Anche sgridare è un'arte

Da bambina sono stata sgridata spesso e sveramente. Quando succedeva, pensavo con una certa rabbia: “Quando avrò figli, non li sgriderò mai!”.

Santa innocenza! Quando i figli li ho avuti, ho capito che le sgridate sono necessarie. Ma ho anche capito che sgridare è un’arte. Una sgridata ben fatta porta un buon effetto. Una catena di sgridate irrita, scoraggia e fa del male. E indurisce.

Per prima cosa, bisogna essere sicuri che la sgridata sia meritata. A volte, è facile rimproverare senza essere a conoscenza di tutti i particolari e si rischia di essere ingiusti.

Meglio informarsi, così, nel frattempo, la collera si calma e si ragiona meglio.

Poi la sgridata deve essere breve, precisa e circostanziata (sembra linguaggio da tribunale, non vi pare?). A volte la facciamo troppo lunga o funzioniamo a scoppio ritardato.

Ecco un ricordo della mia adolescenza.

È successo, mentre ero alle medie, che, allora si chiamavano”ginnasio” e duravano cinque anni. A quel tempo, noi ragazzi avevamo ancora un certo timore dei professori e delle punizioni dei presidi, ma, una mattina, non ricordo perché, avevamo proprio fatto indignare un professore.

Era un piccoletto, bruttarello, tracagnotto, con gli occhiali a stanghetta e con la montatura d’oro. In più parlava nel naso.

Ci sgridò di santa ragione, non tralasciando nessun particolare, e disse che andava dal signor Preside a far rapporto. Noi restammo silenziosi e allibiti (avevamo un sacro terrore di un brutto voto in condotta, che poi avrebbe influenzato tutta la media dei voti). Il prof. uscì dalla classe sbattendo la porta.

Silenzio.

Dopo qualche secondo, la porta si riaprì e apparve la testa del professore, il quale, con una voce che suonava come la tromba del giudizio, ci disse: “In-de-li-ca-ti!”. La porta si richiuse. Evidentemente il poveretto non pensava di averci rimproverati a sufficienza e voleva mettere la ciliegia sul gelato, come tocco finale.

Il più monello dei ragazzi cominciò a ridere e la sua risata diventò contagiosa. Tutti cominciammo a ridere fino alle lagrime. Sapete, di quel riso isterico che non riesce a calmarsi.

Quando il Preside venne, ci trovò rossi in faccia. Alcune ragazze avevano le lagrime a forza di ridere. Una ramanzina chiuse tutta la faccenda.

Ma il professore, poveraccio, rimase col soprannome di “indelicato” fino a che non andò in pensione.

Per non diventare eccessivi con le sgridate, a volte, è meglio buttare un po’ tutto in caciara. Ricordo che, una volta, i miei figli adolescenti avevano fatto un macello tale che nella loro camera sembrava che ci fosse passato Attila, flagello di Dio. Decisi di fare la faccia feroce e di ordinare che mettessero ordine al più presto. Comiciai la mia filippica e, in quel momento preciso, mi venne il singhiozzo: “Crede-te di fa-re bene e di esse-re br-avi co-mpo-port-ando-vi così?”

Uno dei gemelli mi mise la mano sul braccio e disse: “Abbiamo capito… mettiamo a posto!”. Poi ordinò al fratello minore di portarmi un bicchier d’acqua e tutto finì in una bella risata. Con la calma, la stanza fu messa a posto.

Infine, e questa è la cosa più importante, bisogna sgridare con amore e secondo Dio.

L’Apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo, diceva: “Predica la Parola, insisti in ogni occasione favorevole o sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e di pazienza” (seconda lettera 4:2).

E se dopo la sgridata i figli vi chiedono perdono, non rispondete MAI: “Vedremo!”. Perdonate.
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