L’ultima volta ho detto che c’è qualcosa che livella tutti, razzisti, stupratori e brava gente, ed è la realtà del peccato (Dario Fo lo chiama la bestia) che è dentro di noi.
Non ci credi? Prima di discuterne, posso farti un paio di domande?
Ti sei mai arrabbiato con tuo fratello, o tua sorella o un amico? Gli hai mai detto che è scemo?
Hai mai guardato una ragazza e hai pensato che sarebbe bello andarci a letto?
Se sei onesto mi rispondi: “Certo che gli ho detto scemo. Gli ho detto anche di peggio! Ma era un momento di rabbia...” e poi aggiungi, riguardo alla bella ragazza: “Ma che male c’è? È normale. Mica sono un santo!”
Fermo! Prima di pensare che sono esagerata, smettere di leggere e cliccare su un altro blog, ascolta alcune parole di Gesù. Sono importanti: “Io vi dico che chiunque si arrabbia con suo fratello e gli dice stupido sarà condannato all’inferno” e “Chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Mamma mia! È troppo severo!
Eppure è tutto scritto nel Vangelo di Matteo.
Chiaramente, un giudice umano non può mandare in galera uno che ha solo voglia di trasgredire la legge, perché dovrebbe mettere dentro tutti e se stesso per primo. Può solo punire chi commette una colpa. Uno che ha stuprato deve punirlo, ma non può punire uno che ha solo voglia di farlo. Quanto poi a essere adultero solo per uno sguardo, chi sarebbe senza colpa?
Allora cosa voleva dire Gesù? Lui non parlava da giudice umano. Parlava da giudice divino e ha usato gli esempi della rabbia e del desiderio immorale per far capire una realtà profonda: sia chi compie un’azione malvagia sia chi ha voglia di commetterla dimostra di essere profondamente bacato interiormente. Se non hai mai desiderato la donna di un altro, forse hai desiderato la sua macchina. Se non ti sei arrabbiato con qualcuno, forse ne hai detto male.
Il Salmo 14 descrive Dio che guarda dal cielo per cercare una persona saggia che lo cerchi e non la trova. “Tutti si sono sviati, tutti si sono corrotti, non ce n’è uno che faccia il bene, neppure uno”.
E il profeta Habacuc ha detto che Dio ha gli occhi troppo puri per guardare il male.
Se le cose stanno così, non c’è scampo. Siamo tutti allo stesso livello. Se il male è dentro di noi, se Dio non può guardare il male, ci aspetta solo la separazione eterna da Lui. Logico, no? Ma c’è un “ma”. E sarà per la prossima volta. Intanto dimmi se, fin qui, ti sembra che il ragionamento fili e riguardi anche te. Per una volta non cercare scusanti. Ciao!
Di che razzismo sei?
Su molti argomenti non son d’accordo con Dario Fo. Lui è ultralaico e io credo in Dio e nella Bibbia. Ma, alcune sere fa, in una trasmissione televisiva, ha detto una cosa profondamente vera.
Nel parlare di razzismo, di stupratori e di chi afferma di volerne vendicare le vittime, usando violenza contro chi è straniero o appartiene a un’etnia diversa, ha detto che è solo gente che trova una scusa per liberare la bestia che vive in loro. Patriottismo o difesa della giustizia non c’entrano per nulla.
Aveva ragione. Il razzismo è latente in ognuno di noi.
La donna Samaritana si è meravigliata che Gesù, un Giudeo, le rivolgesse la parola, dato l’odio che esisteva fra Giudei e Samaritani. Quando, molti anni fa, sono andata in Svizzera per la prima volta, una vecchietta, con fare da spia del KGB, mi ha chiesto se era vero che noi italiani tenevamo sempre un coltello nascosto nella manica. E quando in America ho voluto sapere perché gli italiani erano chiamati “waps” il dizionario mi ha detto che “wap” è una parola onomatopeica che corrisponde a “guappo” e indica una persona “arrogante” e “buona a niente”. Allegria! Oggi le cose in America sono cambiate e per gli Italiani c’è più rispetto (soprattutto se si tratta di cibo e moda) e, nel caso scomparissero Obama e Biden, diventerebbe Presidente Nancy Pelosi, di lontana discendenza abruzzese.
Ma tornando al razzismo, noi italiani non siamo da meno. Oggi il meridione non lo chiamiamo più “bassa Italia” come una volta, ma il campanilismo ce li abbiamo nel sangue. Ho parlato, giorni fa, con una donna siciliana che ha sposato un nordista, che non perde un’occasione per ricordarle con durezza le sue origini. E basta accendere la televisione per intuire una certa tensione fra nord e sud.
Il razzismo è un forte segno di stupidità, perché le persone devono essere trattate come individui.
Dio ha guardato dal cielo, dice la Bibbia, e ha visto che tutti gli uomini sono peccatori e nessuno è perfetto (dice addirittura che tutti sono malvagi e che nessuna cerca il bene). Perciò, se ci mettiamo la mano sulla coscienza, dobbiamo confessare che non siamo meglio di chi ruba o stupra, dato che nel nostro cuore troviamo spesso l’odio, l’invidia e il desiderio di vendetta.
