Ho sentito sentito questa frase quando ero bambina e mi ha fatto molto effetto. Era un’amico di mio padre che la diceva spesso, parlando di figli, amici e parenti.
Di solito, non chiedevo spiegazioni e le cercavo per conto mio (spesso sbagliando). Quella volta però ho chiesto a mio padre perché l’amico non voleva essere un pellicano e ho avuto la spiegazione che cercavo.
Pare che il pellicano sia un animale molto generoso e altruista, pronto in caso di bisogno, a lasciare che i pellicanini suoi figli gli mangino il fegato e le budelle, in mancanza di altro cibo. Da allora ho avuto una ammirazione sconfinata per i pellicani, ma sono anche stata contenta che mio padre non lo fosse, perché il fegato non mi è mai piaciuto e il suo ancora meno.
Sia come sia, nessuno di noi nasce pellicano. L’altruismo non è naturale. L’egoismo è invece la qualità innata che ci accomuna tutti. Pensiamo a noi stessi, vogliamo stare bene e perfino quando amiamo e crediamo di dare molto, sotto sotto, lo facciamo perché la cosa ci soddisfa e ne traiamo un beneficio. La nostra natura è tarata dal peccato e anche il bene che facciamo è sempre imperfetto. Nasciamo così. Il peccato è nel nostro DNA.
Un gran brutto quadro se non ci fosse Uno che non è egoista, anche se potrebbe esserlo, perché è autosufficiente, non ha bisogno di nessuno e non deve niente a nessuno. Uno che è perfettamente giusto, buono e santo. Uno che ha continuato a amare l’uomo anche se questo si è ribellato a Lui e vive lontano da Lui. Questo Essere straordinario è Dio.
Il Vangelo dice: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” e “mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi”. L’altruismo di Dio è arrivato a dare ciò che gli era più caro, per pagare il prezzo della nostra colpa e rendere possibile il nostro riavvicinamento a Lui. È morto Lui stesso, nella persona di suo Figlio venuto sulla terra, e ha pagato con un sacrificio di valore infinito la colpa infinita del genere umano. Di più non poteva fare.
Cosa ci chiede in cambio? Che ci pentiamo del nostro peccato e ci apriamo al suo amore. Allora potremo cominciare a amare anche noi e a vincere il nostro egoismo. A diventare un po’ più... pellicani, insomma!
Il grande comandamento di Dio è di amarlo con tutto il nostro essere e di amare il nostro prossimo come noi stessi. Ci dice che non dobbiamo cercare il nostro interesse, ma piuttosto quello degli altri, e imparare a considerare gli altri più importanti di noi.
Difficile! Ma non impossibile, se permettiamo a Dio di operare in noi e per mezzo di noi. E se non ci scoraggiamo se cadiamo, ma facciamo di ogni caduta uno scalino per migliorare.
Amore è... 8 — Dobbiamo fare molta attenzione...
Una mia nipotina, magrina e piatta davanti come una tavola, data la sua età, è venuta da me col fare di una congiurata e mi ha detto: “Sai, nonna, noi donne, dobbiamo fare molta attenzione... soprattutto non dobbiamo far vedere dove comincia il nostro petto...”
Mi ha fatta sorridere, naturalmente, dato il suo fisico. Ma ho dato, dentro di me, anche un voto di 10 e lode a sua mamma. Meglio cominciare presto a inculcare il principio del pudore e della modestia alle nostre figlie.
Ci ha pensato anche l’apostolo Paolo, che figlie non ne aveva, ma di donne ne avrà viste molte, quando fra le qualità dell’amore è stato ispirato da Dio a scrivere che “l’amore non si comporta in modo sconveniente”.
Nel testo originale (ogni tanto mi do un po’ di arie anch’io come i predicatori che citano greco e ebraico a ogni piè sospinto, come se davvero li conoscessero a fondo!) la parola “sconveniente” ha il senso di “comportarsi in modo che nei propri atteggiamenti non ci sia niente di male”. Il che copre un gran territorio che va oltre alle scollature e investe tutto il nostro modo di essere come persone.
Però, una parola sulle scollature e le nudità, mi pare appropriata. Non tanto per il buon gusto, che non guasta mai, ma anche per proporre una certa cautela e fornire una certa protezione, specialmente alle ragazze giovani e carine.
Mi spiego. Sentiamo parlare di stupri, aggressioni, gravidanze indesiderate e ci rattristiamo. Ma non pensate che, forse, ce ne sarebbero un po’ meno se certe parti del corpo femminile non fossero messe in mostra tutto il tempo in TV, nei film, per la strada e anche da ragazze che si considerano a posto e serie?
