Silenzio assoluto

Non so dove andremo a finire. Credi che una persona sia onesta e viene fuori che è un perfetto imbroglione. Commercianti, politici, giornalisti, medici, sportivi, insegnanti, vicini di casa. Piccoli e grandi. Ricchi e poveri. Uno alla volta cadono malamente, come birilli.

Sarà per via di tutte le tecnologie moderne, con cui si scopre chi si è macchiato di un delitto compiuto anche trent’anni fa, sarà per le intercettazioni telefoniche o per le famose soffiate dei collaboratori di giustizia o per pura iella, come è successo a un ladro di scarpe, che è stato scoperto dai Carabinieri, perché – udite! – scappando dopo un furto ha perso una sua scarpa. Sia come sia, una volta o l’altra, il peccato li ritrova. Esattamente come dice la Bibbia.

La cosa interessante è che, quando qualcuno è accusato, la sua prima reazione è: “Sono sereno”. E tira fuori una bella parlantina per spiegare tutte le ragioni della sua “serenità”! Quando il “sereno” diventa “variabile” o, addirttura, “tempesta”, la parlantina diminuisce. Ma mai del tutto. Il peccato dilaga ovunque e c’è a domandarsi come mai il Signore non abbia messo ancora la parola “fine” a questo nostro periodo storico. Evidentemente la parola di S. Pietro che afferma che Dio non inteviene perché è paziente e aspetta che altri si convertano, ha ancora valore. Ma fino a quando?

Un giorno la pazienza di Dio finirà e il suo giudizio sarà una cosa seria. Più seria del riscaldamento globale e della crisi monetaria generale. C’è da chiedersi perché i predicatori ne parlino così poco. Preferiscono addormentare i loro ascoltatori con storie ottimiste che li mettono a loro agio. Ma non c’è da scherzare.

Ecco il racconto della visione del giudizio riportata dall’Evangelista Giovanni nell’Apocalisse: “Poi vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva sopra. La terra e il mare fuggirono dalla sua presenza e non vi fu più posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davani al trono. I libri furono aperti e fu aperto anche un altro libro, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e l’Ades restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati ciascuno secondo le loro opere (chiaramente, non si tratterà di un giudizio sommario, ma di un giusto giudizio personale, davanti al quale nessuno potrà obiettare). Poi la morte e l’Ades (il soggiorno dei morti) furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco” (20:11-15). Ognuno capirà di meritare la condanna. Rimarrà in silenzio. Niente più scuse e giustificazioni.

Chi confida nelle sue opere buone e meritorie per ottenere la salvezza, non può essere salvato, perché Dio esige la perfezione. Chi non ha il suo nome scritto nel libro della vita sarà sotto il giudizio definitivo di Dio e condannato.

Meno male che Gesù ha dato una risposta chiara a questo problema! Mentre era sulla terra, rivolgendosi alla gente che lo ascoltava, ha detto: “Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24). Gesù è venuto sulla terra per “cercare e salvare” chi comprende di essere senza speranza perché tarato dal peccato (una realtà che nessun sacramento può cancellare), si apre a Lui e accetta il suo perdono. C’è salvezza per “chiunque”!

L’Apocalisse finisce con un invito bellissimo: “Vieni... chi ha sete venga; chi vuole, prenda dell’acqua della vita” (22:17). Chi va a Cristo senza pretese e senza scuse, ha una certezza: il suo peccato non “lo ritroverà”, perché Gesù lo ha cancellato sulla croce. 
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Non sono contemplativa...


Maria Teresa, nella mia chiesa parlano tanto di meditare la Parola di Dio. Io sono convertita da poco e non ci sto a capire niente.  Sono un tipo pratico che va sempre di corsa e quando mi dicono che devo “meditare” non so cosa fare. Mica si deve stare seduti a guardarsi l’ombelico come fanno in India? Per favore, dammi una dritta. Tua affezionata... Confusa

Carissima Confusa, eccoti la dritta che chiedi. È abbastanza semplice da spiegare, ma un po’ più difficile da praticare.

Meditare significa pensare con attenzione e cura a quello che si legge, cioè facendo attenzione a ogni parola. Per esempio, un modo di meditare un passo è:  notare ogni parola, pensare ai singolari e plurali, al tempo dei verbi e al significato di ogni vocabolo. Ti faccio un esempio usando la frase di Gesù: “Io sono la resurrezione e la vita”. La spezzettiamo e scriviamo via via il significato delle parole scritte con le lettere maiuscole.

