Rossella, sono di nuovo da te.
Mi hai detto che è andata bene per qualche giorno col tuo figlio terribile e ora mi dici che sei da capo. Tu dici e lui non fa. I premi non funzionano e le minacce neppure. Con la mia immaginazione, ti vedo con gli occhi in cui si vede solo il bianco, i capelli mezzi scarmigliati e l’espressione da martire del primo secolo. Dico bene? E vedo anche un’altra cosa: il tuo bambino con l’espressione del vincitore che è riuscito a ottenere quello che desiderava.
Permettimi due domande. Lo hai davvero premiato? Alle minacce hai fatto seguire, se necessaria, una punizione?
Io non so tutta la tua situazione e so perfettamente che ci sono bambini testardi che mettono a dura prova la pazienza e i nervi dei genitori. Ma non credo che sia possibile che un bambino di tre anni l’abbia vinta su un adulto che tiene duro.
Ho paura che, dopo qualche giorno di ubbidienza, il bambino ci abbia riprovato, mentre tu ti illudevi di avere vinto la guerra. E hai ceduto, sperando che avesse imparato la lezione dell’ubbidienza.
Un bambino di tre anni non impara a ubbidire, se non è costretto. Un po’ “dimentica di stare buono” (e noi glielo dobbiamo “far ricordare”) e un po’ ci marcia. Non perseverare nella correzione, significa aiutarlo a credere che non deve prendere sul serio quello che gli diciamo.
Dio non fa così con noi. Ci avverte delle nostre responsabilità, ci dà degli ordini, e ci dice che la disubbidienza porterà delle conseguenze. Lo ha fatto con Adamo e Eva (“il giorno che mangerai di quel frutto .... morrai”) e leggendo la Bibbia si vede che ha continuato a agire in questo modo.
Perfino Gesù ha parlato molto più di inferno che di paradiso e non ha lesinato gli ammonimenti, parlando delle conseguenze della ribellione.
Io vedo troppi genitori poco coerenti. Minacciano, gridano, ma non impongono la loro volontà. Proprio l’altro giorno, una mamma ha sgridato, davanti a me, un frugolo bello come un angelo e impertinente come un diavolo: “Se ti vedo un’altra volta, ti porto di là e te le dò di santa ragione”. Lui ha rifatto pari pari la cosa che non doveva fare e la mamma: “Te lo avevo detto di non farlo!”. E ha continuato a chiacchierare con noi amiche.
“Ma perché non lo hai portato di là?” ho chiesto quando ci siamo separate.
“Gli voglio troppo bene e ci rimane troppo male se lo punisco. Certe volte non mi guarda più per mezza giornata...” . La Bibbia parla di perseveranza nell’ammonimento e dell’importanza della correzione. Questa non è mancanza di amore. Tuttaltro. La lettera agli Ebrei, nel Nuovo Testamento, dice che Dio "corregge colui che Egli ama e flagella (mamma mia!) il figlio che gli è gradito”. Lo fa con costanza e grande pazienza. Ma lo fa!
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