Esagerazione? Ne parliamo la prossima volta.
Nel parlare di razzismo, di stupratori e di chi afferma di volerne vendicare le vittime, usando violenza contro chi è straniero o appartiene a un’etnia diversa, ha detto che è solo gente che trova una scusa per liberare la bestia che vive in loro. Patriottismo o difesa della giustizia non c’entrano per nulla.
Aveva ragione. Il razzismo è latente in ognuno di noi.
La donna Samaritana si è meravigliata che Gesù, un Giudeo, le rivolgesse la parola, dato l’odio che esisteva fra Giudei e Samaritani. Quando, molti anni fa, sono andata in Svizzera per la prima volta, una vecchietta, con fare da spia del KGB, mi ha chiesto se era vero che noi italiani tenevamo sempre un coltello nascosto nella manica. E quando in America ho voluto sapere perché gli italiani erano chiamati “waps” il dizionario mi ha detto che “wap” è una parola onomatopeica che corrisponde a “guappo” e indica una persona “arrogante” e “buona a niente”. Allegria! Oggi le cose in America sono cambiate e per gli Italiani c’è più rispetto (soprattutto se si tratta di cibo e moda) e, nel caso scomparissero Obama e Biden, diventerebbe Presidente Nancy Pelosi, di lontana discendenza abruzzese.
Ma tornando al razzismo, noi italiani non siamo da meno. Oggi il meridione non lo chiamiamo più “bassa Italia” come una volta, ma il campanilismo ce li abbiamo nel sangue. Ho parlato, giorni fa, con una donna siciliana che ha sposato un nordista, che non perde un’occasione per ricordarle con durezza le sue origini. E basta accendere la televisione per intuire una certa tensione fra nord e sud.
Il razzismo è un forte segno di stupidità, perché le persone devono essere trattate come individui.
Dio ha guardato dal cielo, dice la Bibbia, e ha visto che tutti gli uomini sono peccatori e nessuno è perfetto (dice addirittura che tutti sono malvagi e che nessuna cerca il bene). Perciò, se ci mettiamo la mano sulla coscienza, dobbiamo confessare che non siamo meglio di chi ruba o stupra, dato che nel nostro cuore troviamo spesso l’odio, l’invidia e il desiderio di vendetta.
Esagerazione? Ne parliamo la prossima volta.
Avere fede... Ma quanta fede?
Quanto mi piace la Bibbia! È un libro così onesto che di più non si può. E mi piace perché i suoi personaggi sono così veri!
Per esempio, dove si troverebbe una descrizione più candida dei sentimenti di un padre che aveva un figlio epilettico, addirittura indemoniato, il quale andava in convulsioni e gli cadeva nel fuoco e nell’acqua e non poteva essere controllato? Un ragazzo dilaniato dal male, per di più figlio unico?
Il poveretto era andato dai discepoli, a cui Gesù aveva concesso poteri sovrannaturali per compiere miracoli, affinché lo guarissero. E questi ci avevano provato. I Vangeli non dicono come, ma probabilmente avevano imposto le mani sul ragazzo, avevano pregato, invocato la potenza di Dio. Ma niente era successo.
Il povero padre era profondamente deluso, scoraggiato e più disperato di prima. Un miracolo era l’ultima speranza a cui aggrapparsi.
Arriva Gesù, che si avvicina al gruppetto composto dal padre e dai discepoli e dalla gente. Il padre gli dice: “I tuoi discepoli ci hanno provato, ma inutilmente. Vedi un po’ tu... Uno spirito lo prende, lo manda in convulsioni, la bocca gli si riempie di bava. Poi rimane stecchito come morto. Una pena infinita... Se tu puoi farci qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”.
Gesù ordina che gli sia portato il ragazzo. Immediatamente, davanti a Gesù, questo ha un attacco di convulsioni strazianti. Il padre deluso, scoraggiato, dubbioso, ora sente le parole del Signore: “Dici: se puoi?! Ogni cosa è possibile a chi crede!”
Un’affermazione da niente! Una certa misura di fede lui ce l’aveva e l’aveva dimostrata nel rivolgersi ai discepoli e ora a Gesù stesso. Ma credere davanti alla realtà di un ragazzo che si contorceva e schiumava, non era facile. Perciò con una trasparenza disarmante esclama: “Signore, io credo! Vieni in aiuto alla mia incredulità!”.
Col Signore non dobbiamo avere paura di dirgli esattamente come ci sentiamo. Lui non si spaventa né si stupisce. Ci conosce fino in fondo e sa tutto di noi. Vedeva in quel padre la fiducia, ma capiva che c’era anche in lui il dubbio determinato dalla realtà che gli stava davanti: un figlio disperatamente malato e in convulsioni. Tutto questo non gli impedì di operare il miracolo.
