anche che, in caso di un “incidente”, c’era sempre l’aborto. Ho cercato di parlarle del dolore e del rimorso di alcune donne che avevano abortito e che si erano confidate con me. Per non parlare del comando di Dio molto chiaro di non commettere omicidio. Spero che mi abbia ascoltata.

Sempre in materia di aborto, una delle mie nuore, cinque anni fa, ha scoperto di essere incinta. Era in un’età in cui di solito non si hanno più bambini e i dottori che l’hanno visitata, erano concordi: “Signora, è rischioso... almeno facciamo l’amniocentesi... le probabilità che non sia normale sono molte... lei rischia...”. Per fare la storia breve, dopo nove mesi, è nata la bambina più carina, sana, intelligente e felice che si possa immaginare. Molti dottori dovrebbero mettersi un po’ più la mano sulla coscienza, quando danno certi consigli e rendersi conto che sono dei carnefici.

Il sesto comandamento ordina senza mezzi termini di non commettere omicidio. Il che comprende molte altre cose.

Chi fuma uccide se stesso e chi gli sta vicino. Chi inquina il terreno o l’atmosfera, uccide. Chi non cura il proprio corpo, mangiando e bevendo troppo, si uccide.

Chi non cerca di prevenire malattie e disgrazie per sé, per la sua famiglia e i suoi dipendenti, chi si mette scioccamente in pericolo, è un potenziale omicida.

Ma la lista non finisce qui. Ci sono anche quelli che uccidono moralmente e spiritualmente, col sorriso e lo sguardo benevolo. Sì, sono i religiosi che illudono la gente dicendo che basta fare il bene e che Dio chiuderà un occhio su tutto il resto. Quelli che dicono “aiutati che Dio ti aiuta”, che affermano “vogliamoci bene, non ha importanza in che dio crediamo”, “c’è del buono in tutte le religioni e basta essere sinceri”, “tutte le religioni portano a Dio”.  

I maghi e le chiromanti uccidono, ingannando la gente e aiutandola a confidare in potenze occulte. Gli atei uccidono, negando Dio e proclamando, in ogni occasione possibile, che Dio non c’è e facendosi beffe di chi ci crede.

Però, in un certo senso, spesso siamo anche noi degli omicidi agli occhi di Dio. Se non ci credi, ascolta il Signore Gesù: “Chiunque si adira contro al suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello «stupido» sarà sottoposto al Sinedrio, e chi gli ha detto «pazzo» sarà condannato alla geenna del fuoco (cioè l’inferno) (Matteo 5:32). Gesù afferma ancora: “Dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (Matteo 15:19).    

La collera, l’odio, l’orgoglio, la voglia di vedere morto qualcuno sono la dimostrazione del marcio che c’è nel nostro cuore, anche se non abbiamo mai ucciso materialmente o rubato una banca. Dimostrano che siamo bacati, peccatori, colpevoli. E la paga del peccato è la morte, dice la Bibbia.

La nostra unica speranza è accogliere e accettare il favore immeritato della grazia di Dio, offerta da Colui che non ha mai peccato, ma è stato “fatto peccato per noi” e ha subito la morte che meritavamo al nostro posto.  Ci credi?
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55 ANNI!


Fateci le congratulazioni. Oggi, Guglielmo ed io festeggiamo il nostro 55.o anniversario di matrimonio! Sì, siamo ancora insieme e stiamo facendo piani per il futuro.  

Abbiamo parlato, la volta scorsa, del quinto comandamento. Riprenderemo col sesto la volta prossima, ma oggi voglio dirvi i nostri due segreti, anzi tre, che ci hanno aiutati a avere un matrimonio felice.

Il primo segreto è: “Uno per l’altro e tutti e due per il Signore”.

Quando ci si unisce col desiderio profondo di fare piacere a Dio e alla persona che abbiamo scelta (Guglielmo ci ha pensato ben sei anni prima di scegliermi ufficialmente; io un po’ meno!), molti ostacoli si superano facilmente.

