“La fede è un gran dono.” Me lo diceva spesso una vicina di casa, quando abitavo fuori Roma. E poi aggiungeva: “Io ne ho tanta”.
Ora abito a Roma e lei mi telefona ancora, mi ripete la stessa cosa e mi decanta la sua fede (e, a dire il vero, loda, bontà sua, anche la mia). Ma guai se le dico che non ogni tipo di fede è utile e che la fede deve essere messa su qualcosa di vero e di affidabile, altrimenti è pura illusione. Allora mi dice che non devo criticare e che in ogni religione c’è del buono, e che Dio ci penserà Lui a giudicare. Il nostro sembra un dialogo fra sordi.
La realtà è che tutti abbiamo fede. Anche l’ateo ne ha una, dato che crede che non ci sia Dio. Il buddhista crede di essere lui dio. Un altro crede di essere Napoleone risuscitato. Una donna, anni fa, è venuta nel nostro ufficio e ci ha detto che aveva fede di stare per partorire di nuovo Gesù.
Madre Teresa di Calcutta, che ha fatto molto del bene e che anche molti evangelici hanno pensato fosse una grande cristiana, così ha definito il suo credo: “Spero di poter convertire delle persone. Ma non come voi pensate… Quando incontriamo Dio e lo accogliamo nella nostra vita, noi ci convertiamo. Allora diventiamo un induista migliore, un musulmano migliore, un cattolico migliore secondo la religione a cui apparteniamo. Che cosa sceglierei io? La via cattolica, per voi sarà forse l’induismo, per un altro il buddhismo, secondo la coscienza di ognuno. Dovete accettare l’idea di Dio che voi stessi vi fate…” (da: Desmond Doig , “Mother Teresa: Her people and her work – Harper e Row, 1976, p. 156).
Salomone diceva : “C’è una via che all’uomo pare giusta, ma finisce col portare alla morte” (Proverbi 14:12). Molte persone avranno delle sorprese molto dolorose, un giorno, quando saranno davanti alla loro eternità.
La fede deve essere basata su qualcosa di certo per avere valore. Quella fondata sulla Bibbia, un libro che non è mai stato smentito e si dimostra sempre più vero, è una fede sicura. Propone una fede basata su ciò che Dio Padre ha detto e su ciò che suo Figlio Gesù Cristo ha fatto. Egli è l’unico oggetto di fede di cui ci si può fidare.
Egli è stato categorico: “Chi ascolta la mia Parola e crede a Colui che mi ha mandato ha vita eterna e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Ev. di Giovanni 5:24). Lo ha potuto affermare perché era Dio e lo ha dimostrato. Non ha mai detto una bugia e in tutta la sua condotta ha personificato l’amore, la santità e la giustizia di Dio.
Ha potuto chiedere ai suoi accusatori: “Chi di voi mi convince di peccato?” (Ev. di Giovanni 8:46) e nessuno ha potuto accusarlo.
Ha potuto affermare: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Ev. di Giovanni 14:9). Non solo ha vissuto una vita irreprensibile, ma è arrivato a caricarsi di tutto il male che gli uomini hanno mai compiuto e compiranno e a subire al loro posto la loro giusta condanna. Egli “giusto è morto per gli ingiusti”. Dopo essere morto sulla croce è risuscitato a prova della sua divinità.
Perciò ha potuto dichiarare: “Chi crede in me, ha vita eterna” (Ev. di Giovanni 6:47), “voi morrete nei vostri peccati, se non credete che io sono il Cristo” (Ev. di Giovanni 8:21) “Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti di mio Padre e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa” (Ev. di Giovanni 15:10,11).
Su Lui e sulla Parola di Dio baso la mia fede. E sono certa che non sarò delusa.
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Circondata dall’amore
In questo periodo di malattia inaspettata e molto seria, sono circondata da una incredibile ondata di amore, tenerezza e affetto. Arrivano lettere da tante parte, alcune da persone che penso di non avere mai conosciuto peronalmente. Evidentemente le ho dimenticate!
Una mi ha colpita e ve la traduco (è arrivata dall’America da un certo George P.) perché mi ha toccata in modo speciale. Spero che faccia bene anche a qualcuno che forse è malato… terminale (quando il Signore lo deciderà)! E anche a chi sta bene e pensa di essere immortale.
Eccola.
Per la cronaca, sto ancora bene, posso vivere quasi normalmente, le trasfusioni mi danno la spinta quando è necessario e l’amore del Signore, quello dei miei cari e di una miriade di amici e fratelli mi circondano. Cosa potrei chiedere di più?