Con autorità ordinò: “Spirito muto e sordo, io ti comando di uscire da lui e di non entrare più in lui”.
Lo spirito ubbidì e uscì dal ragazzo, straziandolo per l’ultima volta, come per dargli un ultimo colpo di cattiveria. La crisi fu così forte che il ragazzo rimase immobile. Sembrava morto.
Cosa avrà pensato quel povero padre? “Ecco è finita... non ho avuto abbastanza fede... era quasi meglio quando aveva le crisi... almeno era vivo...” I vangeli tacciono, ma lo possiamo immaginare, conoscendo quando anche la nostra fede possa, a volte, essere vacillante.
Però Gesù prende il ragazzo per mano, lo solleva e lo riconsegna al padre. È guarito!
Meraviglioso! Anche la nostra fede è spesso un misto di fiducia e di insicurezza, di slancio e di incertezza. Spesso pensiamo di averne troppo poca e di qualità scadente. Ma non importa quanta ne abbiamo e quanto sia mischiata a sentimenti contrastanti. Quello che importa è che sia grande almeno quanto un piccolissimo granello di senape, come ha detto Gesù stesso, ma che sia messa su di Lui e Lui solo. Sulla sua potenza e la sua compassione. Allora, funziona.
Leggi tutto l’episodio, raccontato in tre versioni, che si completano l’una con l’altra, in Matteo 17:14-21; Marco 9:14-27; Luca 9:37-43.
Per esempio, dove si troverebbe una descrizione più candida dei sentimenti di un padre che aveva un figlio epilettico, addirittura indemoniato, il quale andava in convulsioni e gli cadeva nel fuoco e nell’acqua e non poteva essere controllato? Un ragazzo dilaniato dal male, per di più figlio unico?
Il poveretto era andato dai discepoli, a cui Gesù aveva concesso poteri sovrannaturali per compiere miracoli, affinché lo guarissero. E questi ci avevano provato. I Vangeli non dicono come, ma probabilmente avevano imposto le mani sul ragazzo, avevano pregato, invocato la potenza di Dio. Ma niente era successo.
Il povero padre era profondamente deluso, scoraggiato e più disperato di prima. Un miracolo era l’ultima speranza a cui aggrapparsi.
Arriva Gesù, che si avvicina al gruppetto composto dal padre e dai discepoli e dalla gente. Il padre gli dice: “I tuoi discepoli ci hanno provato, ma inutilmente. Vedi un po’ tu... Uno spirito lo prende, lo manda in convulsioni, la bocca gli si riempie di bava. Poi rimane stecchito come morto. Una pena infinita... Se tu puoi farci qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”.
Gesù ordina che gli sia portato il ragazzo. Immediatamente, davanti a Gesù, questo ha un attacco di convulsioni strazianti. Il padre deluso, scoraggiato, dubbioso, ora sente le parole del Signore: “Dici: se puoi?! Ogni cosa è possibile a chi crede!”
Un’affermazione da niente! Una certa misura di fede lui ce l’aveva e l’aveva dimostrata nel rivolgersi ai discepoli e ora a Gesù stesso. Ma credere davanti alla realtà di un ragazzo che si contorceva e schiumava, non era facile. Perciò con una trasparenza disarmante esclama: “Signore, io credo! Vieni in aiuto alla mia incredulità!”.
Col Signore non dobbiamo avere paura di dirgli esattamente come ci sentiamo. Lui non si spaventa né si stupisce. Ci conosce fino in fondo e sa tutto di noi. Vedeva in quel padre la fiducia, ma capiva che c’era anche in lui il dubbio determinato dalla realtà che gli stava davanti: un figlio disperatamente malato e in convulsioni. Tutto questo non gli impedì di operare il miracolo.
Con autorità ordinò: “Spirito muto e sordo, io ti comando di uscire da lui e di non entrare più in lui”.
Lo spirito ubbidì e uscì dal ragazzo, straziandolo per l’ultima volta, come per dargli un ultimo colpo di cattiveria. La crisi fu così forte che il ragazzo rimase immobile. Sembrava morto.
Cosa avrà pensato quel povero padre? “Ecco è finita... non ho avuto abbastanza fede... era quasi meglio quando aveva le crisi... almeno era vivo...” I vangeli tacciono, ma lo possiamo immaginare, conoscendo quando anche la nostra fede possa, a volte, essere vacillante.
Però Gesù prende il ragazzo per mano, lo solleva e lo riconsegna al padre. È guarito!
Meraviglioso! Anche la nostra fede è spesso un misto di fiducia e di insicurezza, di slancio e di incertezza. Spesso pensiamo di averne troppo poca e di qualità scadente. Ma non importa quanta ne abbiamo e quanto sia mischiata a sentimenti contrastanti. Quello che importa è che sia grande almeno quanto un piccolissimo granello di senape, come ha detto Gesù stesso, ma che sia messa su di Lui e Lui solo. Sulla sua potenza e la sua compassione. Allora, funziona.