E ostacoli e problemi ce ne sono, soprattutto nei primi anni (o mesi) di matrimonio. Chi mi dice di non averne avuti, almeno agli inizi del matrimonio, o è scemo, o ha perso la memoria o mi dice una bugia. È normale che ci sia un periodo di rodaggio, di adattamenti e di scricchiolii. Due persone diverse, con preparazione e background diversi, per forza scopriranno, nel compagno della vita o nella compagna, dei lati sconosciuti. Tanto più che, durante il fidanzamento, ognuno mostra il suo lato migliore.

Questo porta al secondo segreto.

Si deve DECIDERE che si andrà d’accordo. È inutile impuntarsi come capre.

Una volta cede uno, un’altra volta cede l’altro. Ma un accordo si deve e si può trovare. E più si va avanti con questo atteggiamento, meno si deve decidere, perché, piano piano, ci si trova tutti e due sempre più sulla stessa lunghezza d’onda.

Terzo segreto importantissimo.

Non lasciare mai dei crucci, dei dispiaceri, delle offese, dei malintesi senza una spiegazione, fatta allo scopo di mettersi d’accordo e NON di far valere la propria ragione. A me la parola “chiarire” piace poco, perché sa di intenzione di dimostrare di essere nel giusto. Preferisco l’idea del perdono reciproco, perché certamente ha una connotazione di umiltà. Per me, il perdono vero, genuino e reciproco è la chiave della riuscita di un matrimonio. Dio lo comanda e dice addrittura che il sole non deve tramontare sul nostro cruccio, perciò bisogna perdonarsi prima che il cruccio diventi rancore o voglia di rivincita. Guglielmo ed io ci siamo promessi che avremmo messo a posto tutte le incomprensioni, i dissapori e le offese, perdonandoci a vicenda, prima di chiudere la giornata, in cui si erano determinati. A volte abbiamo dovuto parlare a lungo e abbiamo anche pianto. Ma ha funzionato. Tutto qui.

La prossima volta che ci sentiremo tornerò a parlare dei comandamenti e, nello specifico, di quello che ordina di non uccidere. Non mi sembrava un argomento adatto in un giorno di anniversario, anche se penso che, qualche volta, mio marito si sarà sentito in sintonia con un suo amico che, riguardo al matrimonio diceva ridendo: “Non ho mai pensato al divorzio, ma all’omicidio, qualche volta, sì”! 
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Onore , amore o anarchia?


Oggi tocchiamo il quinto comandamento che parla dei figli e della loro relazione coi genitori. Un tema mica male per i nostri giorni di famiglie allargate (una bambina, tempo fa, mi ha detto che aveva due mamme e tre papà!. Non ho approfondito la situazione).

Sia come sia, la famiglia è sotto attacco come non mai. Engels, il teorico del marxsmo, ha detto: “È necessaria l’abolizione della famiglia monogama come nucleo economico della società” e una femminista impegnata nella lotta per l’emancipazione della donna ha dichiarato, tempo fa, che “la liberazione della donna non sarà acquisita senza l’abolizione del matrimonio”.

Engels e la femminista sono morti, ma le loro teorie si sono sempre più affermate. L’idea di una famiglia unita e ordinata è considerata superata e, addirittura, nociva.

Nel ’78, Guglielmo Standridge, mio marito, ha scritto sul mensile La VOCE del VANGELO un articolo sul quinto comandamento. Durante quegli anni di piombo, si contestava tutto e ovunque. Esattamente come oggi. Nelle scuole e nelle fabbriche, nelle piazze e nei parchi. Chi contestava sperava di cambiare la società. “Fate l’amore, non fate la guerra” era lo slogan. Sono passati più di 30 anni. La violenza e la contestazione oggi hanno  raggiunto proporzioni mondiali.  

Allora, Guglielmo scriveva: “Il quinto comandamento che Dio ha dato a Mosè e al popolo d’Israele, stabilisce la base per una società pacifica e armoniosa. Ubbidendo a questo comando, l’umanità godrebbe una pace sociale e un benessere che altrimenti sono impossibili. Eppure nelle scuole, nei partiti, nei movimenti sociali, negli scritti degli psicologi noi troviamo spesso un rifiuto del principio che Dio ha insegnato all’umanità per il suo proprio bene. Questo quinto comandamento dice: «Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il Signore, il tuo Dio ti dà» (Esodo 20:12).