Ma è possibile che per vendere una macchina, la si debba presentare con al volante una donna che avrebbe bisogno di due secchi per reggipetto, come dicevano dei ragazzi miei amici, una volta, parlando di Rita Hayworth? E che per lodare le virtù del parmigiano una donna debba mettere in mostra tutto e di più?
Lo sappiamo tutti che gli uomini sono attratti da quello che vedono. E se vedono troppo...
Ma il “comportarsi in modo sconveniente” ha anche a che fare con quello che diciamo. Col parlare con gentilezza, col non raccontare (o riderci su) barzellette a doppio senso. Col non pettegolare, insinuare il male e rispondere sgarbatamente.
Ha a che fare perfino con l’usare discrezione e riservatezza nei riguardi di parenti e amici. Ci ha pensato anche l’apostolo Pietro (quanto mi piace quell’uomo, così genuino e senza peli sulla lingua!). Ascoltate: “Nessuno di voi patisca come omicida, o ladro o malfattore (ci mancherebbe! pensiamo. Ma andamo avanti...) o come ingerentesi nei fatti altrui (in parole semplici “come ficcanaso”), ma se uno patisce come cristiano non se ne vergogni” (1 Pietro 4:15).
“Ficcanasare” è anche questo un modo di comportarsi in modo sconveniente. E quanti ficcanaso ci sono nelle famiglie, nella chiesa, negli uffici, nelle scuole. È ora di imparare a farci i fatti nostri.
Se sentiamo una maldicenza, preghiamoci su. Ma non consideriamola una ghiottoneria che ne attira subito un’altra come la definiva Salomone!
E, quando sono sposati, lasciamo che i figli facciano come sembra loro bene e non buttiamoci a consigliare, ammonire e ficcanasare tutto il tempo!
L’antidoto al comportarsi in modo sconveniente è la qualità che viene dopo nella lista biblica delle qualità dell’amore. È “non cercare il proprio interesse”.
Ma ne parliamo la prossima volta. Per oggi abbiamo già abbastanza su cui meditare. E forse, da cambiare.
Mi ha fatta sorridere, naturalmente, dato il suo fisico. Ma ho dato, dentro di me, anche un voto di 10 e lode a sua mamma. Meglio cominciare presto a inculcare il principio del pudore e della modestia alle nostre figlie.
Ci ha pensato anche l’apostolo Paolo, che figlie non ne aveva, ma di donne ne avrà viste molte, quando fra le qualità dell’amore è stato ispirato da Dio a scrivere che “l’amore non si comporta in modo sconveniente”.
Nel testo originale (ogni tanto mi do un po’ di arie anch’io come i predicatori che citano greco e ebraico a ogni piè sospinto, come se davvero li conoscessero a fondo!) la parola “sconveniente” ha il senso di “comportarsi in modo che nei propri atteggiamenti non ci sia niente di male”. Il che copre un gran territorio che va oltre alle scollature e investe tutto il nostro modo di essere come persone.
Però, una parola sulle scollature e le nudità, mi pare appropriata. Non tanto per il buon gusto, che non guasta mai, ma anche per proporre una certa cautela e fornire una certa protezione, specialmente alle ragazze giovani e carine.
Mi spiego. Sentiamo parlare di stupri, aggressioni, gravidanze indesiderate e ci rattristiamo. Ma non pensate che, forse, ce ne sarebbero un po’ meno se certe parti del corpo femminile non fossero messe in mostra tutto il tempo in TV, nei film, per la strada e anche da ragazze che si considerano a posto e serie?
Ma è possibile che per vendere una macchina, la si debba presentare con al volante una donna che avrebbe bisogno di due secchi per reggipetto, come dicevano dei ragazzi miei amici, una volta, parlando di Rita Hayworth? E che per lodare le virtù del parmigiano una donna debba mettere in mostra tutto e di più?
Lo sappiamo tutti che gli uomini sono attratti da quello che vedono. E se vedono troppo...
Ma il “comportarsi in modo sconveniente” ha anche a che fare con quello che diciamo. Col parlare con gentilezza, col non raccontare (o riderci su) barzellette a doppio senso. Col non pettegolare, insinuare il male e rispondere sgarbatamente.
Ha a che fare perfino con l’usare discrezione e riservatezza nei riguardi di parenti e amici. Ci ha pensato anche l’apostolo Pietro (quanto mi piace quell’uomo, così genuino e senza peli sulla lingua!). Ascoltate: “Nessuno di voi patisca come omicida, o ladro o malfattore (ci mancherebbe! pensiamo. Ma andamo avanti...) o come ingerentesi nei fatti altrui (in parole semplici “come ficcanaso”), ma se uno patisce come cristiano non se ne vergogni” (1 Pietro 4:15).