Leggi tutto l’episodio, raccontato in tre versioni, che si completano l’una con l’altra, in Matteo 17:14-21; Marco 9:14-27; Luca 9:37-43.
Al sicuro fra le braccia di Dio
Sonia non è la sola mamma che mi ha scritto piangendo perché ha perduto un bambino, dopo alcuni mesi di gravidanza. È un dolore che io non posso capire fino in fondo, perché non l’ho mai provato. Però mi rendo conto che deve dare un grande senso di vuoto e di delusione. Se non proprio di sconfitta e di colpa. Tipo: “Se mi fossi riposata un po‘ di più... Se non avessi alzato quel peso.”
La lettera di Sonia conteneva anche un particolare molto tenero: “Era così carino, con le manine chiuse a pugno, e sembrava che sorridesse. Avrei voluto stringerlo a me, ma lo hanno portato via molto presto”. E concludeva: “Dimmi se lo rivedrò e se ho il diritto di piangerlo. Mi hanno detto che dovrei rallegrarmi, perché di sicuro non avrà una vita di dolore... Aiutami tu che sei una mamma”.
Cara Sonia, Vorrei abbracciarti e stringerti forte, ma purtroppo sei lontanissima, addirittura in un altro continente. Piangi quanto ti pare e fai il tuo lutto come ti senti meglio. Il Signore Gesù ha pianto davanti alla tomba di Lazzaro, pur sapendo che fra pochi momenti lo avrebbe risuscitato. Ma sapeva che la morte è una realtà che si sarebbe ripresentata, per Lazzaro stesso, e che fa male. Una realtà che ci lascia perplessi, soprattutto quando ci sembra ... ingiusta, come quella di un piccino tanto desiderato e aspettato e che, per una ragione che Dio solo conosce, non viene alla luce.
Il tuo bambino è in cielo, perfetto, pienamente sano e felice. Questo te lo posso garantire sull’autorità della Bibbia. Gesù ha detto testualmente che il regno dei cieli è dei piccoli, proprio parlando di bambini. Ed è anche vero che il tuo non conoscerà le tristezze della vita umana e il dolore del peccato.
Per quello che riguarda te, cara, io non ti conosco e non ho idea di quale sia la tua condizione spirituale. Se hai capito di essere una persona che per natura pecca e che perciò non merita di andare in cielo, ma hai creduto col cuore che Gesù è venuto in terra per salvare i peccatori e lo hai accolto nella tua vita come Salvatore e Signore, la Parola di Dio ti dà la certezza che un giorno, in cielo, rivedrai il tuo piccolino. Se no, ti supplico di aprirti all’amore di Gesù e di accettare il suo dono di salvezza.
Se tu volessi leggere un libro, pieno di amore e di tenerezza, che può aiutarti a affrontare il tuo dolore, riempirti di pace e di sicurezza, per oggi e per sempre, ti consiglio di leggere “AL SICURO FRA LE BRACCIA DI DIO”. Ti farà del bene.
Clicca sulla figura della copertina e avrai le informazioni per procurartelo. Ti voglio bene.
La lettera di Sonia conteneva anche un particolare molto tenero: “Era così carino, con le manine chiuse a pugno, e sembrava che sorridesse. Avrei voluto stringerlo a me, ma lo hanno portato via molto presto”. E concludeva: “Dimmi se lo rivedrò e se ho il diritto di piangerlo. Mi hanno detto che dovrei rallegrarmi, perché di sicuro non avrà una vita di dolore... Aiutami tu che sei una mamma”.
Cara Sonia, Vorrei abbracciarti e stringerti forte, ma purtroppo sei lontanissima, addirittura in un altro continente. Piangi quanto ti pare e fai il tuo lutto come ti senti meglio. Il Signore Gesù ha pianto davanti alla tomba di Lazzaro, pur sapendo che fra pochi momenti lo avrebbe risuscitato. Ma sapeva che la morte è una realtà che si sarebbe ripresentata, per Lazzaro stesso, e che fa male. Una realtà che ci lascia perplessi, soprattutto quando ci sembra ... ingiusta, come quella di un piccino tanto desiderato e aspettato e che, per una ragione che Dio solo conosce, non viene alla luce.
Il tuo bambino è in cielo, perfetto, pienamente sano e felice. Questo te lo posso garantire sull’autorità della Bibbia. Gesù ha detto testualmente che il regno dei cieli è dei piccoli, proprio parlando di bambini. Ed è anche vero che il tuo non conoscerà le tristezze della vita umana e il dolore del peccato.
Per quello che riguarda te, cara, io non ti conosco e non ho idea di quale sia la tua condizione spirituale. Se hai capito di essere una persona che per natura pecca e che perciò non merita di andare in cielo, ma hai creduto col cuore che Gesù è venuto in terra per salvare i peccatori e lo hai accolto nella tua vita come Salvatore e Signore, la Parola di Dio ti dà la certezza che un giorno, in cielo, rivedrai il tuo piccolino. Se no, ti supplico di aprirti all’amore di Gesù e di accettare il suo dono di salvezza.