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Una mi ha colpita e ve la traduco (è arrivata dall’America da un certo George P.) perché mi ha toccata in modo speciale. Spero che faccia bene anche a qualcuno che forse è malato… terminale (quando il Signore lo deciderà)! E anche a chi sta bene e pensa di essere immortale.
Eccola.
Oggi hai appreso che hai il cancro (la mia leucemia lo è). Probabilmente la notizia farà scattare la paura nel tuo cuore.
Amica, posso dirti un segreto? Dio conosce la fine dal principio.
Il dolore forse sarà grande, il sentiero davanti a te sarà buio, ma Colui che ha creato l’universo, può darti gioia nel profondo del cuore.
Ti ha chiamata a un periodo di sofferenza e ha promesso di darti forza.
La tua mèta è eterna. È la vita in Cristo.
Spesso noi fissiamo la nostra mente sul dolore fisico e il trantran della nostra vita, ma Dio vuole aiutarci a guardare oltre i cieli, al cielo eterno con Lui.
I suoi scopi sono sempre buoni, Egli vuole rendere più forte la nostra fede, ma i nostri cuori a volte sono testardi e vorrebbero un po’ di tregua e tranquillità.
Il nostro Dio ci ama davvero e fa ciò che è necessario per aiutare i nostri cuori, che si sviano facilmente, a dimorare e avere fiducia solo in Lui.
Perciò, getta tutti i tuoi pesi sul Signore, il tuo Dio, perché nessuno ti ama più di Lui, e abbandonati fiduciosa nelle sue braccia eterne.
Per la cronaca, sto ancora bene, posso vivere quasi normalmente, le trasfusioni mi danno la spinta quando è necessario e l’amore del Signore, quello dei miei cari e di una miriade di amici e fratelli mi circondano. Cosa potrei chiedere di più?
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Discutere: un’arte poco italiana…
A me la politica interessa abbastanza, anche se le chiacchiere dei politici in TV lasciano il tempo che trovano. Ma mi sembra importante capire a cosa pensano i nostri capi e o loro controcapi e quante bugie ci raccontano.
Ma che differenza c’è fra come discutono gli Italiani dagli Americani e gli Inglesi!
Direte subito che noi abbiamo il sangue più caldo e quelli sono delle pappe molle, ma io dico che almeno si dimostrano civili e sono comprensibili.
Inoltre, ubbidiscono e rispettano i loro moderatori. Se hanno a disposizione tre minuti per parlare, tre minuti sono. Punto e basta. Inoltre, non interrompono chi parla, non gli gridano addosso, non lo contraddicono mentre ancora sta parlando e non lo insultano e non gli danno del bugiardo. Se poi sono smentiti o ridimensionati, sparano le prossime cartucce.
Le discussioni sono normali, perché ognuno di noi ha la sua testa, la sua preparazione, le sue convinzioni. Succedono nelle famiglie fra sposi, genitori e figli, nelle scuole e negli uffici fra colleghi, nelle chiese fra fratelli in fede. Niente di male. Il male è quando una discussione diventa una specie di partita di pugilato verbale e una lotta per sostenere un punto di vista senza badare a quello degli altri. E finisce in una litigata non risolta.
Per discutere bene, bisogna, prima di tutto, partire con l’intenzione di trovare un accordo. Se si è credenti, è una buona idea pregare (almeno mentalmente) prima di cominciare e ricordare che si è alla presenza del Signore.
Poi si deve imparare a ascoltare e cercare di capire il punto di vista dell’altro. Senza offendersi, inalberarsi e spazientirsi. Questo, a volte, è difficile perché l’interlocutore la fa un po’ troppo lunga, la prende da Adamo e Eva e non viene al dunque. Oppure parte arrabbiato e belligerante, come un galletto litigioso…
Però, una volta capito il suo punto di vista, si deve rispondere con calma e cercare qualche punto in cui dare ragione all’avversario per poi esporre il proprio punto di vista. Importantissimo: spiegarsi in modo da essere capiti. A volte si arriverà a un accordo.
Altre volte bisognerà decidere che d’accordo non si è, ma non se ne farà una ragione di discordia interminabile. Anzi, si dovrebbe cogliere l’occasione per chiedersi reciprocamente perdono, dato che il torto non è mai da una parte sola. Una volta chiesto e concesso il perdono, il problema è chiuso. Ognuno forse resta della sua opinione, ma non se ne parla più. Non si tirano fuori le cose messe a riposo.
Purtroppo ci sono invece sposi che portano avanti discussioni, che in realtà sono crucci e offese, per anni e non trovano pace. Altri dicono che ci mettono una pietra sopra, ma sotto la pietra ci mettono la dinamite. Altri si separano o non si parlano per mesi.
