I crostini... Contrattacali!

Ancora due passi in salita, oppure due scalini, e avremo terminato di aggiungere delle qualità alla fede con cui abbiamo cominciato.

Oggi l’Apostolo Pietro ci ordina, da parte di Dio: aggiungi alla fede ... l’affetto fraterno.

Il soggetto dell’amore è enorme e la Bibbia ne parla molto.

Dopo la sua resurrezione il Signore ha voluto incontrare i discepoli in riva al mare di Galilea. Lì ha fatto una delle cose più gentili ricordate di Lui nel Vangelo: ha preparato un fuoco per cuocere e ha cotto la colazione per i discepoli stanchi, bagnati e affaticati, da una pesca infruttuosa che era durata tutta la notte.

Dopo la colazione, a un certo punto, il Signore ha preso da parte Pietro e gli ha chiesto per tre volte: “Pietro, mi ami tu?” e per tre volte Pietro gli ha risposto di sì.

La terza volta, alla sua risposta ha aggiunto: “Signore, tu sai ogni cosa e sai che ti voglio bene”.

C’erano molti sottintesi in quelle parole: “Tu sai ogni cosa”. Durante i tre anni trascorsi insieme col Signore e gli altri discepoli, Pietro, spesse volte, aveva parlato a sproposito, si era vantato, aveva dato delle risposte poco savie. Quando Gesù era stato arrestato, aveva mentito, lo aveva rinnegato e si era nascosto. Nonostante tutto, poteva dire che amava il Signore e sapeva di essere amato.

Dopo ogni dichiarazione del suo amore, il Signore gli ha dato un ordine preciso: “Pasci i miei agnelli, pastura le mie pecore, pasci le mie pecore”.

Sembrava che sottintendesse: “Dici che mi ami. Ti credo, e ti dò il modo di dimostrarlo, per mezzo del compito che ti affido. Cura i credenti, istruiscili, pascili e guidali.” Un compito difficilissimo.

I credenti dovrebbero essere facili da guidare, perché conoscono il Signore, leggono la Parola, hanno lo Spirito Santo in loro. Ma non sono sempre facili. Possono essere litigiosi, carnali e disubbidienti. Possono mormorare e criticare quanto i non credenti e dal Libro degli Atti degli Apostoli, vediamo che Pietro ha avuto a che fare con bugiardi e ipocriti, che gli hanno dato del filo da torcere. Nelle sue lettere ha spesso esortato all’amore e alla concordia e ha dovuto mettere in guardia dai falsi fratelli.

L’amore per gli altri credenti è comandato e riguarda anche noi. L’Apostolo Giovanni ha scritto: “Se uno dice: Io amo Dio, ma odia suo fratello è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comando che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche il suo fratello.


“Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chiuque ama Colui che ha generato, ama anche chi è stato generato da lui” (1 Giovanni 4:20-5:1). Chiaro, no?

Chiaro, ma non semplice. Quando si visita una chiesa o si frequenta un bel convegno di studi biblici, sembra tutto molto facile. Tutti bravi e cari e tutti ci vogliamo bene.

Ma quando torniamo nella nostra comunità, le cose forse cambiano. C’è sempre chi trova di ridire sulle prediche degli anziani, sul colore della pittura che è stata messa all’ingresso, sul bagno in cui manca il sapone e la disposizione delle sedie durante lo studio del mercoledì.

Che fare? Irritarsi è inutile. Il Signore ha detto: “I poveri li avrete sempre con voi”. Non ha detto che anche i crostini nella chiesa ci saranno sempre, ma ha detto che “avremo tribolazioni”.

Giacomo ci insegna come passare al contrattacco: “Fratelli miei considerate una grande gioia, quando venite a trovarvi in prove svariate...” e Paolo ammonisce: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene”.

Capito? Se uno è difficile, non gli dare corda. Pagagli un gelato e di’ qualcosa di positivo.
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Ci vogliamo provare?