Se tu volessi leggere un libro, pieno di amore e di tenerezza, che può aiutarti a affrontare il tuo dolore, riempirti di pace e di sicurezza, per oggi e per sempre, ti consiglio di leggere “AL SICURO FRA LE BRACCIA DI DIO”. Ti farà del bene.
Clicca sulla figura della copertina e avrai le informazioni per procurartelo. Ti voglio bene.
Occhio al grasso!
La volta scorsa vi ho parlato della coppia inglese giudicata troppo grassa per poter adottare dei bambini e della donna americana che ha fatto causa a una ditta perché non l’avevano assunta in un ufficio perché giudicata troppo grassa.
Ma come si fa a levarsi i chili di troppo?
Per esperienza, so che per perdere ragionevolmente peso basta mangiare un po’ meno di quanto siamo abituati, alzarsi da tavola con un poco di appetito, non mangiare fra i pasti e sostituire lo snack o la merendina, così dolce e consolante, con una carota, una mela o un bel gambo di sedano (che tristezza!...).
Ma il discorso si fa più serio se si capisce che mangiare troppo è tanto grave quanto bere eccessivamente o fumare. La Bibbia lo chiama, addirittura, “peccato”.
Purtroppo, però, dato che mangiare ci piace e che la cucina italiana è tanto buona, noi prendiamo la golosità e l’ingordigia alla leggera. Il troppo cibo non danneggia il cervello, come invece può fare l’alcool. E anche se siamo grassi, o addirittura obesi, pensiamo di poter riuscire a funzionare bene quanto chi è magro. Perciò, ci guardiamo allo specchio, sospiriamo e ci scusiamo dicendo: “Sono fatto così. Anche mio padre pesava più di un quintale”.
Proprio l’altro giorno ho sentito un obeso che diceva: “Il cibo è la mia droga”. E ci rideva su. Ma riderà anche quando sentirà la sirena dell’ambulanza che arriva per portarlo all’ospedale per curargli l’infarto?
Mangiare troppo non è solo stupido. Ha anche un risvolto spirituale. Se non credi che sia un peccato, ascolta quello che dice la Bibbia.
Proverbi di Salomone, 23:1: “Mettiti un coltello alla gola, se sei ingordo. Non bramare i bocconi delicati: sono un cibo ingannatore”.
Ev. di Luca, 21:3,34: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Badate a voi stessi, che talora i vostri cuori non siano aggravati da mangiare smodatamente, da ubriachezza e da ansiose sollecitudini...”
Lettera di S. Paolo ai Romani, 13:13: “Comportiamoci onestamente: non in gozzoviglie (baldorie) e ebbrezze... e non abbiate cura della carne, per soddisfarne i desideri”. Cap. 14:17: “Il regno di Dio non consiste in vivanda né bevanda, ma è giustizia, pace , allegrezza nello Spirito Santo”.
Prima Lettera di S. Pietro, 4:3: “Basta l’aver dato il vostro passato a fare la volontà dei pagani col vivere nell’immoralità, nelle concupiscenze, nelle ubriachezze, nelle gozzoviglie, nelle bevute e nelle nefande idolatrie”.
Mi pare che sia chiaro, no?
Ma come si fa a levarsi i chili di troppo?
Per esperienza, so che per perdere ragionevolmente peso basta mangiare un po’ meno di quanto siamo abituati, alzarsi da tavola con un poco di appetito, non mangiare fra i pasti e sostituire lo snack o la merendina, così dolce e consolante, con una carota, una mela o un bel gambo di sedano (che tristezza!...).
Ma il discorso si fa più serio se si capisce che mangiare troppo è tanto grave quanto bere eccessivamente o fumare. La Bibbia lo chiama, addirittura, “peccato”.
Purtroppo, però, dato che mangiare ci piace e che la cucina italiana è tanto buona, noi prendiamo la golosità e l’ingordigia alla leggera. Il troppo cibo non danneggia il cervello, come invece può fare l’alcool. E anche se siamo grassi, o addirittura obesi, pensiamo di poter riuscire a funzionare bene quanto chi è magro. Perciò, ci guardiamo allo specchio, sospiriamo e ci scusiamo dicendo: “Sono fatto così. Anche mio padre pesava più di un quintale”.
Proprio l’altro giorno ho sentito un obeso che diceva: “Il cibo è la mia droga”. E ci rideva su. Ma riderà anche quando sentirà la sirena dell’ambulanza che arriva per portarlo all’ospedale per curargli l’infarto?
Mangiare troppo non è solo stupido. Ha anche un risvolto spirituale. Se non credi che sia un peccato, ascolta quello che dice la Bibbia.
Proverbi di Salomone, 23:1: “Mettiti un coltello alla gola, se sei ingordo. Non bramare i bocconi delicati: sono un cibo ingannatore”.
Ev. di Luca, 21:3,34: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Badate a voi stessi, che talora i vostri cuori non siano aggravati da mangiare smodatamente, da ubriachezza e da ansiose sollecitudini...”
