La gente parla troppo. Parla, parla e parla e non pensa che forse tu non hai tempo di ascoltare e hai altre cose da fare. In più, spesso, quando uno ha finito, non sai perché ti abbia parlato. Cosa voleva dire? Tutto si è perso in una valanga di parole.
Altri, quando cominciano a raccontare qualcosa, fosse solo per dirti che hanno fatto un salto dal verduraio per comprare quattro pomodori, ti cominciano un romanzo. Ecco: “Sai, non mi ero accorta che non avevo più pomodori, perché ieri sera era venuta mia cognata, sai quella che ha sposato mio fratello dopo che la moglie se n’era andata con un altro… una storia terribile… e mi aveva chiesto i pomodori e io che non so mai dire di no, sono fatta così!, glieli ho dati… Volevo anche telefonarti per sapere se ti mancava qualcosa, ma mi sono dimenticata… ho tante cose per la testa… Sapessi… ”.
Mi sono spiegata? Alla fine della chiacchierata, non sapevo perché l’amica mi aveva chiamata, cosa mi voleva veramente dire (forse chiedermi se avevo bisogno di qualcosa?) e che cosa avrei potuto fare io. Non credo che mi volesse solo informare sui quattro pomodori mancanti, ma non so davvero dove volesse andare a parare!
Anche raccontare è un’arte. Nessuno te la insegna a scuola, non la trovi nei manuali, perciò pochi la conoscono e la usano. Ma sarebbe importante impararla, perché aiuterebbe a non perdere tempo e a non farne perdere agli altri. E renderebbe la gente molto più simpatica.
Ecco un paio si dritte.
• Prima cosa, è essenziale pensare a cosa voglio dire, e se sia veramente necessario. Poi, quanti dettagli voglio raccontare? A cosa voglio arrivare? Devo badare al dove, come, quando e perché.
Per esempio, voglio raccontare a un amico un incontro che ho fatto, mettiamo alla posta, dove ero andata per spedire un pacco.
“Sai chi ho visto? Giorgio, quello che veniva a giocare a palla a volo quando eravamo al liceo. Ero alla posta e stavo aspettando il mio turno per spedire un pacco e si è seduto accanto a me e mi ha chiesto se lo riconoscvo. È cambiato un bel po’ da allora, ma mi ricordavo la sua parlata e il suo modo di fare gentile. Abbiamo fatto una bella chiacchierata. Dice che dovremmo ritrovarci tutti per una pizza, come ai vecchi tempi…”.
Se il mio interlocutore vuole saperne di più, se ha tempo (e se io ho tempo) si va più nei dettagli, facendo attenzione a non pettegolare, a non raccontare dettagli privati e a non fare commenti inappropriati.
• Seconda cosa, pensare bene se quello che sto per raccontare sarà utile a chi mi ascolta e se farà del bene. Se no, meglio tacere!
• Terza cosa, ricordare la parola di Salomone: “Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19). “Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sulla terra: le tue parole siano dunque poche, poiché con le molte occupazioni vengono i sogni, e con le molte parole, i ragionamenti insensati” (Ecclesiaste 5:2,3).
Posso ancora fare un appunto? Quando si prega da soli, Dio ci ascolta con molta pazienza. Ma Lui stesso esorta, quando si è in pubblico (per esempio in una riunione di preghiera) a non usare troppe parole. Preghiere brevi e ben pronunciate a alta voce possono essere concluse da un “amen” consapevole di chi ascolta. Altrimenti, sono difficili da seguire e tolgono a altri il privilegio di pregare.
Ne volete sentire un’altra che un vecchio fratello diceva? Eccola: “Chi prega a lungo in pubblico, vuol dire che prega poco a casa”. Sarà?
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