Una signora mi ha scritto:
“Non avevo mai pensato che il timore di Dio potesse essere paragonato all’atteggiamento verso il marito. Forse hai ragione. Grazie, ci voglio provare”. SARA

Brava Sara! Ti chiami come la moglie del patriarca che è citata ad esempio per la sua sottomissione! Meglio di così...

In ogni modo, il soggetto del timore di Dio è troppo importante per non aggiungere ancora un paio di cose.

Quando si rispetta profondamente una persona si vuole fare quello che dice e imitarla il più possibile. Il timore di Dio porta all’ubbidienza e all’emulazione. L’esempio maggiore di ubbidienza è stato il Signore Gesù. E noi lo dobbiamo seguire.

L’Apostolo Paolo ha scritto ai credenti della chiesa di Filippi, in Macedonia: “Non fate nulla per spirito di parte (in quella chiesa ci doveva essere un po’ di maretta creata da discordie e malumori) o vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù...” (2:3-5).

Non è facile considerare gli altri più importanti di noi perché siamo tutti terribilmente egoisti. Ma Gesù l’ha fatto.

Ha rinunciato alla gloria del cielo; per un tempo, si è spogliato di molte sue prerogative, ha preso la forma di uno schiavo, è diventato uomo, assomigliando in tutto agli uomini, si è umiliato, ha ubbidito in tutto e per tutto alla volontà del Padre fino a morire sulla croce. Tutto ciò per salvare dei peccatori ribelli e ingrati come noi.

Il timore di Dio dovrebbe portarci ad avere il suo stesso spirito di servizio per chi ci sta vicino. E anche a parlare di Lui, del suo amore e della sua grazia con gioia e coraggio.

Vi propongo di leggere con me questa preghiera.

Viene dal salmo 40: “O Dio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro al mio cuore. Ecco, io non tengo chiuse le mie labbra, o Signore, tu lo sai. Non ho tenuto nascosta la tua giustizia nel mio cuore, ho raccontato la tua fedeltà e la tua salvezza; non ho celato la tua benevolenza, né la tua verità... Tu sei il mio aiuto e il mio liberatore; o Dio, non tardare!”

Puoi dire “Amen”? Lo spero di cuore.

E, come Sara, vogliamo lasciarci guidare dal timore di Dio?
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Guglielmo non è il mio dio, però...

Quando si fa una gita in montagna (io sono nata fra le Dolomiti) viene una specie di frenesia. Vogliamo arrivare sempre un po’ più su per vedere cosa c’è dietro a quella svolta, vogliamo salire fino a quel passo perché ci sarà un gran bella vista dall’altra parte. Andiamo ancora fino a quel dosso... Ed è vero: a ogni passo il paesaggio cambia e si scoprono nuove cose.

Nella nostra salita cristiana, oggi l’Apostolo Pietro ci indica un altro scalino: aggiungete alla pazienza la pietà. Ci aprirà nuovi orizzonti!

In questo passo la pietà non è sinonimo di compassione. Non è quel sentimento che ti spinge a far qualcosa per qualcuno che soffre.

Qui la pietà (pietas, in latino!) indica la riverenza per Dio e un sentimento di grade rispetto per quello che è. È quello che chiamiamo “timore di Dio”.

Non è paura, perché, se lo abbiamo accolto nel nostro cuore e vogliamo vivere per Lui, sappiamo che i nostri peccati sono perdonati e facciamo parte della sua famiglia. Nell’amore perfetto di Dio non c’è posto per la paura. È piuttosto un atteggiamento fatto di molte componenti: sottomissione, ubbidienza, desiderio di fare piacere, servire.

Vi sembrerà strano, ma io lo paragono al mio atteggiamento verso mio marito.

Intendiamoci: lui non è il mio dio in terra. Lui sbaglia, mentre Dio non sbaglia mai. A volte, mi sembra insensibile, mentre Dio non lo è mai. A volte non gli dò ragione, e glielo dico. Con Dio non mi permetterei mai di farlo. Però...

Però, mentre Dio è la Persona a cui voglio soprattutto fare piacere in cielo, mio marito è la persona a cui voglio fare più piacere sulla terra.