Lettera di S. Paolo ai Romani, 13:13: “Comportiamoci onestamente: non in gozzoviglie (baldorie) e ebbrezze... e non abbiate cura della carne, per soddisfarne i desideri”. Cap. 14:17: “Il regno di Dio non consiste in vivanda né bevanda, ma è giustizia, pace , allegrezza nello Spirito Santo”.
Prima Lettera di S. Pietro, 4:3: “Basta l’aver dato il vostro passato a fare la volontà dei pagani col vivere nell’immoralità, nelle concupiscenze, nelle ubriachezze, nelle gozzoviglie, nelle bevute e nelle nefande idolatrie”.
Mi pare che sia chiaro, no?
Troppo grasso che cola?
Ho sentito, al telegiornale, che in Inghilterra a una coppia di sposi obesi è stato negato il diritto di adottare un bambino. Ragione: la salute di una persona obesa è a rischio e non sarebbe giusto affidare la cura di un bambino a una coppia che non dia affidamento per quello che riguarda la lunghezza della vita.
I due genitori mancati, in TV, avevano l’aria molto dispiaciuta, ma il loro aspetto era veramente poco promettente. Cercheranno di dimagrire e rinunceranno alle troppe visite ai fast food, tipo MacDonald? Probabilmente non lo saprò mai.
Un’altra notizia, sempre data dalla TV, è che in America una donna ha fatto causa a un possibile datore di lavoro che non l’ha assunta perché troppo grassa. Era così grossa che non entrava dietro al banco della ricezione, dove doveva lavorare!
Gli obesi stanno aumentando in maniera esponenziale nelle nazioni occidentali e pare che siano in crescita anche in Cina e in India. La vita moderna caotica e movimentata, quasi costringe a curare poco la dieta, a mangiare in fretta e a non contare troppo le calorie.
Lo vedo in molte famiglie: i pasti in comune quasi non esistono più e molti genitori e figli mangiano a spizzico e senza orari precisi e regolati. I figli, che mangiano spesso da soli, non cercano di sicuro frutta e verdura nel frigorifero, ma si buttano su pasta e pizza. E la pubblicità non aiuta la situazione offrendo, a tutto spiano, merendine, cibi precotti da saltare in padella o da riscaldare.
Così la gente aumenta di peso e poi si butta a seguire diete balorde. Perde fose un po’ di chili, che però poi riprende... col contentino.
Calmi tutti! Non intendo proporre io una dieta nuova. Vi dico solo di stare in campana.
La prossima volta ne parliamo più seriamente.
I due genitori mancati, in TV, avevano l’aria molto dispiaciuta, ma il loro aspetto era veramente poco promettente. Cercheranno di dimagrire e rinunceranno alle troppe visite ai fast food, tipo MacDonald? Probabilmente non lo saprò mai.
Un’altra notizia, sempre data dalla TV, è che in America una donna ha fatto causa a un possibile datore di lavoro che non l’ha assunta perché troppo grassa. Era così grossa che non entrava dietro al banco della ricezione, dove doveva lavorare!
Gli obesi stanno aumentando in maniera esponenziale nelle nazioni occidentali e pare che siano in crescita anche in Cina e in India. La vita moderna caotica e movimentata, quasi costringe a curare poco la dieta, a mangiare in fretta e a non contare troppo le calorie.
Lo vedo in molte famiglie: i pasti in comune quasi non esistono più e molti genitori e figli mangiano a spizzico e senza orari precisi e regolati. I figli, che mangiano spesso da soli, non cercano di sicuro frutta e verdura nel frigorifero, ma si buttano su pasta e pizza. E la pubblicità non aiuta la situazione offrendo, a tutto spiano, merendine, cibi precotti da saltare in padella o da riscaldare.
Così la gente aumenta di peso e poi si butta a seguire diete balorde. Perde fose un po’ di chili, che però poi riprende... col contentino.
Calmi tutti! Non intendo proporre io una dieta nuova. Vi dico solo di stare in campana.
La prossima volta ne parliamo più seriamente.
Perseverare che fatica!
Rossella, sono di nuovo da te.
Mi hai detto che è andata bene per qualche giorno col tuo figlio terribile e ora mi dici che sei da capo. Tu dici e lui non fa. I premi non funzionano e le minacce neppure. Con la mia immaginazione, ti vedo con gli occhi in cui si vede solo il bianco, i capelli mezzi scarmigliati e l’espressione da martire del primo secolo. Dico bene? E vedo anche un’altra cosa: il tuo bambino con l’espressione del vincitore che è riuscito a ottenere quello che desiderava.
Permettimi due domande. Lo hai davvero premiato? Alle minacce hai fatto seguire, se necessaria, una punizione?
Io non so tutta la tua situazione e so perfettamente che ci sono bambini testardi che mettono a dura prova la pazienza e i nervi dei genitori. Ma non credo che sia possibile che un bambino di tre anni l’abbia vinta su un adulto che tiene duro.