Perfino i discepoli discutevano fra loro su chi fosse il maggiore. Forse uno diceva che era credente da più tempo e perciò aveva più conoscenza, un altro che aveva ascoltato con più attenzione il Signore, un altro che era parente di Gesù, un altro che quando camminavano da un villaggio a un altro aveva portato i fagotti più pesanti. Tutte cose inutili.
Cosa disse loro il Signore? “Chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore, e chiunque di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo, appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Matteo 20:26,27).
La persona con cui abbiamo delle divergenze non deve mai diventare un nemico, ma uno a cui proviamo di fare del bene. Che ne so? Offire la pietanza favorita al marito brontolone, una rosa regalata alla cognata difficilina, un bigliettino pieno di affetto al figlio ribelle, un “ti voglio bene” a una collega scorbutica. Fate un po’ voi!
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Ma che differenza c’è fra come discutono gli Italiani dagli Americani e gli Inglesi!
Direte subito che noi abbiamo il sangue più caldo e quelli sono delle pappe molle, ma io dico che almeno si dimostrano civili e sono comprensibili.
Inoltre, ubbidiscono e rispettano i loro moderatori. Se hanno a disposizione tre minuti per parlare, tre minuti sono. Punto e basta. Inoltre, non interrompono chi parla, non gli gridano addosso, non lo contraddicono mentre ancora sta parlando e non lo insultano e non gli danno del bugiardo. Se poi sono smentiti o ridimensionati, sparano le prossime cartucce.
Le discussioni sono normali, perché ognuno di noi ha la sua testa, la sua preparazione, le sue convinzioni. Succedono nelle famiglie fra sposi, genitori e figli, nelle scuole e negli uffici fra colleghi, nelle chiese fra fratelli in fede. Niente di male. Il male è quando una discussione diventa una specie di partita di pugilato verbale e una lotta per sostenere un punto di vista senza badare a quello degli altri. E finisce in una litigata non risolta.
Per discutere bene, bisogna, prima di tutto, partire con l’intenzione di trovare un accordo. Se si è credenti, è una buona idea pregare (almeno mentalmente) prima di cominciare e ricordare che si è alla presenza del Signore.
Poi si deve imparare a ascoltare e cercare di capire il punto di vista dell’altro. Senza offendersi, inalberarsi e spazientirsi. Questo, a volte, è difficile perché l’interlocutore la fa un po’ troppo lunga, la prende da Adamo e Eva e non viene al dunque. Oppure parte arrabbiato e belligerante, come un galletto litigioso…
Però, una volta capito il suo punto di vista, si deve rispondere con calma e cercare qualche punto in cui dare ragione all’avversario per poi esporre il proprio punto di vista. Importantissimo: spiegarsi in modo da essere capiti. A volte si arriverà a un accordo.
Altre volte bisognerà decidere che d’accordo non si è, ma non se ne farà una ragione di discordia interminabile. Anzi, si dovrebbe cogliere l’occasione per chiedersi reciprocamente perdono, dato che il torto non è mai da una parte sola. Una volta chiesto e concesso il perdono, il problema è chiuso. Ognuno forse resta della sua opinione, ma non se ne parla più. Non si tirano fuori le cose messe a riposo.
Purtroppo ci sono invece sposi che portano avanti discussioni, che in realtà sono crucci e offese, per anni e non trovano pace. Altri dicono che ci mettono una pietra sopra, ma sotto la pietra ci mettono la dinamite. Altri si separano o non si parlano per mesi.
Perfino i discepoli discutevano fra loro su chi fosse il maggiore. Forse uno diceva che era credente da più tempo e perciò aveva più conoscenza, un altro che aveva ascoltato con più attenzione il Signore, un altro che era parente di Gesù, un altro che quando camminavano da un villaggio a un altro aveva portato i fagotti più pesanti. Tutte cose inutili.
Cosa disse loro il Signore? “Chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore, e chiunque di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo, appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Matteo 20:26,27).
La persona con cui abbiamo delle divergenze non deve mai diventare un nemico, ma uno a cui proviamo di fare del bene. Che ne so? Offire la pietanza favorita al marito brontolone, una rosa regalata alla cognata difficilina, un bigliettino pieno di affetto al figlio ribelle, un “ti voglio bene” a una collega scorbutica. Fate un po’ voi!
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PRONTO, CHI EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEÈ?
Abbiamo parlato dell’arte di lodare, di sgridare, di raccontare e oggi arriviamo all’arte di telefonare. È vero che i telefonini stanno prendendo il posto dei telefoni fissi e gli iPad quello dei telefonini. Ma ancora si usa il telefono fisso, specialmente fra persone di una certa età, perciò un po’ di savoir faire si può sempre imparare e praticare.