A Dio dico: “Padre nostro che sei nei cieli, sia fatta la tua volontà...” e cerco di seguire i suoi ordini, che trovo nella sua Parola. Nella nostra relazione di marito e moglie, la volontà di mio marito per me è molto importante. Perciò cerco di fare quello che gli fa piacere.

Non ho nessuna paura di lui e se un giorno un piatto non mi riesce bene glielo dò lo stesso da mangiare. Ma, dato che so che il cibo gli piace caldo, cerco di darglielo caldo e scaldo pure il piatto in cui glielo servo. E siccome non gli piace la cipolla, non ne compro più. Che problema c’è? Lui viene incontro alle mie fisime molte volte più di me!

Il salmista Davide pregava: “Insegnami a fare la tua volontà, poiché tu sei il mio Dio; il tuo Spirito benevolo mi guidi in terra piana” (Salmo 143:10). Lo chiedo a Dio ogni giorno anch’io, ma mi sembra anche molto bello potermi consigliare con mio marito e fare insieme i piani per la giornata. Capire quella che, secondo lui, è la cosa da fare.

Sempre Davide, diceva: “Signore, insegnami la via, io camminerò nella tua verità; unisci il mio cuore al timore del tuo nome” (86:11). Qui non c’è solo ubbidienza: c’è sintonia di intenti e di scopi.

E quanto mi rallegra, sapere che con mio marito c’è armonia di pensieri e di progetti. (Trovo sempre triste sentire una moglie che dice: “Mio marito non è d’accordo, ma io lo faccio lo stesso” oppure un marito che strizza l’occhio e confida: “Se mia moglie lo sapesse...”. Ma che matrimonio hanno?).

In tutto il Salmo 119 il salmista esprime un grande rispetto per la Parola di Dio. Per me, è bello sapere che Guglielmo vuole soprattutto onorare Dio, senza scostarsi di una virgola da quello che la Bibbia comanda. So che vuole fare quello che è giusto. Perciò lo rispetto e non trovo faticoso assecondarlo e camminare in sintonia con lui.

E se a volte mi sembra che non abbia ragione, glielo dico. Mica sono timida!

Se succede, ne parliamo e troviamo la soluzione. Dopo 53 anni di matrimonio, abbiamo imparato!

Ci sono ancora un paio di cose da aggiungere... Sarà per la prossima volta.
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Ma quanta ce ne vuole!

Oggi parliamo si pazienza. Se avete viaggiato in questi giorni, certo ne avete avuto bisogno. Code ai caselli, ristoranti pieni, spiagge che sembravano formicai, vacanzieri maleducati e irritati. Ritardi nei treni e negli aeroporti. Come vi è andata?

Io sono rimasta a casa e mi sono dedicata a fare le valigie. Domani partiremo per l’America. Vedremo figli e parenti. Probabilmente avremo bisogno di pazienza anche noi. Se non altro per mangiare quello che ti servono sull’aereo.

La volta scorsa abbiamo parlato di autocontrollo. Oggi, invece, parliamo di pazienza, perché dobbiamo aggiungerla all’autocontrollo.

“Ma non sono la stessa cosa?” chiedete.

Più o meno, ma con una piccola sfumatura.

Se capisco bene, mi pare che l’autocontrollo implichi una decisione della nostra volontà nel dominare, naturalmente con l’aiuto del Signore, le nostre emozioni e reazioni.

La pazienza ha più a che fare con la sopportazione delle difficoltà che fanno parte della vita. Infatti, la parola pazienza deriva da... patire. Essere pazienti non è facile. Anzi, è umanamente impossibile. La pazienza deriva da un atteggiamento di sottomissione gioiosa e volontaria a Dio.

Un grande esempio biblico di pazienza è Giobbe. Ad un certo punto, perse tutto: ricchezze, beni, figli e salute. Gli rimase solo una moglie disperatamente acida (poveretta, aveva perso tutto anche lei!) e un gruppo di amici ipocriti e untuosamente religiosi. Accettò tutto dalla mano di Dio, anche se quello che gli era accaduto gli sembrava ingiusto. Ne capì la ragione solo dopo un bel po’ di tempo.