Ho paura che, dopo qualche giorno di ubbidienza, il bambino ci abbia riprovato, mentre tu ti illudevi di avere vinto la guerra. E hai ceduto, sperando che avesse imparato la lezione dell’ubbidienza.
Un bambino di tre anni non impara a ubbidire, se non è costretto. Un po’ “dimentica di stare buono” (e noi glielo dobbiamo “far ricordare”) e un po’ ci marcia. Non perseverare nella correzione, significa aiutarlo a credere che non deve prendere sul serio quello che gli diciamo.
Dio non fa così con noi. Ci avverte delle nostre responsabilità, ci dà degli ordini, e ci dice che la disubbidienza porterà delle conseguenze. Lo ha fatto con Adamo e Eva (“il giorno che mangerai di quel frutto .... morrai”) e leggendo la Bibbia si vede che ha continuato a agire in questo modo.
Perfino Gesù ha parlato molto più di inferno che di paradiso e non ha lesinato gli ammonimenti, parlando delle conseguenze della ribellione.
Io vedo troppi genitori poco coerenti. Minacciano, gridano, ma non impongono la loro volontà. Proprio l’altro giorno, una mamma ha sgridato, davanti a me, un frugolo bello come un angelo e impertinente come un diavolo: “Se ti vedo un’altra volta, ti porto di là e te le dò di santa ragione”. Lui ha rifatto pari pari la cosa che non doveva fare e la mamma: “Te lo avevo detto di non farlo!”. E ha continuato a chiacchierare con noi amiche.
“Ma perché non lo hai portato di là?” ho chiesto quando ci siamo separate.
“Gli voglio troppo bene e ci rimane troppo male se lo punisco. Certe volte non mi guarda più per mezza giornata...” . La Bibbia parla di perseveranza nell’ammonimento e dell’importanza della correzione. Questa non è mancanza di amore. Tuttaltro. La lettera agli Ebrei, nel Nuovo Testamento, dice che Dio "corregge colui che Egli ama e flagella (mamma mia!) il figlio che gli è gradito”. Lo fa con costanza e grande pazienza. Ma lo fa!
Mi hai detto che è andata bene per qualche giorno col tuo figlio terribile e ora mi dici che sei da capo. Tu dici e lui non fa. I premi non funzionano e le minacce neppure. Con la mia immaginazione, ti vedo con gli occhi in cui si vede solo il bianco, i capelli mezzi scarmigliati e l’espressione da martire del primo secolo. Dico bene? E vedo anche un’altra cosa: il tuo bambino con l’espressione del vincitore che è riuscito a ottenere quello che desiderava.
Permettimi due domande. Lo hai davvero premiato? Alle minacce hai fatto seguire, se necessaria, una punizione?
Io non so tutta la tua situazione e so perfettamente che ci sono bambini testardi che mettono a dura prova la pazienza e i nervi dei genitori. Ma non credo che sia possibile che un bambino di tre anni l’abbia vinta su un adulto che tiene duro.
Ho paura che, dopo qualche giorno di ubbidienza, il bambino ci abbia riprovato, mentre tu ti illudevi di avere vinto la guerra. E hai ceduto, sperando che avesse imparato la lezione dell’ubbidienza.
Un bambino di tre anni non impara a ubbidire, se non è costretto. Un po’ “dimentica di stare buono” (e noi glielo dobbiamo “far ricordare”) e un po’ ci marcia. Non perseverare nella correzione, significa aiutarlo a credere che non deve prendere sul serio quello che gli diciamo.
Dio non fa così con noi. Ci avverte delle nostre responsabilità, ci dà degli ordini, e ci dice che la disubbidienza porterà delle conseguenze. Lo ha fatto con Adamo e Eva (“il giorno che mangerai di quel frutto .... morrai”) e leggendo la Bibbia si vede che ha continuato a agire in questo modo.
Perfino Gesù ha parlato molto più di inferno che di paradiso e non ha lesinato gli ammonimenti, parlando delle conseguenze della ribellione.
Io vedo troppi genitori poco coerenti. Minacciano, gridano, ma non impongono la loro volontà. Proprio l’altro giorno, una mamma ha sgridato, davanti a me, un frugolo bello come un angelo e impertinente come un diavolo: “Se ti vedo un’altra volta, ti porto di là e te le dò di santa ragione”. Lui ha rifatto pari pari la cosa che non doveva fare e la mamma: “Te lo avevo detto di non farlo!”. E ha continuato a chiacchierare con noi amiche.
“Ma perché non lo hai portato di là?” ho chiesto quando ci siamo separate.
“Gli voglio troppo bene e ci rimane troppo male se lo punisco. Certe volte non mi guarda più per mezza giornata...” . La Bibbia parla di perseveranza nell’ammonimento e dell’importanza della correzione. Questa non è mancanza di amore. Tuttaltro. La lettera agli Ebrei, nel Nuovo Testamento, dice che Dio "corregge colui che Egli ama e flagella (mamma mia!) il figlio che gli è gradito”. Lo fa con costanza e grande pazienza. Ma lo fa!