Sento squillare il telefono, rispondo: “Pronto!” e dall’altra parte una voce mi chiede: “Chi èèèèèè?”.
Un momento, questo non è gentile. Se hai telefonato, di’ chi sei tu e chiedi gentilmente la persona con chi vuoi parlare. Non aspettare che ti chiedano chi sei e cosa vuoi.
Poi, dato che non sai se la persona che hai cercato ha tempo per chiacchierare o no, chiedi se è un momento adatto o no. Poi, di’ quello che ti sta a cuore e vedi come va la conversazione.
Se chiedi di parlare per due minuti, sii sicuro che non diventino venti.
Non ti dilungare, non divagare e non annoiare con ghirigori inutili, a meno che tu non sappia con certezza che il tuo interlocutore non ha niente da fare, che sia una persona sola e bisognosa di compagnia.
Se chiedi delle spiegazioni, e la persona all’altro capo del filo te le dà, non la contraddire solo per la gioia di ribadire le tue idee. Magari, se non hai capito bene, chiedi qualche altro schiarimento e poi di’ che ci penserai su. Ma non discutere all’infinito.
Se devi esprimere delle lamentele NON telefonare: litigare al telefono è la cosa più pericolosa che ci sia, perché non si vedono le espressioni facciali della persona con cui si parla, non ci si può rendere conto del suo umore e si finisce solo per farsi dei nemici. Le discussioni è meglio farle a voce, ma di queste parleremo la prossima volta.
Ancora un paio di osservazioni riguardo al telefono: non mi sembra una buona idea mandare i figli a rispondere alle chiamate, perché spesso non sono i migliori segretari. Infine, promettete un premio ai bambini se non verranno a farvi la lagna o a piagnucolare mentre parlate con qualcuno. Naturalmente mantenete la promessa e siate sicuri che la ricompensa sia data e non rimandata!
Ciao!
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Sento squillare il telefono, rispondo: “Pronto!” e dall’altra parte una voce mi chiede: “Chi èèèèèè?”.
Un momento, questo non è gentile. Se hai telefonato, di’ chi sei tu e chiedi gentilmente la persona con chi vuoi parlare. Non aspettare che ti chiedano chi sei e cosa vuoi.
Poi, dato che non sai se la persona che hai cercato ha tempo per chiacchierare o no, chiedi se è un momento adatto o no. Poi, di’ quello che ti sta a cuore e vedi come va la conversazione.
Se chiedi di parlare per due minuti, sii sicuro che non diventino venti.
Non ti dilungare, non divagare e non annoiare con ghirigori inutili, a meno che tu non sappia con certezza che il tuo interlocutore non ha niente da fare, che sia una persona sola e bisognosa di compagnia.
Se chiedi delle spiegazioni, e la persona all’altro capo del filo te le dà, non la contraddire solo per la gioia di ribadire le tue idee. Magari, se non hai capito bene, chiedi qualche altro schiarimento e poi di’ che ci penserai su. Ma non discutere all’infinito.
Se devi esprimere delle lamentele NON telefonare: litigare al telefono è la cosa più pericolosa che ci sia, perché non si vedono le espressioni facciali della persona con cui si parla, non ci si può rendere conto del suo umore e si finisce solo per farsi dei nemici. Le discussioni è meglio farle a voce, ma di queste parleremo la prossima volta.
Ancora un paio di osservazioni riguardo al telefono: non mi sembra una buona idea mandare i figli a rispondere alle chiamate, perché spesso non sono i migliori segretari. Infine, promettete un premio ai bambini se non verranno a farvi la lagna o a piagnucolare mentre parlate con qualcuno. Naturalmente mantenete la promessa e siate sicuri che la ricompensa sia data e non rimandata!
Ciao!
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Quando racconti…. Stringi!
La gente parla troppo. Parla, parla e parla e non pensa che forse tu non hai tempo di ascoltare e hai altre cose da fare. In più, spesso, quando uno ha finito, non sai perché ti abbia parlato. Cosa voleva dire? Tutto si è perso in una valanga di parole.
Altri, quando cominciano a raccontare qualcosa, fosse solo per dirti che hanno fatto un salto dal verduraio per comprare quattro pomodori, ti cominciano un romanzo. Ecco: “Sai, non mi ero accorta che non avevo più pomodori, perché ieri sera era venuta mia cognata, sai quella che ha sposato mio fratello dopo che la moglie se n’era andata con un altro… una storia terribile… e mi aveva chiesto i pomodori e io che non so mai dire di no, sono fatta così!, glieli ho dati… Volevo anche telefonarti per sapere se ti mancava qualcosa, ma mi sono dimenticata… ho tante cose per la testa… Sapessi… ”.