L’esempio perfetto di pazienza fu Gesù, che disse di se stesso: “Imparate da me che sono mansueto (la mansuetudine è sinonimo di pazienza) e umile di cuore” e che ha detto a suo Padre: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

Penso che la descrizione della pazienza di Gesù, che ne fa Pietro, sia il commento migliore all’ordine di aggiungere la pazienza all’autocontrollo: “Se soffrite perché avete agito bene e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio. Infatti a questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandoci un esempio, perché seguiate le sue orme.

“Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno.

“Oltraggiato non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a Colui che giudica giustamente; Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché morti al peccato, vivessmo per la giustizia”.

Bello, vero?
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Di che droga sei?

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Decisamente, io sono troppo vecchia per questo pianeta! Quando per strada vedo uno che parla da solo penso che sia matto. Poi vedo che ha gli auricolari e capisco che sta parlando con qualcuno. Magari in Australia.

Dovunque vado, su dieci pesone, ce ne sono almeno sette che parlano al telefonino o stanno ricevendo dei messaggi. Ma che si dovranno mai dire?

In auto se non c’è la radio accesa non vai da nessuna parte. A casa, la TV è sempre in funzione. Coi parenti in Corea si parla con Skype. I bambini sono sempre attaccati ai loro videogiochi e sanno usare il computer meglio dei loro genitori.

Se tutto non si sa, non si vede e non si sente in tempo reale, sembra che caschi il mondo.

La droga del “tutto e subito” ha preso un po’ tutti. Lo sapevate che a Roma, in un ospedale, hanno aperto un reparto per dipendenti da computer e telefonini?

Nella METRO, l’altro giorno, ho visto una ragazza che mi ha fatto una gran tristezza. Mi pareva uno zombie con auricolari e telefonino in mano. Guardava nel vuoto come se non vedesse nessuno, mentre stava in piedi, in fondo al vagone, e si dondolava come un orso nella gabbia di uno zoo. Evidentemente stava ascoltando musica ad alto volume. Era drogata? Forse. Certo era drogata di musica.

Ogni cosa, quando è usata all’eccesso, diventa una droga. Fumo, alcol, cibo, lavoro, sesso, musica, internet, cose buone e cose nocive: tutto può diventare una droga.

Ma perché faccio tutta questa tirata? Perché la Bibbia dice di aggiungere alla fede, alla virtù e alla conoscenza anche l’autocontrollo. È un ordine preciso di Dio.

L’autocontrollo è la risposta equilibrata alle sollecitazioni di ogni tipo, buone o cattive che siano, che ci vengono dall’esterno.

La mia reazione a una scortesia può essere una frase piena di irritazione oppure no. Dipende dal mio desiderio di attaccare briga oppure di lasciar perdere.

Davanti a una coppa di gelato con panna e cialdoni, dopo un pranzo più che abbondante, la mia reazione può essere “mi-piace-troppo-e-perciò-la-mangio-anche-se-poi-vomito” oppure “no grazie, un’altra volta!”.

Ai credenti di Corinto, che litigavano fra loro, e erano addirittura pronti a andare in tribunale per farsi le loro ragioni, l’Apostolo Paolo dice: “Perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qalche danno? Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?”. L’autocontrollo poteva aiutarli a cambiare.

La Parola di Dio dice che “Dio ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di amore, di forza e di autocontrollo”. Dio ci fornisce tutto quello di cui abbiamo bisogno per autocontrollarci. L’importante è imparare a attingere la forza e la volontà di fare la cosa giusta alla fonte giusta.

La Bibbia è chiara: “Chi è lento all’ira vale più del prode guerriero; chi ha autocontrollo vale più di chi espugna città” (Proverbi 16:32). “Chi non ha autocontrollo è una città smantellata, priva di mura” (Proverbi 25:28). “È una gloria per l’uomo astenersi dalle contese, ma chiunque è insensato mostra i denti” (Proverbi 20:3).

“Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra... a chi vuole litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello...Se uno ti constringe a fare un miglio, fanne con lui due...” (Gesù). Questo sì che è autocontrollo!
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Non è una semplice stretta di mano o un “Ciao, come stai?”

La Bibbia usa un linguaggio, a volte, un po’ misterioso. Per esempio, quando leggiamo le parole “conoscere” o “conoscenza” rimaniamo un po’ perplessi, perché non corrispondono all’uso che ne facciamo nel nostro linguaggio. Cosa vuole veramente significare?

Oggi, quando ci presentano per la prima volta una persona, stendiamo la mano e diciamo: “Piacere”. Se siamo giovani, diciamo: “Ciao, come stai?” o “Come ti chiami?” E poi diciamo che abbiamo conosciuto Bruno, Paola o Mattia.

I Francesi, sempre melodrammatici, dicono “enchanté”. Gli Inglesi: “Happy to meet you”, ma con tutto il piacere, l’incanto e la gioia che si possono provare, di solito, la cosa finisce lì.

Nella Bibbia la parola conoscenza indica invece una relazione profonda e intima. Perfino la relazione intima fra un marito e una moglie viene chiamata conoscenza.

Nel Vangelo di Matteo, per esempio, è detto che Giuseppe non “conobbe” Maria fino a che non ebbe partorito il suo figlio primogenito, Gesù. È chiaro che lui non le ha solo detto: “Mi chiamo Giuseppe” e lei “Piacere, Maria”, ma che è successo molto di più. Infatti nacquero, dalla loro “conoscenza”, almeno cinque o sei bambini.

Quando Gesù ha rivolto al Padre una preghiera bellissima, che si trova nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, ha definito “la vita eterna” così: “Questa è la vita eterna: che conoscano te il solo vero Dio e Gesù Cristo che tu hai mandato”. Avere la vita eterna, non vuol dire vivere per sempre (anche nell’inferno la gente che non ha creduto esisterà eternamente), ma conoscere Dio profondamente, in modo intimo e unico, con una relazione di figli amati e benedetti.

Nel nostro cammino con Dio e nella nostra crescita spirituale, alla fede dobbiamo aggiungere la virtù (cioè fare le cose giuste e buone) e poi la conoscenza.

Questo vuol dire che dobbiamo imparare la Bibbia a memoria? C’è chi lo fa, non è detto che sarà pieno di conoscenza. La conoscenza biblica di Dio è molto più di una cultura.

Dobbiamo prendere appunti, quando il predicatore parla in chiesa? È una buona idea (se predica bene), ma anche questa non è la vera conoscenza.

Dobbiamo frequentare tutte le riunioni della chiesa e andare almeno a un convegno ogni anno? Sarebbe una buona cosa, ma non è ancora la conoscenza che dobbiamo “aggiungere” nel nostro cammino cristiano.

Conoscere Dio significa conoscere il suo carattere e le sue qualità e assorbirle nella propria vita. È una conoscenza che diventa una convinzione, una parte della vita.

Per esempio: la Bibbia dice che Dio è buono, che è “amore”. Cosa significa “conoscere” il suo amore? Vuol dire credere che Dio non è mai cattivo, capriccioso, volubile, maligno. Significa essere convinta che mi ama e vuole il mio bene. Che mi ha amata al punto di essere pronto a dare la vita di suo Figlio per salvarmi.

Come applico queste verità e le assimilo? Mi abituo, nella pratica, a credere che Lui non mi vuole mai fare del male, che non mi tratta bene un giorno e male in un altro, che quello che mi succede, nel suo piano, ha sempre uno scopo buono e che Lui vuole usare ogni avvenimento e situazione per aiutarmi a migliorare e ad assomigliare un po’ di più a Gesù. Devo credere che la sua mano buona sta dietro a ogni avvenimento (piacevole o spiacevole) della mia vita.

Poi, la Bibbia dice che Dio è santo, puro e perfetto.

Perciò sono convinta e credo che non può tollerare il peccato, che per stare vicina a Lui devo tenermi pulita dentro, anche se non arriverò mai alla perfezione che Lui chiede, ma che, se ho creduto in Cristo, Lui mi vede “in Cristo” rivestita dalla sua perfezione.