Figli difficili - 2
La mia amica Rossella mi ha fatto sapere che ha provato a fare come dicevo io, e che sembra che qualche piccolo progresso ci sia. Ma ha aggiunto: “Che fatica! Il mio piccolo ha solo tre anni, ma che volontà di ferro!”
E brava Rossella! Qualche giorno fa sembrava ridotta alla disperazione per via di un figlio disubbidiente e difficile. L’avevo incoraggiata a essere ferma e a esigere l’ubbidienza. Ha provato a tener duro col suo bambino di tre anni e le sembra di vedere qualche miglioramento.
Rossella, continua sulla strada della fermezza, ma fai anche attenzione che la tua casa non diventi una specie di caserma e tu un Caporal Maggiore che ha a che fare con una recluta.
Oltre alla fermezza ci vogliono anche molto amore e molte lodi.
L’amore si esprime fisicamente con abbracci e coccole. Con parole e sorrisi e elogi (possibilmente fatti in pubblico). Con gesti di gentilezza, ringraziando il bambino profusamente per ogni cosa buona che fa e raccontando al papà ciò che di bene ha fatto, quando torna a casa dal lavoro. È importante che il papà sappia che ha fatto delle cose buone. Se gli si raccontano solo delle cose cattive, al suo rientro finirà per essere considerato solo un questurino con le manette in tasca!
Si dice che per ogni sgridata ci vorrebbero dieci lodi. Personalmente sono convinta che se ce ne fossero tre o quattro sarebbe già molto bello.
Io usavo anche premi. Quando erano piccoli, i miei si accontentavano facilmente. Perciò usavo stelle da appiccicare su un cielo blù e mele con cui decorare la figura di un albero appeso bene in vista, o soldini da mettere in un vasetto di vetro dove si potevano vedere. Poi si contavano le stelle, le mele o i soldi e si procedeva con lodi, applausi e una gita dal gelataio. Più da grandi si può usare il sistema dei “buoni” da usare per qualche progetto speciale e si decide la quantità di “buoni” necessaria per ottenere il premio. La quantità deve essere ragionevole. Se no, i ragazzi si scoraggiano.
Naturalmente anche le trasgressioni devono essere notate e calcolate. Ma con una certa indulgenza, a meno che non siano mancanze gravi. Le bugie non erano, per esempio, tollerate a casa nostra. E neppure erano condonate l’arroganza, la mancanza di cortesia e le disubbidienze fatte di proposito. Fin da piccoli, i figli si devono abituare a comportarsi come esseri civili.
Auguri, Rossella, e a tutti voi!
E brava Rossella! Qualche giorno fa sembrava ridotta alla disperazione per via di un figlio disubbidiente e difficile. L’avevo incoraggiata a essere ferma e a esigere l’ubbidienza. Ha provato a tener duro col suo bambino di tre anni e le sembra di vedere qualche miglioramento.
Rossella, continua sulla strada della fermezza, ma fai anche attenzione che la tua casa non diventi una specie di caserma e tu un Caporal Maggiore che ha a che fare con una recluta.
Oltre alla fermezza ci vogliono anche molto amore e molte lodi.
L’amore si esprime fisicamente con abbracci e coccole. Con parole e sorrisi e elogi (possibilmente fatti in pubblico). Con gesti di gentilezza, ringraziando il bambino profusamente per ogni cosa buona che fa e raccontando al papà ciò che di bene ha fatto, quando torna a casa dal lavoro. È importante che il papà sappia che ha fatto delle cose buone. Se gli si raccontano solo delle cose cattive, al suo rientro finirà per essere considerato solo un questurino con le manette in tasca!
Si dice che per ogni sgridata ci vorrebbero dieci lodi. Personalmente sono convinta che se ce ne fossero tre o quattro sarebbe già molto bello.
Io usavo anche premi. Quando erano piccoli, i miei si accontentavano facilmente. Perciò usavo stelle da appiccicare su un cielo blù e mele con cui decorare la figura di un albero appeso bene in vista, o soldini da mettere in un vasetto di vetro dove si potevano vedere. Poi si contavano le stelle, le mele o i soldi e si procedeva con lodi, applausi e una gita dal gelataio. Più da grandi si può usare il sistema dei “buoni” da usare per qualche progetto speciale e si decide la quantità di “buoni” necessaria per ottenere il premio. La quantità deve essere ragionevole. Se no, i ragazzi si scoraggiano.
Naturalmente anche le trasgressioni devono essere notate e calcolate. Ma con una certa indulgenza, a meno che non siano mancanze gravi. Le bugie non erano, per esempio, tollerate a casa nostra. E neppure erano condonate l’arroganza, la mancanza di cortesia e le disubbidienze fatte di proposito. Fin da piccoli, i figli si devono abituare a comportarsi come esseri civili.
Auguri, Rossella, e a tutti voi!
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