“Signora, le devo dire una cosa spiacevole: suo figlio ruba...” mi ha detto la maestra.
È successo quando i figli erano alle elementari e ci sono rimasta di sasso. Possibile che un figlio di credenti, servitori del Signore, potesse fare una cosa simile? Eppure gli avevamo insegnato il rispetto per le cose degli altri.
Il problema è stato risolto col solito procedimento di quando c’era una qualsiasi mancanza: confronto, confessione, punizione, perdono e, nel caso di appropriazione indebita come si dice in linguaggio giudiziario, restituzione del maltolto e richiesta di perdono alla persona offesa. Dopo il procedimento, non se ne parla più. Se si tratta la cosa con molta serietà e fermezza, di solito il furto non si ripete.
L’ottavo comandamento dice chiaramente: “Non rubare”.
Di furti sentiamo parlare tutto il tempo. Sembra diventata una prassi normale negli uffici, nei ristoranti, nelle scuole, sui mezzi di trasporto. Si ruba ogni volta che si presenta l’occasione propizia e quando si ha l’impressione di passare inosservati. E chi ruba per uno scopo giusto (per esempio se ha fame) è scusato dalla società.
Dio è padrone di ogni cosa e dà il diritto all’uomo di possedere ciò che compra, guadagna o riceve in regalo. Dio ha anche detto che chi trasgredisce l’ordine stablito da Dio deve essere punito. È interessante leggere nell’Antico Testamento molte minuzie legali del popolo d’Israele, particolarmente riguardo ai pesi falsi per i commercianti e le bustarelle per i magistrati.
Cosa significa “non rubare”? Prima di tutto, non prendere la roba degli altri. Giacomo parla molto severamente dei padroni che rubavano il salario ai dipendenti e trattavano male gli schiavi. L’apostolo Paolo dice che chi rubava, prima di convertirsi a Cristo, non deve rubare più, anzi deve lavorare per poter aiutare chi è nel bisogno e, scrivendo al suo collaboratore Tito, biasima con energia i lavoratori che frodano i loro padroni.
Si può anche rubare a Dio, non dandogli quello che gli è dovuto, Nel capitolo 3 del Libro di Malachia, Dio lo dice chiaro e tondo per bocca del profeta: “Voi siete colpiti di maledizioni, perché mi derubate” (v. 9). Nell’Antico Testamento come nel Nuovo, Dio non richiede soltanto l’adorazione delle sue creature, ma vuole anche riconoscenza per tutte le benedizioni che esse ricevono giornalmente. Questa riconoscenza si esprime sia per mezzo di offerte fatte per sostenere l’opera di propagazione della Parola di Dio sia per aiutare chi è nel bisogno. Chi non dona generosamente (nell’Antico Testamento Dio richiedeva la decima parte di ciò che uno possedeva e guadagnava) è considerato ladro da Dio.
È un pensiero allarmante che dovrebbe spingerci a pensare come ci vede Dio, quando spendiamo per noi stessi comprando cose inutili o superflue, e trascuriamo ciò che Lui considera importante. Oggi Dio non richiede tassativamente la decima, ma certo vuole che i suoi figli siano generosi. C’è chi dovrebbe vergognarsi di dare solo la decima!
Un nostro amico diceva: “Quando apri gioiosamente il portafogli, è segno che sei un vero credente” e aveva ragione. Troppe opere missionarie sono in difficoltà perché chi potrebbe donare per sostenerle non dona. Troppi credenti (e non credenti) sono nel bisogno, mentre altri vivono nell’abbondanza.
Il segreto per usare bene il proprio denaro si trova nella Bibbia, che ha una parola precisa su ogni argomento: “La vostra condotta non sia dominata dall’amore per il denaro; siate contenti delle cose che avete, perché Dio stesso ha detto: «Io non ti lascerò e non ti abbandonerò». Così noi possiamo dire con piena fiducia: «Il Signore è il mio aiuto, di chi temerò. Che cosa potrà farmi l’uomo?» (Ebrei 13:5,6).
Chi si affida al Signore per i suoi bisogni presenti e futuri è una persona felice. Lavora, dona e fa del bene alla sua famiglia e al prossimo. In fondo, il credente è l’unica persona che la possibilità di non rubare, perché il Signore lo aiuta a non cadere davanti alla tentazione. Bello, vero?
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