“Ficcanasare” è anche questo un modo di comportarsi in modo sconveniente. E quanti ficcanaso ci sono nelle famiglie, nella chiesa, negli uffici, nelle scuole. È ora di imparare a farci i fatti nostri.
Se sentiamo una maldicenza, preghiamoci su. Ma non consideriamola una ghiottoneria che ne attira subito un’altra come la definiva Salomone!
E, quando sono sposati, lasciamo che i figli facciano come sembra loro bene e non buttiamoci a consigliare, ammonire e ficcanasare tutto il tempo!
L’antidoto al comportarsi in modo sconveniente è la qualità che viene dopo nella lista biblica delle qualità dell’amore. È “non cercare il proprio interesse”.
Ma ne parliamo la prossima volta. Per oggi abbiamo già abbastanza su cui meditare. E forse, da cambiare.
Amore è... 7 — Non faccio per vantarmi...
Nei miei ricordi di scuola media, c’è una poesia che descriveva un cavaliere ingnorante e superbo che finiva la sua tirata dicendo: “Non faccio per vantarmi, ma oggi è una bellissima giornata!”
Di gente così al mondo ce n’è tanta. Dopo un po’ che si sta con loro, si sa che cosa hanno fatto negli ultimi dieci anni, che hanno uno zio ingegnere, un nonno avvocato e che sono andati a pranzare con un deputato. Naturalmente hanno girato il mondo, dalla Thailandia alla Nuova Zelanda, oppure hanno rinunciato a farlo, per i troppi impegni di lavoro e perché senza di loro il mondo non gira.
La parola che risalta tutto il tempo è “io... io...io” (che ricorda un certo verso di animale).
L’apostolo Paolo, nel descrivere l’amore vero, quello che viene da Dio, ha detto che “non si vanta e non si gonfia”.
Vantarsi significa attribuirsi meriti reali o immaginari e “gonfiarsi” significa pavoneggiarsi e mettersi in mostra, sentendosi superiori agli altri. Sono sintomi di un problema che si chiama orgoglio. Un problema, purtroppo, sempre latente, se non evidente, in ognuno di noi.
Il Libro dei Proverbi (cosa faremmo senza quel libro?) parla di alcune cose di cui ci vantiamo.
“Molta gente vanta la propria bontà, ma un uomo fedele chi lo troverà?” (20:6). Certe persone sembrano dire: “Guardatemi bene: avete visto la perfezione!”
“Cattivo! Cattivo! Dice il compratore; ma andandosene, si vanta dell’acquisto” (20:14). Bello sentirsi furbi e vantarsi delle proprie capacità nel contrattare e farla in barba al prossimo.
“Nuvole e vento, ma niente pioggia; ecco l’uomo che si vanta falsamente della sua generosità” (25:14). Evidentemente era un tipo che teneva tutto per sé, ma faceva finta di dare molto.
“La conoscenza gonfia” ha scritto l’apostolo Paolo ai credenti di Corinto (Prima lettera 8:1). Fra i membri di quella chiesa, alcuni pensavano di sapere tutto e di poter fare la lezione a chiunque, quanto alla fede. Altri si vantavano, invece, di essere magnanimamente larghi di vedute e tolleravano il male (1 Corinzi 5:2). Orgogliosi fino all’osso, in tutti e due i casi.
L’orgoglio cerca di imporre le proprie idee e vuole dominare e avere sempre ragione. Si impunta su questioni di poca importanza. È legalista e molto spesso porta, nelle chiese, la falsa dottrina.
Che cosa pensa Dio dell’orgoglio? Ascoltiamo e tremiamo!
“Io sterminerò chi sparla in segreto del suo prossimo; e chi ha l’occhio altero e il cuore gonfio non lo sopporterò!” (Salmo 101:5).
Di versetti simili ce ne sarebbero a decine. Ma questo può bastare.
L’orgoglio ha fatto cadere Lucifero e molti potenti (vedi il re Erode, Atti 12:21-23). L’orgoglio manda in rovina chiunque non se ne pente davanti a Dio e non gli chiede perdono.
Per chi si umilia, contando invece solo sulla grazia di Dio, c’è speranza. Dio indica come imbrigliare la brutta bestia.
Il re Davide ha esclamato: “Il mio cuore non è gonfio di superbia e i miei occhi non sono alteri; non attendo a cose troppo grandi e troppo alte per me... io ho calmato la mia anima, com’è quieto il bambino divezzato sul seno di sua madre” (Salmo 131:1,2).