IO sono la resurrezione e la vita – IO. Gesù ha indicato se stesso in modo preciso e non un altro.

Io SONO la resurrezione e la vita – SONO. Verbo presente che indica uno stato. Non sarò, non ero: sono attualmente.

Io sono LA resurrezione e la vita – La. Articolo determinativo. Non una resurrezione, sono l’unica vita dopo la morte.

Io sono la RESURREZIONE e la vita – Resurrezione significa, ritorno alla vita, vittoria sulla morte.

Io sono la resurrezione E la vita – E. Non basta la resurrezione c’è di più!

Io sono la resurrezione e LA vita – La. Di nuovo l’articolo determinativo che indica unicità.

Io sono la resurrezione e la VITA – VITA. Vita vera, spirituale, eterna. Non una vita qualsiasi.


Non si può meditare in fretta. Ogni parola della Bibbia è ispirata da Dio e in questa breve frase ci sono molte verità. Gesù afferma di essere eterno (IO SONO, sono l’eterno presente). Perché? Perché è Dio, esiste da sempre e esisterà per sempre. Senza principio né fine.

Gesù è morto per espiare il nostro peccato, ma, siccome è Dio, non poteva restare nel sepolcro ed è risuscitato. Siccome è Dio, può dare una vita nuova e risuscita spiritualmente chi crede in Lui. Lui stesso è la vita e dà la vita eterna. La vita eterna è conoscere Dio e vivere da ora e per sempre in Lui (Giovanni 17:3).

Meditando, vengono in mente altri versetti e si pensa al contesto in cui il versetto è collocato nella Bibbia (in questo caso il racconto della resurrezione di Lazzaro) e ci si concentra sulla verità che esprime. Poi, la meditazione dovrebbe portare alla preghiera, alla lode e all’adorazione. In questo caso potrebbe essere: “Gesù, ti lodo perché sei Dio, sei l’unico e sei eterno. Solo tu hai la vera vita in te e la dai a chi crede in te. Questa vita fa di me una nuova creatura, risuscitata da una vita di peccato che mi portava a essere morta e insensibile a te, a una vita nuova e abbondante. Grazie per queste grandi benedizioni...”

Qualcuno ha detto che meditare equivale a mangiare un pezzo di torta a pezzetti piccoli, piccoli. Assaporandoli senza fretta. La meditazione è un’arte da imparare un po’ per volta... Sarà una grande benedizione per te. Fammi sapere come va. Non ti scoraggiare se le prime volte ti sembrerà difficile. Ciao! Ti voglio bene.
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E adesso, che facciamo?


A un certo momento, i genitori si trovano davanti un problema: portano a casa, dall’ospedale dove è nato, un fagottino in cui c’è un figlio da crescere.  

Sono credenti e hanno affrontato, dopo sposati, il problema della sottomissione (lui a Cristo e lei al marito) e pensano di avere raggiunto un’armonia soddisfacente. Ora hanno un bambino. Fino a che punto la pratica della sottomissione si dovrà applicare anche a lui? E quando dovrà cominciare? Cosa fare perché la sottomissione diventi uno stile di vita anche per lui?

Per prima cosa, dovranno fare fronte unico e non sarà sempre facile. Si portano dietro il bagaglio della loro famiglia e dell’educazione che hanno ricevuta. Lui ha avuto un’educazione severa? Lei viene da una familgia piuttosto permissiva e rilassata? O viceversa? Come trovare un accordo?

È bene pensarci prima che quel fagottino calduccio e meravglioso arrivi a casa e sia deposto nel suo lettino fra i commenti estasiati di nonni e parenti riuniti. Se non trovano un accordo, il bambino verrà su viziato, insicuro e scontento. E loro troveranno il loro compito molto difficile. E frustrante.

Ma ammettiamo che problemi di base non ce ne siano, quando si comincia a insegnare al piccino la sottomssione? Subito. Al più presto, dovrà trovare i suoi ritmi, fra sonno e veglia, ingranarsi nella vita e capire che il mondo non gira attorno a lui.

Via via che cresce, i genitori dovranno ricordare sempre che il piccolino si farà un’idea di Dio dal loro comportamento. I bambini non pensano in maniera astratta. La prima volta che sentiranno dire che Dio è un padre, lo accosteranno immediatamente al loro papà. E da come è il loro papà terreno si faranno un concetto di Dio. Se il papà dice “no” e poi lascia correre, penseranno che Dio non fa sul serio quando dà degli ordini, che promette e non mantiene e se dice che punisce e non lo fa, vuol dire che non è pericoloso disubbidire.