Mi sono spiegata? Alla fine della chiacchierata, non sapevo perché l’amica mi aveva chiamata, cosa mi voleva veramente dire (forse chiedermi se avevo bisogno di qualcosa?) e che cosa avrei potuto fare io. Non credo che mi volesse solo informare sui quattro pomodori mancanti, ma non so davvero dove volesse andare a parare!
Anche raccontare è un’arte. Nessuno te la insegna a scuola, non la trovi nei manuali, perciò pochi la conoscono e la usano. Ma sarebbe importante impararla, perché aiuterebbe a non perdere tempo e a non farne perdere agli altri. E renderebbe la gente molto più simpatica.
Ecco un paio si dritte.
• Prima cosa, è essenziale pensare a cosa voglio dire, e se sia veramente necessario. Poi, quanti dettagli voglio raccontare? A cosa voglio arrivare? Devo badare al dove, come, quando e perché.
Per esempio, voglio raccontare a un amico un incontro che ho fatto, mettiamo alla posta, dove ero andata per spedire un pacco. “Sai chi ho visto? Giorgio, quello che veniva a giocare a palla a volo quando eravamo al liceo. Ero alla posta e stavo aspettando il mio turno per spedire un pacco e si è seduto accanto a me e mi ha chiesto se lo riconoscvo. È cambiato un bel po’ da allora, ma mi ricordavo la sua parlata e il suo modo di fare gentile. Abbiamo fatto una bella chiacchierata. Dice che dovremmo ritrovarci tutti per una pizza, come ai vecchi tempi…”.
Se il mio interlocutore vuole saperne di più, se ha tempo (e se io ho tempo) si va più nei dettagli, facendo attenzione a non pettegolare, a non raccontare dettagli privati e a non fare commenti inappropriati.
• Seconda cosa, pensare bene se quello che sto per raccontare sarà utile a chi mi ascolta e se farà del bene. Se no, meglio tacere!
• Terza cosa, ricordare la parola di Salomone: “Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19). “Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sulla terra: le tue parole siano dunque poche, poiché con le molte occupazioni vengono i sogni, e con le molte parole, i ragionamenti insensati” (Ecclesiaste 5:2,3).
Posso ancora fare un appunto? Quando si prega da soli, Dio ci ascolta con molta pazienza. Ma Lui stesso esorta, quando si è in pubblico (per esempio in una riunione di preghiera) a non usare troppe parole. Preghiere brevi e ben pronunciate a alta voce possono essere concluse da un “amen” consapevole di chi ascolta. Altrimenti, sono difficili da seguire e tolgono a altri il privilegio di pregare.
Ne volete sentire un’altra che un vecchio fratello diceva? Eccola: “Chi prega a lungo in pubblico, vuol dire che prega poco a casa”. Sarà?
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Altri, quando cominciano a raccontare qualcosa, fosse solo per dirti che hanno fatto un salto dal verduraio per comprare quattro pomodori, ti cominciano un romanzo. Ecco: “Sai, non mi ero accorta che non avevo più pomodori, perché ieri sera era venuta mia cognata, sai quella che ha sposato mio fratello dopo che la moglie se n’era andata con un altro… una storia terribile… e mi aveva chiesto i pomodori e io che non so mai dire di no, sono fatta così!, glieli ho dati… Volevo anche telefonarti per sapere se ti mancava qualcosa, ma mi sono dimenticata… ho tante cose per la testa… Sapessi… ”.
Mi sono spiegata? Alla fine della chiacchierata, non sapevo perché l’amica mi aveva chiamata, cosa mi voleva veramente dire (forse chiedermi se avevo bisogno di qualcosa?) e che cosa avrei potuto fare io. Non credo che mi volesse solo informare sui quattro pomodori mancanti, ma non so davvero dove volesse andare a parare!
Anche raccontare è un’arte. Nessuno te la insegna a scuola, non la trovi nei manuali, perciò pochi la conoscono e la usano. Ma sarebbe importante impararla, perché aiuterebbe a non perdere tempo e a non farne perdere agli altri. E renderebbe la gente molto più simpatica.
Ecco un paio si dritte.
• Prima cosa, è essenziale pensare a cosa voglio dire, e se sia veramente necessario. Poi, quanti dettagli voglio raccontare? A cosa voglio arrivare? Devo badare al dove, come, quando e perché.