Per un re, mica male! Quando ci prendiamo le misure e onestamente capiamo di valere poco (anzi niente), troviamo piena soddisfazione e pace nel Signore.
L’apostolo Paolo, poi, esortava i Romani, scrivendo loro (12:3), a avere un concetto equilibrato di loro stessi. Tutti abbiamo delle capacità e dei doni. Usiamoli con piena gioia e riconoscenza, sapendo che non ce li siamo autofabbricati, ma che sono venuti da Dio. Allora che vanto c’è? C’è posto solo per la gratitudine.
In un’altra occasione, Paolo ha scritto ai credenti della chiesa di Filippi 2:3: “Non fate niente per vanto o vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri più di se stesso”. Questo vuol dire, in parole semplici, che dobbiamo abituarci a considerare gli altri più importanti di noi. Imparare a servire, anziché aspettare che gli altri ci servano.
E ciliegina finale, torniamo alla lettera ai Romani (7:18), e poi ascoltiamo anche Pietro per un ultimo ridimensionamento.
“Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene” ovvero tutto quello che posso fare di bene è sempre imperfetto e, in ogni modo, lo faccio solo perché Dio mi ha permesso di farlo.
E “Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1 Pietro 3:5).
Ci sentiamo alla prossima. L’amore non finisce qui. Ciao!
Di gente così al mondo ce n’è tanta. Dopo un po’ che si sta con loro, si sa che cosa hanno fatto negli ultimi dieci anni, che hanno uno zio ingegnere, un nonno avvocato e che sono andati a pranzare con un deputato. Naturalmente hanno girato il mondo, dalla Thailandia alla Nuova Zelanda, oppure hanno rinunciato a farlo, per i troppi impegni di lavoro e perché senza di loro il mondo non gira.
La parola che risalta tutto il tempo è “io... io...io” (che ricorda un certo verso di animale).
L’apostolo Paolo, nel descrivere l’amore vero, quello che viene da Dio, ha detto che “non si vanta e non si gonfia”.
Vantarsi significa attribuirsi meriti reali o immaginari e “gonfiarsi” significa pavoneggiarsi e mettersi in mostra, sentendosi superiori agli altri. Sono sintomi di un problema che si chiama orgoglio. Un problema, purtroppo, sempre latente, se non evidente, in ognuno di noi.
Il Libro dei Proverbi (cosa faremmo senza quel libro?) parla di alcune cose di cui ci vantiamo.
“Molta gente vanta la propria bontà, ma un uomo fedele chi lo troverà?” (20:6). Certe persone sembrano dire: “Guardatemi bene: avete visto la perfezione!”
“Cattivo! Cattivo! Dice il compratore; ma andandosene, si vanta dell’acquisto” (20:14). Bello sentirsi furbi e vantarsi delle proprie capacità nel contrattare e farla in barba al prossimo.
“Nuvole e vento, ma niente pioggia; ecco l’uomo che si vanta falsamente della sua generosità” (25:14). Evidentemente era un tipo che teneva tutto per sé, ma faceva finta di dare molto.
“La conoscenza gonfia” ha scritto l’apostolo Paolo ai credenti di Corinto (Prima lettera 8:1). Fra i membri di quella chiesa, alcuni pensavano di sapere tutto e di poter fare la lezione a chiunque, quanto alla fede. Altri si vantavano, invece, di essere magnanimamente larghi di vedute e tolleravano il male (1 Corinzi 5:2). Orgogliosi fino all’osso, in tutti e due i casi.
L’orgoglio cerca di imporre le proprie idee e vuole dominare e avere sempre ragione. Si impunta su questioni di poca importanza. È legalista e molto spesso porta, nelle chiese, la falsa dottrina.
Che cosa pensa Dio dell’orgoglio? Ascoltiamo e tremiamo!
“Io sterminerò chi sparla in segreto del suo prossimo; e chi ha l’occhio altero e il cuore gonfio non lo sopporterò!” (Salmo 101:5).
Di versetti simili ce ne sarebbero a decine. Ma questo può bastare.
L’orgoglio ha fatto cadere Lucifero e molti potenti (vedi il re Erode, Atti 12:21-23). L’orgoglio manda in rovina chiunque non se ne pente davanti a Dio e non gli chiede perdono.
Per chi si umilia, contando invece solo sulla grazia di Dio, c’è speranza. Dio indica come imbrigliare la brutta bestia.