Se la mamma dice (e io l’ho sentito!): “Se sei cattivo non ti voglio più bene”, penserà che l’amore di Dio non sia costante e dipenda da lui guadagnarselo.  

Allora ecco tre fondamenti su cui bisognerà costruire la sottomissione (chiamiamola pure “ubbidienza”) del bambino con costanza e perseveranza: amore, ordine e coerenza.

L’amore è essenziale. È più importante del cibo giusto, del lettino pulito e dei pannolini di ultima invenzione. Nel libro dei Proverbi sta scritto che è meglio avere un piatto di cicoria con l’amore che un bue ingrassato dove c’è l’odio. Quanto è vero!

L’amore per i nostri figli deve essere incondizionato come l’amore di Dio. Non dipende da quanto loro sono buoni e bravi. Non cambia secondo le circostanze. È costante.

L‘amore apprezza, loda. Un bambino lodato quando fa bene, cresce fiducioso. Dio ha detto ai suoi servitori fedeli: “Ben fatto, buono e fedele servitore...”. Perché dovremmo noi fare da meno?

L’amore è realistico. Non pretende l’impossibile. Anche Dio si ricorda che siamo polvere e sa che non facciamo niente di perfetto (Salmo 103:13). Ricordiamolo coi nostri piccoli.

L’amore perdona. Dio ci perdona. Se un figlio ci chiede perdono, non mettiamolo in quarantena e sotto osservazione. Certi genitori lo fanno, dicendo: “Vedremo!” e uccidono il morale di loro figlio.

L’amore insegna e inculca la Parola di Dio. Con piccoli canti, al principio, e con affermazioni come: “Gesù ti vuole tanto bene”, “Dio sta sempre con te” e brevi preghiere. Un po’ più avanti, quando comincia a capire, con storie della Bibbia raccontate prima che vada a letto. 

Ma l’amore non basta. Bisognerà mettergli dei paletti, stabilire delle regole e dei limiti precisi da rispettare (tipo, a che ora si va a letto, quando si fanno i compiti, quando si deve aiutare e quando si può giocare). Il tuo bambino, come ogni bambino, nasce con una natura ribelle ed è normale che i paletti non gli piacciano. Ma deve imparare a rispettarli. Dal primo giorno, si ribellerà col pianto e forse coi capricci. Se glielo permettiamo, mentre è molto piccolo e tenero, più avanti metterà su musi e le contestazioni. E noi avremo perso la battaglia.

È importante che, fin da piccolissimo, impari che Dio gli ha dato dei genitori per educarlo e gli ha dato un comando molto preciso, che è “onora tuo padre e tua madre”. Perciò: niente bizze, pestare di piedi, gesti di ribellione e scortesie. Dio non è contento se ci ribelliamo!

E se non ubbidisce? In quel caso, la Bibbia parla di correzione e ogni genitore dovrà stabilire come applicarla. Non vale la pena cercare di ragionare coi bambini: non ti prendono sul serio e dimenticano quello che hai detto. Ci si ragiona quando sono grandi. 

Da piccoli, si impone la condotta da tenere.

I bambini sono tutti diversi. Ad alcuni (pochi!)  basta un’occhiataccia, per altri ci vuole il pumpum sul sederino (mi raccomando, SOLO sul sederino) senza grida o collera e dopo averli avvertiti che chi non ubbidice deve essere punito. Dopo il pumpum, il colpevole è perdonato, rassicurato del nostro amore. Se si procede così da piccoli, le cose andranno meglio da grandi.

Infine: coerenza. Le promesse vanno mantenute, le minacce mandate ad effetto. Non si dicono bugie, si dà un buon esempio, e si fa in modo da non deluderli, Non si nega mai loro amore, tenerezza, perdono, giustizia e grazia. Esattamente come Dio fa con noi.
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E, donne care, adesso a noi!

Che cosa significa per noi la sottomissione come stile di vita? Significa esattamente quello che significa per gli uomini: accettare gioiosamente e con umiltà il progetto iniziale di Dio, e ubbidire a quello che Dio ha stabilito.