Per esempio, voglio raccontare a un amico un incontro che ho fatto, mettiamo alla posta, dove ero andata per spedire un pacco. “Sai chi ho visto? Giorgio, quello che veniva a giocare a palla a volo quando eravamo al liceo. Ero alla posta e stavo aspettando il mio turno per spedire un pacco e si è seduto accanto a me e mi ha chiesto se lo riconoscvo. È cambiato un bel po’ da allora, ma mi ricordavo la sua parlata e il suo modo di fare gentile. Abbiamo fatto una bella chiacchierata. Dice che dovremmo ritrovarci tutti per una pizza, come ai vecchi tempi…”.
Se il mio interlocutore vuole saperne di più, se ha tempo (e se io ho tempo) si va più nei dettagli, facendo attenzione a non pettegolare, a non raccontare dettagli privati e a non fare commenti inappropriati.
• Seconda cosa, pensare bene se quello che sto per raccontare sarà utile a chi mi ascolta e se farà del bene. Se no, meglio tacere!
• Terza cosa, ricordare la parola di Salomone: “Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (Proverbi 10:19). “Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sulla terra: le tue parole siano dunque poche, poiché con le molte occupazioni vengono i sogni, e con le molte parole, i ragionamenti insensati” (Ecclesiaste 5:2,3).
Posso ancora fare un appunto? Quando si prega da soli, Dio ci ascolta con molta pazienza. Ma Lui stesso esorta, quando si è in pubblico (per esempio in una riunione di preghiera) a non usare troppe parole. Preghiere brevi e ben pronunciate a alta voce possono essere concluse da un “amen” consapevole di chi ascolta. Altrimenti, sono difficili da seguire e tolgono a altri il privilegio di pregare.
Ne volete sentire un’altra che un vecchio fratello diceva? Eccola: “Chi prega a lungo in pubblico, vuol dire che prega poco a casa”. Sarà?
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Anche sgridare è un'arte
Da bambina sono stata sgridata spesso e sveramente. Quando succedeva,
pensavo con una certa rabbia: “Quando avrò figli, non li sgriderò
mai!”.
Santa innocenza! Quando i figli li ho avuti, ho capito che le sgridate sono necessarie. Ma ho anche capito che sgridare è un’arte. Una sgridata ben fatta porta un buon effetto. Una catena di sgridate irrita, scoraggia e fa del male. E indurisce.
Per prima cosa, bisogna essere sicuri che la sgridata sia meritata. A volte, è facile rimproverare senza essere a conoscenza di tutti i particolari e si rischia di essere ingiusti.
Meglio informarsi, così, nel frattempo, la collera si calma e si ragiona meglio.
Poi la sgridata deve essere breve, precisa e circostanziata (sembra linguaggio da tribunale, non vi pare?). A volte la facciamo troppo lunga o funzioniamo a scoppio ritardato.
Ecco un ricordo della mia adolescenza.
È successo, mentre ero alle medie, che, allora si chiamavano”ginnasio” e duravano cinque anni. A quel tempo, noi ragazzi avevamo ancora un certo timore dei professori e delle punizioni dei presidi, ma, una mattina, non ricordo perché, avevamo proprio fatto indignare un professore.
Era un piccoletto, bruttarello, tracagnotto, con gli occhiali a stanghetta e con la montatura d’oro. In più parlava nel naso.
Ci sgridò di santa ragione, non tralasciando nessun particolare, e disse che andava dal signor Preside a far rapporto. Noi restammo silenziosi e allibiti (avevamo un sacro terrore di un brutto voto in condotta, che poi avrebbe influenzato tutta la media dei voti). Il prof. uscì dalla classe sbattendo la porta.
Silenzio.
Dopo qualche secondo, la porta si riaprì e apparve la testa del professore, il quale, con una voce che suonava come la tromba del giudizio, ci disse: “In-de-li-ca-ti!”. La porta si richiuse. Evidentemente il poveretto non pensava di averci rimproverati a sufficienza e voleva mettere la ciliegia sul gelato, come tocco finale.
Il più monello dei ragazzi cominciò a ridere e la sua risata diventò contagiosa. Tutti cominciammo a ridere fino alle lagrime. Sapete, di quel riso isterico che non riesce a calmarsi.
Quando il Preside venne, ci trovò rossi in faccia. Alcune ragazze avevano le lagrime a forza di ridere. Una ramanzina chiuse tutta la faccenda.
Ma il professore, poveraccio, rimase col soprannome di “indelicato” fino a che non andò in pensione.