Il re Davide ha esclamato: “Il mio cuore non è gonfio di superbia e i miei occhi non sono alteri; non attendo a cose troppo grandi e troppo alte per me... io ho calmato la mia anima, com’è quieto il bambino divezzato sul seno di sua madre” (Salmo 131:1,2).
Per un re, mica male! Quando ci prendiamo le misure e onestamente capiamo di valere poco (anzi niente), troviamo piena soddisfazione e pace nel Signore.
L’apostolo Paolo, poi, esortava i Romani, scrivendo loro (12:3), a avere un concetto equilibrato di loro stessi. Tutti abbiamo delle capacità e dei doni. Usiamoli con piena gioia e riconoscenza, sapendo che non ce li siamo autofabbricati, ma che sono venuti da Dio. Allora che vanto c’è? C’è posto solo per la gratitudine.
In un’altra occasione, Paolo ha scritto ai credenti della chiesa di Filippi 2:3: “Non fate niente per vanto o vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri più di se stesso”. Questo vuol dire, in parole semplici, che dobbiamo abituarci a considerare gli altri più importanti di noi. Imparare a servire, anziché aspettare che gli altri ci servano.
E ciliegina finale, torniamo alla lettera ai Romani (7:18), e poi ascoltiamo anche Pietro per un ultimo ridimensionamento.
“Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene” ovvero tutto quello che posso fare di bene è sempre imperfetto e, in ogni modo, lo faccio solo perché Dio mi ha permesso di farlo.
E “Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1 Pietro 3:5).
Ci sentiamo alla prossima. L’amore non finisce qui. Ciao!
Amore è... 6 — Tanto era acerba!
La ricordate la battuta della volpe che non arrivava a mangiare l’uva matura e succulenta, vero?
L’invidia è una bruttissima bestia,che fa capolino una volta o l’altra in tutti noi. Io posso passare davanti alle vetrine di mille negozi e non provare desiderio di possedere quello che è esposto.
“Che brava!” pensate.
Mica tanto! So invidiare anch’io. Ho provato invidia, a volte, guardando le famiglie dei vicini che caricavano sdraie e ombrelloni nelle macchine e andavano al mare coi loro figli. E noi “servi di Dio a pieno tempo” non ce lo potevamo permettere!
Un’altra volta avrei fatto carte false per poter partecipare a un’escursione sulla Marmolada con altri giovani. Ma non avevo gli scarponi adatti come loro e il sangue genovese di mio padre non permetteva certe stravaganze.
Ah! Da bambina invidiavo anche una compagnetta bionda, che si chiamava Novella (povero amore!) e aveva i boccoli.
L’amore non invidia, dice la lista delle qualità dell’amore, che stiamo percorrendo insieme.
Gesù non ha mai invidiato. Ha lasciato la gloria che gli apparteneva, la perfezione del cielo e il servizio di miriadi di angeli. Ha considerato tutte queste meraviglie come cose a cui non restare aggrappato ed è venuto sulla terra. Si è fatto povero, ha servito, non ha avuto una casa sua e mai si è lamentato. Anzi, ha parlato spesso della sua gioia, nel fare la volontà di suo Padre.
L’invidia ha, invece, spinto Satana a voler essere come Dio e a indurre Adamo e Eva a fare lo stesso. Di conseguenza, l’invidia fa parte della natura umana, carnale e diabolica (Giacomo 3:14,16) e il libro dei Proverbi la assomiglia alla “carie delle ossa” (14:30). Una cosa che ti rode dentro e non ti dà pace.
Di esempi di invidia la Bibbia è piena. Solo per nominarne alcuni, Saul invidiava Davide, perché era più lodato di lui; i figli di Giacobbe invidiavano il loro fratello Giuseppe, perché era il preferito del papà; i Farisei invidiavano Gesù, perché la folla lo seguiva; certi falsi fratelli invidiavano l’apostolo Paolo e predicavano il Vangelo per fargli rabbia; il Salmista Asaf ha invidiato i malvagi a cui tutto andava bene e erano belli grassi e pasciuti.
L’ultimo comandamento dato da Dio sul Sinai dice: “Non desiderare la moglie del tuo prossimo... né cosa alcuna che sia del tuo prossimo” (Esodo 20:17). Che, interpretato, vuol dire: “Non invidiare”.
Come si può non invidiare? In assoluto, non si può. Meno te lo aspetti e l’invidia, come un serpente, rizzerà la testa. E lo farà così bene che non ti renderai neppure conto che sia invidia. Comprerai un telefonino più sofisticato, perché il tuo collega ne ha uno uguale. E acquisterai le scarpe col tacco a spillo, per andare al matrimonio della figlia del principale anche se ti rovinano la schiena. Ma non puoi può essere da meno delle altre colleghe. Loro le portano anche in ufficio!