“Dio si proclama sovrano della società e afferma il suo diritto di stablire le leggi morali e civili, per mezzo delle quali la società stessa potrà prosperare. Il nucleo della società è la famiglia e chiunque distrugge la famiglia distrugge la società e l’umanità stessa. Sceglie un’anarchia distruttiva”. Lo vediamo. La distruzione della famiglia oggi continua.

Il piano di Dio per la società prevede autorità, responsabilità, collaborazione che devono  cominciare nella famiglia. I genitori stabiliscono le linee di condotta per il bene della famiglia e i figli hanno la responsabilità di rispettarle. Dio ordina che i figli onorino i genitori e mette su loro una grossa responsabilità. La loro felicità dipende dal loro atteggiamento.

Osservando la società odierna, in cui c’è tutto fuorché il rispetto per i genitori, viene da chiedersi: il piano di Dio è fallito? La Parola di Dio dice di no e dice bene.

Adamo, il primo uomo, era stato creato perfetto, ma ha disubbidito all’unico comando che Dio gli aveva dato, ha peccato e il suo peccato si è esteso a tutti i suoi discendenti . Tant’è vero che, per cominciare, Caino, il primogenito di Adamo, ha ucciso suo fratello! Un brutto inizio.

Però, la cosa meravigliosa è che abbiamo un Dio che sa tutto. Egli sapeva da sempre che l’uomo avebbe disubbidito e da tutta l’eternità aveva previsto un rimedio, aveva stabilito un piano di salvezza, per mezzo del suo figlio Gesù. Egli era con Dio e era Dio, ma si è incarnato e, 2000 anni fa, sulla croce ha  pagato per tutti i peccati che sono stati mai commessi e li ha espiati. Ora offre gratuitamente all’uomo peccatore il rimedio che Lui ha acquistato a prezzo della sua vita e che può annullare il fallimento degli individui che compongono l’umanità.

Infatti, ogni individuo che crede di cuore in Lui, che si rende conto di essere un peccatore senza speranza e, senza pretese, gli chiede perdono, sperimenta un miracolo, una trasformazione. Gesù l’ha chiamato “nuova nascita” e ha detto categoricamente che è l’unico modo per poter vedere Dio, essere salvati e perdonati da Lui.  

Questa trasformazione interiore è la sola che potrebbe cambiare la società. Permetterebbe  di vedere un cambiamento radicale nelle famiglie. Darebbe a padri, madri, figli la capacità di vincere l’egoismo, di considerare il bene dei suoi cari più importante del suo, di collaborare con l’ubbidienza e il rispetto al bene della famiglia. Le famiglie diventerebbero un vero rifugio nelle difficoltà e un luogo di pace e benessere. Il Vangelo lo afferma.

Avete notato una cosa strana? Nel quinto comandamento Dio non ordina ai figli di amare i genitori, ma di onorarli. Come mai? Onorare i genitori sarebbe già un bel passo avanti, ma potrebbe ridurre le famglie a delle caserme. La nuova nascita trionfa sul dovere. Permette all’amore di manifestarsi. Nella famiglia di chi è “nato di nuovo” l’amore scaturisce, cresce e avvolge tutti i membri. I ruoli sono rispettati e accettati gioiosamente, Dio è onorato e la Parola di Dio è praticata. Le famiglie non diventano perfette, sia ben chiaro!, perché saranno sempre composte da persone imperfette. Saranno imperfette, ma non rassegnate ad esserlo. Imperfette, ma desiderose di migliorare e incamminate verso la perfezione.

Troppo bello per essere vero? No. Dio, e solo Lui, lo può realizzare.

Il miracolo della “nuova nascita” è spiegato molto bene nel capitolo 3 del Vangelo di Giovanni. Leggilo con cura e credici. Se non hai una copia del Vangelo chiedimela e te la manderò.
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Non si tratta solo di non bestemmiare. C’è di più


“Chi ha sete, venga a me e beva!”, grida un giovane pronto a servire l’acqua minerale e la CocaCola durante un pasto comunitario, chiamato “agape” dai credenti evangelici.