Per non diventare eccessivi con le sgridate, a volte, è meglio buttare un po’ tutto in caciara. Ricordo che, una volta, i miei figli adolescenti avevano fatto un macello tale che nella loro camera sembrava che ci fosse passato Attila, flagello di Dio. Decisi di fare la faccia feroce e di ordinare che mettessero ordine al più presto. Comiciai la mia filippica e, in quel momento preciso, mi venne il singhiozzo: “Crede-te di fa-re bene e di esse-re br-avi co-mpo-port-ando-vi così?”
Uno dei gemelli mi mise la mano sul braccio e disse: “Abbiamo capito… mettiamo a posto!”. Poi ordinò al fratello minore di portarmi un bicchier d’acqua e tutto finì in una bella risata. Con la calma, la stanza fu messa a posto.
Infine, e questa è la cosa più importante, bisogna sgridare con amore e secondo Dio.
L’Apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo, diceva: “Predica la Parola, insisti in ogni occasione favorevole o sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e di pazienza” (seconda lettera 4:2).
E se dopo la sgridata i figli vi chiedono perdono, non rispondete MAI: “Vedremo!”. Perdonate.
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Santa innocenza! Quando i figli li ho avuti, ho capito che le sgridate sono necessarie. Ma ho anche capito che sgridare è un’arte. Una sgridata ben fatta porta un buon effetto. Una catena di sgridate irrita, scoraggia e fa del male. E indurisce.
Per prima cosa, bisogna essere sicuri che la sgridata sia meritata. A volte, è facile rimproverare senza essere a conoscenza di tutti i particolari e si rischia di essere ingiusti.
Meglio informarsi, così, nel frattempo, la collera si calma e si ragiona meglio.
Poi la sgridata deve essere breve, precisa e circostanziata (sembra linguaggio da tribunale, non vi pare?). A volte la facciamo troppo lunga o funzioniamo a scoppio ritardato.
Ecco un ricordo della mia adolescenza.
È successo, mentre ero alle medie, che, allora si chiamavano”ginnasio” e duravano cinque anni. A quel tempo, noi ragazzi avevamo ancora un certo timore dei professori e delle punizioni dei presidi, ma, una mattina, non ricordo perché, avevamo proprio fatto indignare un professore.
Era un piccoletto, bruttarello, tracagnotto, con gli occhiali a stanghetta e con la montatura d’oro. In più parlava nel naso.
Ci sgridò di santa ragione, non tralasciando nessun particolare, e disse che andava dal signor Preside a far rapporto. Noi restammo silenziosi e allibiti (avevamo un sacro terrore di un brutto voto in condotta, che poi avrebbe influenzato tutta la media dei voti). Il prof. uscì dalla classe sbattendo la porta.
Silenzio.
Dopo qualche secondo, la porta si riaprì e apparve la testa del professore, il quale, con una voce che suonava come la tromba del giudizio, ci disse: “In-de-li-ca-ti!”. La porta si richiuse. Evidentemente il poveretto non pensava di averci rimproverati a sufficienza e voleva mettere la ciliegia sul gelato, come tocco finale.
Il più monello dei ragazzi cominciò a ridere e la sua risata diventò contagiosa. Tutti cominciammo a ridere fino alle lagrime. Sapete, di quel riso isterico che non riesce a calmarsi.
Quando il Preside venne, ci trovò rossi in faccia. Alcune ragazze avevano le lagrime a forza di ridere. Una ramanzina chiuse tutta la faccenda.
Ma il professore, poveraccio, rimase col soprannome di “indelicato” fino a che non andò in pensione.
Per non diventare eccessivi con le sgridate, a volte, è meglio buttare un po’ tutto in caciara. Ricordo che, una volta, i miei figli adolescenti avevano fatto un macello tale che nella loro camera sembrava che ci fosse passato Attila, flagello di Dio. Decisi di fare la faccia feroce e di ordinare che mettessero ordine al più presto. Comiciai la mia filippica e, in quel momento preciso, mi venne il singhiozzo: “Crede-te di fa-re bene e di esse-re br-avi co-mpo-port-ando-vi così?”
Uno dei gemelli mi mise la mano sul braccio e disse: “Abbiamo capito… mettiamo a posto!”. Poi ordinò al fratello minore di portarmi un bicchier d’acqua e tutto finì in una bella risata. Con la calma, la stanza fu messa a posto.
Infine, e questa è la cosa più importante, bisogna sgridare con amore e secondo Dio.
L’Apostolo Paolo, scrivendo a Timoteo, diceva: “Predica la Parola, insisti in ogni occasione favorevole o sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e di pazienza” (seconda lettera 4:2).
E se dopo la sgridata i figli vi chiedono perdono, non rispondete MAI: “Vedremo!”. Perdonate.