L’invidia non si debella, ma si può controllare. A un patto: che si sia credenti, nati di nuovo, e, perciò, lo Spirito Santo abita in noi. E se diamo retta alla sua voce.
Che cosa ci dice, per esempio?
Proprio l’anno in cui ero triste perché non potevo portare i figli alla spiaggia, qualcuno ci ha prestato una tenda (di quelle che aprivano a ombrello e avevano solo un telone attorno!) e siamo andati al mare per due settimane!
L’invidia è una bruttissima bestia,che fa capolino una volta o l’altra in tutti noi. Io posso passare davanti alle vetrine di mille negozi e non provare desiderio di possedere quello che è esposto.
“Che brava!” pensate.
Mica tanto! So invidiare anch’io. Ho provato invidia, a volte, guardando le famiglie dei vicini che caricavano sdraie e ombrelloni nelle macchine e andavano al mare coi loro figli. E noi “servi di Dio a pieno tempo” non ce lo potevamo permettere!
Un’altra volta avrei fatto carte false per poter partecipare a un’escursione sulla Marmolada con altri giovani. Ma non avevo gli scarponi adatti come loro e il sangue genovese di mio padre non permetteva certe stravaganze.
Ah! Da bambina invidiavo anche una compagnetta bionda, che si chiamava Novella (povero amore!) e aveva i boccoli.
L’amore non invidia, dice la lista delle qualità dell’amore, che stiamo percorrendo insieme.
Gesù non ha mai invidiato. Ha lasciato la gloria che gli apparteneva, la perfezione del cielo e il servizio di miriadi di angeli. Ha considerato tutte queste meraviglie come cose a cui non restare aggrappato ed è venuto sulla terra. Si è fatto povero, ha servito, non ha avuto una casa sua e mai si è lamentato. Anzi, ha parlato spesso della sua gioia, nel fare la volontà di suo Padre.
L’invidia ha, invece, spinto Satana a voler essere come Dio e a indurre Adamo e Eva a fare lo stesso. Di conseguenza, l’invidia fa parte della natura umana, carnale e diabolica (Giacomo 3:14,16) e il libro dei Proverbi la assomiglia alla “carie delle ossa” (14:30). Una cosa che ti rode dentro e non ti dà pace.
Di esempi di invidia la Bibbia è piena. Solo per nominarne alcuni, Saul invidiava Davide, perché era più lodato di lui; i figli di Giacobbe invidiavano il loro fratello Giuseppe, perché era il preferito del papà; i Farisei invidiavano Gesù, perché la folla lo seguiva; certi falsi fratelli invidiavano l’apostolo Paolo e predicavano il Vangelo per fargli rabbia; il Salmista Asaf ha invidiato i malvagi a cui tutto andava bene e erano belli grassi e pasciuti.
L’ultimo comandamento dato da Dio sul Sinai dice: “Non desiderare la moglie del tuo prossimo... né cosa alcuna che sia del tuo prossimo” (Esodo 20:17). Che, interpretato, vuol dire: “Non invidiare”.
Come si può non invidiare? In assoluto, non si può. Meno te lo aspetti e l’invidia, come un serpente, rizzerà la testa. E lo farà così bene che non ti renderai neppure conto che sia invidia. Comprerai un telefonino più sofisticato, perché il tuo collega ne ha uno uguale. E acquisterai le scarpe col tacco a spillo, per andare al matrimonio della figlia del principale anche se ti rovinano la schiena. Ma non puoi può essere da meno delle altre colleghe. Loro le portano anche in ufficio!
L’invidia non si debella, ma si può controllare. A un patto: che si sia credenti, nati di nuovo, e, perciò, lo Spirito Santo abita in noi. E se diamo retta alla sua voce.
Che cosa ci dice, per esempio?
- La tua contentezza non dipende dal possedere o ricercare quello che hanno gli altri.
- Il Signore sa di che cosa hai bisogno.
Proprio l’anno in cui ero triste perché non potevo portare i figli alla spiaggia, qualcuno ci ha prestato una tenda (di quelle che aprivano a ombrello e avevano solo un telone attorno!) e siamo andati al mare per due settimane!
- Invece di invidiare, impara a donare.
- Impara a guardare le cose secondo il punto di vista di Dio.
- Impara a essere soddisfatto di quello che hai e a essere autosufficiente.
Amore è... 5 — Nominata almeno 130 volte: si direbbe importante!