La Bibbia dice che Dio è giusto.

Perciò credo e sono convinta che non fa ingiustizie, anche se io non capisco e non conosco sempre i suoi fini, che è equilibrato e che vuole fare di me una persona giusta. E così si va avanti con le altre qualità di Dio: la fedeltà, la sapienza, la severità, la misericordia ecc.

Naturalmente, questa conoscenza si ottiene leggendo e meditando la Bibbia, pregando e arrendendosi totalmente a Lui. Non è un processo di un giorno. Dura tutta la vita.
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SCAPPA!

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Vanessa, ve la ricordate?, ha deciso. Di film porno non se ne sarebbe parlato assolutamente mai più. Però le rimaneva un senso di insicurezza.

Come la considerava adesso Dio? La vedeva ancora sporca come si sentiva lei? Era scontento? L’avrebbe punita?

Si confidò con la sua vecchia maestra della scuola domenicale che le aveva insegnato i rudimenti della fede, quando era bambina.

Le raccontò tutto per filo e per segno. “Ho pensato questo e questo. Poi è successo questo e questo. Poi ho deciso questo e questo... Adesso sono così e così”.

La vecchia signora non si mostrò affatto turbata o scandalizzata. “Tutti siamo tentati di fare delle cose sbagliate, cara” disse. “L’importante è rendersene conto e rimettersi sulla buona strada e continuare il cammino. Di ogni caduta dobbiamo fare uno scalino per salire più in alto”.

“E come faccio? Mi sento così confusa e sporca... ” disse Vanessa.

“Per prima cosa bisogna confessare il nostro peccato con precisione al Signore. Avevi promesso di non guardare dei film porno e a casa della tua amica lo hai fatto. Dillo al Signore e chiedigli di perdonarti. Lo ricordi il versetto in 1 Giovanni 1:9: “Se confessiamo i nostri peccati...

Vanessa continuò e finì: “Egli è fedele e giusto da perdonarci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità”.

“Gesù è morto per ogni nostro peccato. I peccati compiuti prima di accoglierlo nella nostra vita e poi quelli che facciamo nel nostro cammino di tutti i giorni” continuò la vecchia maestra. “Quando pecchiamo, confessiamo in maniera precisa il peccato fatto e il Signore lo cancella. Lui è fedele e ha promesso di farlo e lo fa. Per Lui non esiste più.

“Poi dobbiamo decidere, con l’aiuto del Signore, di non ricadere.” E aggiunse sorridendo: “E io ho l’impressione che tu sia ben decisa a non ripetere l’esperienza...”

“Non c’è dubbio!” disse Vanessa.

La maestra continuò a spiegare: “Se necessario, oltre a chiedere perdono al Signore si deve chiederlo anche a chi possiamo avere offeso. Dobbiamo sistemare le cose. Che ne so, restituire, fare pace... E poi, e questo è importantissimo, non dobbiamo più rimetterci in situazioni simili a quelle in cui siamo caduti. Dio non ha mai promesso di tirarci fuori dai pericoli in cui ci mettiamo stupidamente.

“E se la tentazione si affaccia... si scappa! Ma si scappa alla grande! La Bibbia lo dice chiaramente e fa degli esempi precisi. Puoi pensare a qualcuno che è scappato?”

“Forse Giuseppe che è scappato dalla moglie del suo padrone che voleva portarselo a letto?” suggerì Vanessa.

“Esattamente!”

“Invece con Batseba... Davide avrebbe dovuto scappare come una lepre!” disse Vanessa ridendo.

La maestra diventò seria: “Un’altra cosa. È molto importante non prendere alla leggera la grazia di Dio. Il Signore ci perdona, ma i risultati delle nostre scelte sbagliate restano. Davide ha perso ogni autorità sui suoi figli e la sua vita è stata molto travagliata, dopo il suo peccato. Ne ha sofferto fino a che non è morto....”