La lettera di Paolo agli Efesini assomiglia l’unione di un marito e di una moglie credenti all’unione fra Cristo e la Chiesa. Perciò moglie e marito sono (e devono essere) una parabola vivente di questa realtà. Un marito che non ama e non cura teneramente sua moglie non assomiglia a Cristo e lo disonora. Una moglie che si ribella e non rispetta il marito è simile a una chiesa disubbidiente a Cristo e che dà una cattiva testimonianza e allontana i non credenti da Dio.

Però, tanto per mettere le cose in chiaro, diciamo che cosa NON si intende per sottomissione, perché i luoghi comuni e le obbiezioni di comodo, in questo campo, sono molte.
  • Sottomissione non vuol dire non esprimere opinioni, sentimenti e dubbi. Nessun marito è infallibile. È possibile che una moglie veda qualche lato di una questione a cui lui non ha pensato. Parlarne civilmente è importante. Un buon consiglio può essere molto utile. Se poi lui non ascolta, e sbaglia, sarà importante aiutare a raccogliere i cocci e non usare il proverbiale: “Io l’avevo detto!”.
  • Non è rinunciare ai propri doni, ma usarli per aiutare il marito, la famiglia e la chiesa.
  • Non è ubbidire, se il marito chiede di peccare. Personalmente ho un grande rispetto per la biblica Regina Vasti che ha rifiutato di presentarsi davanti ai commensali ubriachi di suo marito. Ha perso la corona, ma non la sua dignità. Saffira avrebbe fatto molto bene a non acconsentire alle bugie di suo marito Anania e non ci avrebbe rimesso la pelle.
  • Non è sopportare maltrattamenti. Conosco delle donne che hanno deciso si sottostare a molti soprusi. Il mio consiglio, e anche quello di mio marito, è sempre quello di parlare prima col marito seriamente e, se non ascolta, di parlarne con gli anziani della chiesa. I Carabinieri possono essere l’ultima, ma necessaria, risorsa in caso di violenze o abusi.
  • Non è trovare scuse “spirituali” per disubbidire. Tipo: mio marito è troppo severo e io gli nascondo qualche marachella innocente dei figli. Oppure, curo poco la casa perché testimoniare e visitare le vicine è più importante. Non è neppure parlare male del marito, magari sotto forma di “soggetto di preghiera”.

Allora che cosa fa una moglie che aiuta, rispetta e si sottomette al marito?


Realisticamente, è consapevole del fatto che non ha sposato un uomo perfetto, esattamente come lui non ha sposato una donna perfetta. Perciò non si aspetta, e non pretende, l’impossibile. Sa di essere, come lui, su una strada in salita di santificazione e di progresso spirituale.

Non pretende che lui sia il suo psicologo e il suo padre spirituale e la capisca sempre al volo. Si preoccuperà di crescere spiritualmente per conto proprio e di trovare nel Signore la forza necessaria per ogni giorno. Quella che le viene dal marito sarà... tutto grasso che cola.

Persevera nel fargli del bene, come faceva la donna descritta in Proverbi 31. “Essa gli fa del bene e non del male, tutti i giorni della sua vita”. Nei giorni in cui tutto va bene, in quelli in cui tutto sembra andare per storto e in quelli piatti in cui sembra non succedere nulla.

Capisce e accetta il suo compito di collaboratrice e aiuto del marito, lo asseconda e non lo ostacola nel suo ruolo di leader morale e spirituale della famiglia.  Se è un conduttore di chiesa, non cercherà di governare la chiesa per mezzo di lui.

Si impegna e si concentra nel permettergli di diventare il migliore uomo di Dio possibile, stimolando i figli a rispettarlo e a riconoscere in lui un modello da seguire.

Parla bene di lui al Signore e alle persone per le cose buone che fa e parla dei suoi difetti  solo al Signore.

Lo aiuta, lo sostiene e lo incoraggia.

Lo circonda di affetto e anche soddisfa le sue aspirazioni morali e affettive.
 
Fa a gara con lui nel perdono reciproco e si impegna a vedere sempre i lati positivi del suo carattere. E si impegna a fargli almeno un complimento al giorno (per togliere il diavolo di torno!).


Facile? Non sempre. Ma fattibile.
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Meglio seguaci? Vediamo...


L’ho detto la volta scorsa: penso che guidare sia più faticoso e difficile che eseguire. 

Essere marito, padre e guida della propria famiglia è il compito più impegnativo (e spesso il più trascurato) che ci sia. Ma è anche molto bello.