Si tratta della benignità di Dio. Secondo il dizionario, la benignità è “la disposizione a trattare e giudicare il prossimo con benevolenza o liberalità nei contatti sociali e umani”.
Il Dio della Bibbia è benigno. È stato benigno con l’uomo fin dal principio, quando lo ha collocato in un giardino stupendo, in una condizione perfetta, allo scopo di avere un contatto e una relazione di comunione perfetta con lui. Il progetto iniziale è stato rovinato dalla disubbidienza dell’uomo, ma Dio ha continuato a essere benigno.
Per esempio, nel dare i 10 comandamenti, per mezzo di Mosè, dopo aver detto nel secondo comandamento di non farsi sculture e immagini e di non venerarle (ti sei reso conto che la Chiesa Romana ha tolto questo comando dal decalogo e, per avere in ogni modo il conto esatto, ha diviso l’ultimo in due?) ha ribadito: “Perché io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso che punisce l’iniquità... e uso benignità fino alla millesima generazione verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (verifica tutto nel capitolo 20 del libro dell’Esodo).
Nei Salmi è detto che Dio è benigno in tutte le sue opere (145:17) e che la sua benignità dura per sempre (52:1). Un altro salmo, il 141, lo ripete per ben 26 volte, a litania. Neemia lo definisce un Dio di grande benignità (9:17).
Il Vangelo di Luca (6:3) dice che Dio è benigno anche verso gli ingrati e i malvagi. Matteo ribadisce che, per la sua benignità, fa sorgere il sole sui malvagi e i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (5:46). Infatti, non li fulmina, ma aspetta che si ravvedano.
D’altra parte, quella di Dio è una benignità che riflette il suo carattere santo e giusto. Infatti, è sempre unita alla verità (Salmo 85:10) e alla severità (Lettera ai Romani 11:17).
Gesù è stato esattamente così. Ha avuto compassione per le folle affamate e le ha nutrite, ma non ha istituito “cucine popolari” in ogni angolo della Palestina. Sapeva che le moltitudini lo seguivano perché avevano avuto la pancia piena (Giovanni 6:26).
Si è fatto un frusta di corde e ha scacciato i mercanti dal tempio, che contaminavano la casa di suo Padre, è vero. D’altra parte, non è andato in giro frustando tutti i malvagi. Ha rimproverato chi non credeva in Lui, ma ha istruito chi lo seguiva, anche se non si fidava sempre di loro, perché leggeva nei loro cuori (Giovanni 2:25).
La benignità è il desiderio di fare del bene e farlo.
Dio la usa verso i suoi tutto il tempo (Salmo 103:2-5) , e con la benignità li stimola al ravvedimento quando peccano (Romani 2:4).
E noi? Il comando è preciso: “Siate benigni” (Efesini 3:4).
Dobbiamo fare il bene, sia che lo troviamo facile o no. Un comando particolarmente preciso è dato alle mogli con dei mariti difficili. Devono conquistarli con il loro spirito “benigno e pacifico”. Lo dice l’Apostolo Pietro, nella sua prima lettera (3:4). Lui era sposato e chissà quanti mariti brutali e egoisti aveva conosciuto nei suoi viaggi pastorali!
“Ma a quei tempi le donne erano trattate male... oggi le cose sono cambiate e i mariti sono cambiati” mi dite.
Beh, io potrei darvi nome e indirizzo di molti mariti difficili, che si dichiaravano credenti, che ho conosciuti e anche di mariti brutali. Uno era sposato con una donna che si era convertita dopo il matrimonio, un tipo che sprizzava amore per il Signore e per la gente da tutti i pori. Si ammazzava a lavorare per la famiglia e colmava di gentilezza il marito anche quando tornava a casa ubriaco e la picchiava fino a farla nera. E poi la metteva incinta.
“Lascialo!” la consigliavano anche gli anziani della sua chiesa.
“No, ho fede che si convertirà” rispondeva lei.
Si è convertito dopo molti anni e è diventato tenero come un agnello. Col braccio attorno alle spalle della moglie e, indicando la cicatrice di una coltellata sulla guancia di lei, diceva: “A questa santa, questa gliel’ho fatta io. Ma non mi ha mai lasciato!”. Ora riposano tutti e due, uno accanto all’altro, nel cimitero di Prima Porta a Roma. Mi piace immaginare che, in cielo, si tengono per mano e lodano insieme il Signore.