Vanessa la guardò negli occhi: “Io voglio fare bene e far piacere al Signore. Quando ho qualche problema o dubbio, posso telefonarle? Mi sembra che con lei posso dire tutto”.

“Certamente: sarò sempre tutta orecchi!”

Vanessa è una ragazza fittizia. Però conosco altre Vanesse che ancora stanno scendendo un gradino dopo l’altro. Non hanno ancora capito che, davanti alla tentazione, si deve scappare. E nel peccato ci son dentro fino al collo.
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Non voglio sembrare bigotta. Perciò…

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Allora, vi siete fatti l’esamino, riguardo alla vostra virtù e all’ordine di essere irreprensibili che Dio ci dà?

Non vi chiedo di dirmi come’è andato, ma un certo Fabio mi ha scritto che sono troppo dura e che nella vita cristiana bisogna fare attenzione a non diventare esagerati. Se no, si finisce per essere bigotti e intolleranti.

Da un lato, gli devo dare ragione. È vero, i rischi ci sono sempre.

Però, secondo me, c’è un grossa differenza fra essere bigotti e intolleranti e credenti seri. Di solito, i bigotti si fissano su formalismi e non badano alla sostanza. Mettono su una facciata religiosa che li fa sentire a posto, ma non si preoccupano di badare e di verificare se ciò che credono, fanno e pensano sia giusto o no. Quanto agli intolleranti, sono di solito dei grandissimi orgogliosi. E se volete la mia opinione, i tolleranti, però, sono loro i peggiori intolleranti. Guai parlare loro di assoluti e di certezze. Ti sparerebbero volontieri. Con una pistola tollerante, naturalmente.

La regola d’oro per me è essere intollerante con me stessa, cioè non scusare i miei peccati, e tollerante con gli altri. Questo mi aiuta – almeno lo spero! – a stare in campana e a trattare la gente con gentilezza e fermezza amorevole.

Sia come sia, bigotta o intollerante, intransigente o tollerante, davanti a un ordine di Dio, come quello di essere irreprensibile, sono messa davanti a una scelta, a una specie di bivio. Si aprono due vie. La via dell’ubbidienza o quella della disubbidienza. Se Dio lo ordina, non avrei scelta. Quanto è difficile, però...

Se rifiuto di scegliere la strada dell’ubbidienza, mi incammino sulla strada del declino morale e spirituale. Su questo non ci piove.

Faccio un esempio, tanto per capirci. È un esempio virtuale, ma se cambiassi il nome della ragazza, non lo sarebbe più.

Passo n.1. – Vanessa è una credente e ha deciso di non andare mai a vedere dei film porno, perché hanno scene volgari, per dir poco, e un messaggio assolutamente contrario ai suoi principi. Però i suoi amici li guardano e non sembra che influiscano sulla loro condotta.

Passo n.2 – Vanessa pensa: “So che la mia è una decisione giusta. Ma ho una voglia matta di vedere un film di quel tipo, almeno una volta. Se non vado al cine a luci rosse, almeno potrei trovare un surrogato”.

Passo n.3 - Compra una rivista porno. Mica male. Non è poi così diversa da certe foto su PANORAMA. Certo, alcune esagerano...

Passo n.4 – Vanessa rimugina: “Ne voglio parlare con un’amica, una compagna di scuola. Solo per sentire la sua opinione. Mi scoccia di fare la figura della santina. Non starò mica schezando col fuoco? No. Non credo”.

Passo n.5 – Vanessa: “Ho parlato con l’amica e mi ha invitata per sabato a casa sua... Dice che mi devo fare furba”.

Passo n.6 – Vanessa pensa: “Sento che non sto facendo bene. E se fosse lo Spirito Santo che sta parlando alla mia coscienza? Ma per una volta... Quasiasi cosa succeda, Dio è con me...”

Passo n.7 – Vanessa: “Vorrei avere ascoltato quella voce. La serata con l’amica è stata un vero schifo. Mai più.”

A questo punto, c’è un altro bivio: far finta di niente o continuare verso il disastro. Vanessa deve decidere... La ritroveremo la prossima volta.
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