Quando Dio ha progettato l’uomo, lo ha creato a sua immagine, con la capacità di provare emozioni, di scegliere e, soprattutto, di essere in contatto costante con Lui. La Bibbia racconta che Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza... li creò maschio e femmina”. Uomo e donna creati perfetti da Dio, a sua immagine, ma diversi.

L’uomo: guida, leader, con potere decisionale (anche nell’obbligo di  “lasciare padre e madre”, quando si unisce a sua moglie, il che significa tagliare il cordone ombellicale, che lo legava ai suoi genitori, per diventare una cosa sola con sua moglie!).

La donna: aiuto, complemento, collaboratrice, sostegno dell’uomo.

E poi, i figli come frutto della loro unione.

Il peccato ha deteriorato il mondo e le relazioni umane e ha reso ogni cosa più difficile. Ma il principio di “cordata” rimane. E ai credenti in Cristo, nati di nuovo, è possibile praticarlo.

In che modo l’uomo deve essere un leader?  

Prima di tutto, deve accettare consapevolmente le sue responsabilità. È sottomesso a Cristo, riceve ordini da Lui, ne segue l’esempio, ama, cura, si sacrifica e non si risparmia. Si tratta di un programma che comporta responsbilità pratiche, morali e spirituali.

Praticamente, il marito deve provvedere materialmente alle necessità fisiche della sua famiglia (Efesini 5:25-30; 1 Corinzi 12:14). Oggi molte donne lavorano per contribuire al mantenimento della famiglia, data la situazione economica del momento, ma rimane sempre vero che il marito dovrebbe portarne, se può, la maggiore responsabilità.

Ho conosciuto delle coppie in cui la moglie, dato che guadagnava più del marito, ha continuato a lavorare fuori casa, mentre il marito faceva il “casalingo”. Non mi sembra una buona situazione.

Moralmente, il marito deve dare il “la” nella conduzione della famiglia, stabilendo i principi da seguire, le linee guida secondo le quali vuole che la sua famiglia funzioni. Naturalmente, non agirà come un dittatore, si accorderà con sua moglie e le delegherà molti compiti. Ma il timone deve essere in mano a lui.

Spiritualmente (e qui vedo spesso grosse lacune in molte famiglie), egli ha la grossa responsabilità di essere esempio e guida della sua casa, nell’insegnare la Parola di Dio, pregare per e con la sua famiglia e stabilire la frequenza alle riunioni della chiesa, nonché modellando i principi morali da seguire. Non solo dovrebbe stabilire le regole, ma dovrebbe essere il primo nel rispettarle e nel vedere che siano rispettate.

“Fin qui” mi dite, “è tutta bella teoria, ma la pratica...”

Ecco la pratica. In famiglia, al lavoro, in chiesa.

Un leader che è degno di questo nome lavora più di tutti gli altri. Non si risparmia, non si tira indietro. Non è un pascià circondato da serve e servi. È uno che per primo tira la carretta. Gesù ha dato l’esempio.  È venuto non per essere servito, ma per servire.

Un buon leader non chiede l’impossibile. Tiene conto della forza, dell’età, della maturità dei membri della sua famiglia. Cerca di responsabilizzarli, senza pretendere quello che non possono dare. Dei ragazzi mi hanno detto, durante un convegno: “Quello che ci fa in... (continuate voi la parola come credete meglio!) è che i nostri genitori non fanno quello che chiedono a noi!”. No comment.

Un vero leader Incoraggia, sostiene e loda. In una famiglia dove il leader-genitore apprezza  e sottolinea le cose buone che i suoi cari fanno, questi, di solito, collaborano di buon cuore.

Se delega il lavoro, vede che sia stato fatto e, infine, cosa ancora più difficile, esercita la disciplina. Quello che è “no” resta “no” e non diventa né “ni” né “sì”. Neppure dopo l’intercessione della mamma o dei nonni. A meno che non si renda conto di avere sbagliato e non chieda di essere perdonato.

Non c’è che dire: è un grande lavoro, ma che buoni risultati produce!

Ogni lavoro comporta dei rischi. La Bibbia ne menziona due per chi è chiamato a essere un leader. L’Apostolo Pietro nella sua prima lettera (3:7) esorta i mariti a trattare con gentilezza e amore le loro mogli che sono più deboli e fragili di loro, affinché le loro preghiere “non siano impedite”, cioè non vadano più lontano del soffitto della loro camera.