Oppure uno entra in una stanza buia, preme l’interruttore e dice: “Sia la luce!”.

Tutti e due pensano di essere spiritosi, ma, secondo me, stanno facendo quello che Dio dice di non fare: scherzare o nominare alla leggera il nome del Signore o quello che lo riguarda.

Il terzo comandamento, dato da Dio a Mosè, ordina categoricamente: “Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano, poiché il Signore non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano” (Esodo 20:7).

Quando si vuole spiegare questo comandamento, si pensa, di solito, che sia un ordine di non bestemmiare. E chi non bestemmia si sente perfettamente a posto.

Ma c’è di più. Si possono citare detti della Bibbia scherzando, come i due nominati poco fa, o si possono raccontare barzellette che riguardano il paradiso e l’inferno. In TV le sentiamo tutto il tempo. Le troviamo stupide e non ci facciamo caso. Però un bambino mi ha chiesto se davvero in cielo si beve il caffè Lavazza! Lui non lo considerava uno scherzo.

Ma ci sono molti altri modi, molto più seri, che entrano nella categoria del “nominare il nome di Dio invano”. Per esempio?

Chi si professa credente, parla di Dio e testimonia della sua fede, ma si comporta male, nomina il nome di Dio invano. Farebbe meglio a tacere e cambiare stile di vita.

Chi frequenta i culti della sua chiesa, canta inni senza pensare a quello che dice, magari recita il “Padre nostro” e il “Credo” senza metterci la mente, nomina il nome di Dio invano. L’ho detto altre volte, ma un nostro vecchio amico diceva che dietro gli innari, la domenica mattina, si nascondono i peggiori bugiardi. Fanno promesse di ubbidienza, di consacrazione e di fedeltà e non ci pensano neppure a mantenerle.

Anche chi prega e si rivolge a Dio senza fede, nomina il nome di Dio alla leggera.

Chi predica e spiega la Bibbia a modo suo, senza badare al contesto e al vero significato del passo ma predica un suo proprio pensiero, non solo nomina il nome di Dio invano, ma attira un giudizio su se stesso e porta chi lo ascolta nell’errore.

Il nome di Dio deve essere considerato dal credente come sacro, deve essere onorato con un linguaggio rispettoso e, soprattutto, nominato con profonda devozione. La preghiera “modello” insegnata da Gesù dice proprio, “sia santificato il tuo nome”, cioè il nome di Dio sia considerato più importante di qualsiasi gioiello prezioso, custodito gelosamente.

Allora, come si usa giustamente il nome del Signore? Ci sono almeno quattro modi.

Uno: dobbiamo usare il nome del Signore per lodarlo per quello che Egli è. Adorarlo per le sue qualità. Esprimergli la nostra riconoscenza, sia in privato che in pubblico.

Due: usiamo il nome del Signore per ringraziarlo. “In ogni cosa ringraziate” ordina la Parola di Dio. I beni materiali vengono tutti da Lui, la nostra vita è un dono suo, la sua presenza è un bene inestimabile, come pure la sua protezione. Ringraziamolo e usiamo la nostra bocca per farlo.  Anche nelle minime cose scorgiamo la sua cura. Diciamoglielo.

Tre: testimoniare a altri della salvezza che Dio offre e spiegare la salvezza che Cristo ha acquistato sulla croce. Confortare chi soffre.

Quattro: dire cose buone su Dio, non lamentarsi di quello che Egli permette, incoraggiare credenti e non credenti a conoscerlo. E sopra ogni cosa, fare attenzione che le nostre parole siano il frutto di un cuore in cui coltiviamo la sottomissione e la prontezza a ubbidire anche se non ci piace quello che ci chiede. Allora difficilmente useremo il nome di Dio invano.

La Bibbia dice: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca” (e neppure qualche parola che parli con leggerezza di Dio e di ciò che lo riguarda), ma se ne avete qualcuna buona che edfichi, secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia (faccia del bene) a chi ascolta” (Efesini 4:29).

Provare per credere. E per ricevere una lode da Dio e non un rimprovero.
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