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Impara l’arte di… lodare
“Ha scelto la buona parte…”, “ha fatto quello che poteva…”, “lasciatela stare, lo ha fatto per me, in vista della mia sepoltura”, “Sta bene, buono e fedele servitore”, “Hai detto bene”, “Tu sei beato...”.
Queste e altre frasi di Gesù sottolineavano la sua approvazione per azioni giuste compiute o parole dette da qualcuno. Egli era sempre pronto a lodare e a difendere chi faceva bene e diceva cose buone. Egli conosceva bene l’arte di lodare.
Lodare e sottolineare quello che uno fa di buono, e dirlglielo, fa sempre del bene.
Personalmente ho trovato che, quando erano piccoli, una lode ai figli faceva molto più effetto di una sgridata. Se mettevano in ordine la camera, quando tornavano da scuola trovavano un cartello con scritto sopra “BRAVI!” e se finivano bene i compiti senza fare storie, spesso ricevevano un piccolo premio. E, al suo ritorno dall’ufficio, mio marito veniva prontamente informato delle loro prodezze. Succedeva tutti i giorni? NO, ma succedeva.
Alcuni mi dicevano che facevo male a lodarli, perché, a quel modo, incoraggiavo il loro orgoglio. Sarà, ma io non ci ho mai creduto!
Naturalmente, le lodi devono essere meritate e sincere (la prossima volta parlerò di sgridate) e non devono avere l’aria di un pagamento per una promessa mantenuta o un’ubbidienza fatta in seguito a una minaccia.
Devono sottolineare una buona qualità, notare un’azione gentile, mettere in risalto un buon atteggiamento.
Esattamente come faceva Gesù, quando, ad esempio, ha difeso Maria che aveva cosparso il suo capo con un profumo molto costoso, nonostante le critiche, o quando si era messa ad ascoltare ciò che Lui diceva, anziché aiutare sua sorella che si affaticava per cose meno importanti. Oppure quando ha affermato di non avere mai trovato tanta fede quanta ne aveva avuta un centurione romano che gli aveva chiesto la guarigione di un suo servo o in una donna che aveva insistito per ottenere la liberazione della sua bambina indemoniata. O ha sottolineato la gratitudine di un solo lebbroso su altri dieci che aveva guarito.
Il proverbio dice che una mela al giorno toglie il medico di torno. Io dico anche che una lode al giorno potrebbe migliorare, rischiarare, rallegrare l’atmosfera di molte famiglie.
Provaci
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Queste e altre frasi di Gesù sottolineavano la sua approvazione per azioni giuste compiute o parole dette da qualcuno. Egli era sempre pronto a lodare e a difendere chi faceva bene e diceva cose buone. Egli conosceva bene l’arte di lodare.
Lodare e sottolineare quello che uno fa di buono, e dirlglielo, fa sempre del bene.
Personalmente ho trovato che, quando erano piccoli, una lode ai figli faceva molto più effetto di una sgridata. Se mettevano in ordine la camera, quando tornavano da scuola trovavano un cartello con scritto sopra “BRAVI!” e se finivano bene i compiti senza fare storie, spesso ricevevano un piccolo premio. E, al suo ritorno dall’ufficio, mio marito veniva prontamente informato delle loro prodezze. Succedeva tutti i giorni? NO, ma succedeva.
Alcuni mi dicevano che facevo male a lodarli, perché, a quel modo, incoraggiavo il loro orgoglio. Sarà, ma io non ci ho mai creduto!
Naturalmente, le lodi devono essere meritate e sincere (la prossima volta parlerò di sgridate) e non devono avere l’aria di un pagamento per una promessa mantenuta o un’ubbidienza fatta in seguito a una minaccia.
Devono sottolineare una buona qualità, notare un’azione gentile, mettere in risalto un buon atteggiamento.
Esattamente come faceva Gesù, quando, ad esempio, ha difeso Maria che aveva cosparso il suo capo con un profumo molto costoso, nonostante le critiche, o quando si era messa ad ascoltare ciò che Lui diceva, anziché aiutare sua sorella che si affaticava per cose meno importanti. Oppure quando ha affermato di non avere mai trovato tanta fede quanta ne aveva avuta un centurione romano che gli aveva chiesto la guarigione di un suo servo o in una donna che aveva insistito per ottenere la liberazione della sua bambina indemoniata. O ha sottolineato la gratitudine di un solo lebbroso su altri dieci che aveva guarito.
Il proverbio dice che una mela al giorno toglie il medico di torno. Io dico anche che una lode al giorno potrebbe migliorare, rischiarare, rallegrare l’atmosfera di molte famiglie.
Provaci
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