Paolo non si rivolge unicamente ai mariti, ma dice che lui trattava duramente il suo corpo e si sacrificava, in modo da non essere squalificato dopo avere predicato agli altri (1 Corinzi 9:27). C’è da meditare.

So che anche degli uomini leggono i miei post e forse, a questo punto, si dicono: “E le mogli?...”

La prossima volta parleremo della collaborazone e sottomissione delle donne. Però, donne care, detto fra noi, non vi sembra che il compito di leader sia più difficile di quello nostro di seguaci?
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Sottomissione: a quale scopo?


Oggi viviamo nel caos, anche se i parlamenti continuano a fare leggi, leggine e decreti. L’idea dell’ordine e dell’armonia nella società civile non esiste più. Nelle famiglie, nelle scuole, negli uffici, nel traffico, chi cerca di vivere secondo le regole è considerato scemo.

Questo mi fa comodo, perciò lo faccio. Genitori, insegnanti, datori di lavoro: mani in alto! Comandano i bambini, gli studenti e gli operai!

La Bibbia non la vede così. Stabilisce un ordine preciso e, siccome è il libro che Dio ha fatto scrivere per esprimere il suo pensiero e produrre armonia e benessere, vediamo cosa dice.

La catena di autorità è espressa molto bene dall’Apostolo Paolo: “Voglio che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1 Corinzi 11:3). Non è una questione di superiorità o di inferiorità (la donna ha dimostrato ampiamente di non essere inferiore all’uomo, tanto più che Dio l’ha creata!), ma di ordine: prima Dio Padre, poi Dio Figlio, poi il maschio e la femmina, secondo l’ordine della loro creazione.

Cristo è stato perfettamente sottomesso al Padre, ogni uomo deve essere sottomesso a Cristo (e se non ci crede un giorno se ne accorgerà!) e assomigliargli e, parlando della coppia, la moglie deve rispettare suo marito e vedere in lui la guida e il capo della famiglia. Dato che la Bibbia afferma che marito e moglie devono  essere tutti e due sottomessi a Dio Padre, nel nome e nel timore di Cristo, il problema non dovrebbe esistere (Efesini 5:20,21). Esiste, invece,  per chi vuol vivere come se Dio non esistesse.

Dio non ha visto solo la famiglia sotto questa luce di armonia, ma ha parlato anche della società. Ha detto che chi vuole piacere a Dio deve essere sottomesso alle autorità costituite. Lo ha fatto scrivere da Paolo ai Romani che, a quel tempo, erano governati da Nerone (Romani 13:1-3). Figuriamoci!  Ma, come dicevano i savi di una volta: “Un cattivo governo è sempre meglio di nessun governo”.

Nella chiesa, i credenti devono essere sottomessi gli uni altri, in una gara di amore reciproco (Efesini 5:21). Nella famiglia i figli devono ubbidire ai genitori (Efesini 6:1,2), i padri devono governare la famiglia secondo il piano di Dio (Efesini 6:4), i servi devono onorare i loro datori di lavoro, buoni o cattivi che siano (1 Pietro 2:18), i datori di lavoro devono tenere conto che riponderanno a Dio della loro condotta (Efesini 6:9).

Nella chiesa i giovani devono rispettare le loro guide (1 Pietro 5:5) e le guide sono tenute risponsabili del loro operato da Dio stesso (Ebrei 13:17).

Se tutto fosse praticato così, ci sarebbe il paradiso in terra! Però se noi credenti facessimo davvero la nostra parte, in certe sfere (la famiglia e la chiesa, per esempio) un po’ di paradiso si sperimenterebbe e si sperimenta. Ci vogliamo provare?

Vedo molte donne perplesse.... Amiche, aspettate il prossimo post. Parleremo delle qualità di un leader. E, forse, deciderete che si sta meglio in una posizione di seguaci!
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Sottomissione: uno stile di vita


Uno stile di vita? Vuoi scherzare? Ci mancherebbe solo quello!

Quando si pronuncia la parola sottomissione, la gente (e soprattutto le donne) si irrigidisce. Pensa alla schavitù, allo stivalone chiodato di un tiranno che ti schiaccia con crudeltà la testa e ti toglie ogni libertà.  

La Bibbia, invece, ne parla in termini molto positivi. Perciò vale la pena cercare di capire cosa voglia dire e come si debba intendere. Perché, dopotutto, la Bibbia è piena di questo concetto.

Stabiliamo, intanto, che cosa NON è la sottomissione. Non è servilismo, non è acquiescenza, non è schiavitù, non è vivere con un senso di inferiorità, non è rassegnazione e non è necessariamente sopportazione di abusi e di ingiustizie senza reagire.
La persona servile è di solito ipocrita. Si piega davanti a qualcuno più potente di lei per dei secondi fini, con lo spirito del cortigiano che adula  falsamente, per ottenere dei favori. Pronto a voltare gabbana, se necessario.

L’acquiescenza è l’accettazione di imposizioni senza ragionarci su. Il che è stupido.
La schiavitù è la privazione a ogni tipo di libertà. Significa diventare proprietà assoluta di un padrone, buono o cattivo che sia, il quale ha su di te diritto di vita e di morte.

Il senso d’inferiorità è la rinuncia di fatto a qualsiasi diritto, a causa di una valutazione negativa di se stessi in quanto esseri umani senza valore.

La rassegnazione sopporta soprusi e ingiustizie, si arrende e tira i remi in barca. Lo fa con fatalismo, come davanti a un destino ineluttabile. Non prova né gioia né soddisfazione. Si arrende per forza di cose. E spesso si atteggia a martire e lo fa pesare.

La sottomissione biblica è tutt’altra cosa. È l’accettazione gioiosa dell’autorità di qualcuno che si rispetta e al quale si dona la propria ubbidienza e col quale si collabora, allo scopo di raggiungere una perfetta e completa armonia di intenti, di mète e di progetti da mandare ad effetto, secondo le sue direttive.

Questo tipo di armonia è lo strumento perfetto per permettere a una famiglia, a una chiesa, a una società di svilupparsi, di crescere ed essere forte. È realizzabile quando c’è unità di intenti e accordo consapevole. Non è raggiungibile con leggi o coercizioni. È opera di un intervento  sovrannaturale e di una convinzione mentale.

La sottomissione è esemplificata in modo perfetto nella Trinità, fra tre Persone che sono egualmente  Dio, eppure distinte fra loro e con funzioni diverse.

Il Padre è al di sopra di tutto e di tutti, sovrano assoluto, come afferma l’Apostolo Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi (15:24).  Il Signore Gesù, Figlio di Dio è Dio quanto il Padre, ma è sottoposto alla volontà del Padre (Ebrei 10:9). Lo Spirito Santo è Dio Lui stesso, perché così lo definisce la Bibbia, al servizio sia del Padre che del Figlio per adempiere i loro piani eterni (Giovanni 14:26).

Nel capitolo 16:13-15 dello stesso Vangelo di Giovanni, questa unità è espressa in maniera straordinaria: “Quando sarà venuto Lui, lo Spirito della verità” dice Gesù, “Egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che ha udito e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutte le cose che ha il Padre, sono mie, per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà”. Padre, Figlio e Spirito uniti nell’essenza e diversi nelle funzioni. Che meraviglia!

Cristo è stato perfetto nella sua sottomissione al Padre da tutta l’eternità. È stato designato come Colui che avrebbe espiato il peccato, prima che che il mondo stesso fosse creato e il primo peccato fosse commesso (1 Pietro 1:18-20), è venuto sulla terra per fare la volontà del Padre e ha compiuto perfettamente l’opera di salvezza (Giovanni 19:30). Un giorno eserciterà il giudizio, per mandato di suo Padre (Giovanni 5:22,23). Poi gli rimetterà ogni cosa nelle mani e condividerà con Lui (e con i suoi riscattati) la gloria eterna (1 Corinzi 15:28 e Filippesi 2:9-11).

Lo Spirito è Dio ed è l’agente per mezzo del quale Dio e il Figlio operano nei credenti e nel mondo (Giovanni 16:7-11; Efesini 3:16-21).

“Ma che c’entra tutto questo discorso teologico con la mia sottomissione?” chiedi.

C’entra moltissimo. L’Apostolo Paolo ha ordinato ai credenti di Efeso, peccatori fallibili come noi, di essere “imitatori di Dio” (5:1). Perciò l’armonia di sottomissione gioiosa e amorevole che esiste nella Trinità si deve realizzare, sepure imperfettamente, anche nella nostra vita di peccatori salvati per grazia. Non è un’opzione è un ordine.

Ne parliamo la prossima volta. Ciao!
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È piccolo e non può capire...


Chi ha tempo non aspetti tempo!  E nel caso, di cui sto per parlare, c’è da approfittare delle occasioni e non c’è tempo da buttare. Invece, troppi genitori perdono del tempo preziosissimo pensando che il loro bambino sia troppo piccolo e non possa capire molte cose. Il bambino non deve essere sottovalutato. Capisce benissimo e quando lo riportiamo a casa dopo due o tre giorni dal parto, bisogna già che impari un fatto semplicissimo: chi comanda in casa non è lui, ma sono i suoi genitori. E neppure i nonni!

Deve imparare che non sarà preso in braccio e coccolato ogni volta che piange, che deve imparare i suoi ritmi fra mangiare e dormire e che deve stare traquillo nella sua culla, e non essere “spupazzato” tutto il tempo, perché la mamma deve occuparsi anche di altre cose oltre che di lui.

Su questo argomento ho scritto due capitoli nel mio libro FIGLI PICCOLI, GIOIE GRANDI, che si può ordinare sul nostro sito (www.istitutobiblicobereano.org). Molti genitori li hanno considerati molto utili. Perciò non ci ritorno su.

Il tempo da non perdere è quello che si dedica alla sua istruzione morale e spirituale. Io ho imparato una lezione importante da una signora che mi ha fatto visita. Era una brava credente, mi pare australiana, e io ero diventata mamma di due gemelli da poco tempo.
Dovevo dare la bottiglietta a tutti e due e, ridendo, le ho detto: “Ne vuole uno lei?”.

“Con grande piacere!”

Ho preparato i due biberon, le ho messo in braccio uno dei gemelli e lei ha messo la mano sugli occhi del piccolo e ha detto: “Thank you, Jesus. Amen”. Lui ha spalancato la bocca e ha cominciato a succhiare felice.

“Ma non è troppo piccolo per capire?” ho chiesto meravigliata.

“Sì è troppo piccolo per capire, adesso, ma io ho fatto così coi miei figli. Non volevo che pregare prima di mangiare fosse una sorpresa, quando avrebbero capito”.

Mi è sembrata una buona e saggia idea e ho preso anche l’abitudine di cantare “Gesù m’ama, questo so” e “Son bambino son piccino”, mentre mangiavano, di pregare quando li mettevo nella culla e dire loro un versetto come “Il Signore è il mio pastore” mentre si addormentavano.

Poi, via via che crescevano, oltre a raccontargli le storie della Bibbia, ho imparato a “chiacchierare la Bibbia” con loro, mostrando la bellezza di un fiore e dicendo che Dio lo aveva inventato, facendo loro osservare i colori della frutta, degli insetti, degli animali e delle nuvole, inculcando sempre in loro l’idea che Dio è il creatore di tutte le cose. Prima si comincia e meglio è. Soprattutto dato che, fin dall’asilo, gli avrebbero inculcato che l’uomo discende dalla scimmia.

I primi anni dei bambini sono cruciali per vari motivi: hanno ancora l’idea che mamma e papà sanno tutto, perciò quello che diciamo lo prendono come oro colato. In più, la loro piccola mente assorbe cose che non dimenticheranno mai, e cominceranno ad avere un’idea giusta di Dio, del mondo, della famiglia e della vita civile.

Mosè, il grande condottiero del popolo d’Israele, è nato in Egitto, mentre i genitori erano schiavi, ed è stato con la sua famiglia per pochissmi anni (forse quattro o cinque), ma sapeva di essere ebreo, sapeva di avere un Dio diverso dagli idoli egiziani e, da grande, ha scelto di far parte del popolo di Dio.

Da chi lo avrà imparato? Dai genitori. Quando? Da piccolissimo.

Lo stesso è successo per Samuele, l’ultimo giudice d’Israele, prima dell’inizo della monarchia. Anche lui ha passato pochissimi anni coi genitori e poi è cresciuto in un ambiente cattivo, circondato da cattivi esempi. Ma è rimasto fedele a Dio e ha servito il Signore fin da piccolo.

Chi glielo ha insegnato? Certamente i genitori e soprattutto la mamma. Quando? Da piccolo.

La Bibbia dice: “Insegna (a me piace di più la traduzione che dice “inculca”, cioè “imprimi”) al fanciullo la via che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà” (Proverbi 22:6).

“Ma non li hai lavati di cervello?” chiedete. Io ho “inculcato” e mio marito ha ribadito. Lavati di cervello o no, oggi tutti e quattro sono credenti e servono il Signore. A me, va bene così.