La scelta di prendere le botte dal marito è personale, ma quella di mostrare uno spirito benigno è un comando, anche se, a volte, è difficile praticarlo. L’abuso verbale, a volte, ferisce più delle botte e non sono poche le persone che lo usano anche coi figli. L’indifferenza e l’egoismo di un marito fanno sempre male. Però, il comando di usare benignità è sempre nella Bibbia e farà sempre del bene a chi lo ascolta, come dice il Libro dei Proverbi: “L’uomo (o la donna) benigno fa bene a se stesso, ma il crudele tortura la sua propria carne” (11:17).
E i mariti? Pietro ha pensato pure a loro. Ne parleremo, quando sarà il momento giusto.
Il Dio della Bibbia è benigno. È stato benigno con l’uomo fin dal principio, quando lo ha collocato in un giardino stupendo, in una condizione perfetta, allo scopo di avere un contatto e una relazione di comunione perfetta con lui. Il progetto iniziale è stato rovinato dalla disubbidienza dell’uomo, ma Dio ha continuato a essere benigno.
Per esempio, nel dare i 10 comandamenti, per mezzo di Mosè, dopo aver detto nel secondo comandamento di non farsi sculture e immagini e di non venerarle (ti sei reso conto che la Chiesa Romana ha tolto questo comando dal decalogo e, per avere in ogni modo il conto esatto, ha diviso l’ultimo in due?) ha ribadito: “Perché io, l’Eterno, l’Iddio tuo, sono un Dio geloso che punisce l’iniquità... e uso benignità fino alla millesima generazione verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (verifica tutto nel capitolo 20 del libro dell’Esodo).
Nei Salmi è detto che Dio è benigno in tutte le sue opere (145:17) e che la sua benignità dura per sempre (52:1). Un altro salmo, il 141, lo ripete per ben 26 volte, a litania. Neemia lo definisce un Dio di grande benignità (9:17).
Il Vangelo di Luca (6:3) dice che Dio è benigno anche verso gli ingrati e i malvagi. Matteo ribadisce che, per la sua benignità, fa sorgere il sole sui malvagi e i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (5:46). Infatti, non li fulmina, ma aspetta che si ravvedano.
D’altra parte, quella di Dio è una benignità che riflette il suo carattere santo e giusto. Infatti, è sempre unita alla verità (Salmo 85:10) e alla severità (Lettera ai Romani 11:17).
Gesù è stato esattamente così. Ha avuto compassione per le folle affamate e le ha nutrite, ma non ha istituito “cucine popolari” in ogni angolo della Palestina. Sapeva che le moltitudini lo seguivano perché avevano avuto la pancia piena (Giovanni 6:26).
Si è fatto un frusta di corde e ha scacciato i mercanti dal tempio, che contaminavano la casa di suo Padre, è vero. D’altra parte, non è andato in giro frustando tutti i malvagi. Ha rimproverato chi non credeva in Lui, ma ha istruito chi lo seguiva, anche se non si fidava sempre di loro, perché leggeva nei loro cuori (Giovanni 2:25).
La benignità è il desiderio di fare del bene e farlo.
Dio la usa verso i suoi tutto il tempo (Salmo 103:2-5) , e con la benignità li stimola al ravvedimento quando peccano (Romani 2:4).
E noi? Il comando è preciso: “Siate benigni” (Efesini 3:4).
Dobbiamo fare il bene, sia che lo troviamo facile o no. Un comando particolarmente preciso è dato alle mogli con dei mariti difficili. Devono conquistarli con il loro spirito “benigno e pacifico”. Lo dice l’Apostolo Pietro, nella sua prima lettera (3:4). Lui era sposato e chissà quanti mariti brutali e egoisti aveva conosciuto nei suoi viaggi pastorali!
“Ma a quei tempi le donne erano trattate male... oggi le cose sono cambiate e i mariti sono cambiati” mi dite.
Beh, io potrei darvi nome e indirizzo di molti mariti difficili, che si dichiaravano credenti, che ho conosciuti e anche di mariti brutali. Uno era sposato con una donna che si era convertita dopo il matrimonio, un tipo che sprizzava amore per il Signore e per la gente da tutti i pori. Si ammazzava a lavorare per la famiglia e colmava di gentilezza il marito anche quando tornava a casa ubriaco e la picchiava fino a farla nera. E poi la metteva incinta.
“Lascialo!” la consigliavano anche gli anziani della sua chiesa.
“No, ho fede che si convertirà” rispondeva lei.
Si è convertito dopo molti anni e è diventato tenero come un agnello. Col braccio attorno alle spalle della moglie e, indicando la cicatrice di una coltellata sulla guancia di lei, diceva: “A questa santa, questa gliel’ho fatta io. Ma non mi ha mai lasciato!”. Ora riposano tutti e due, uno accanto all’altro, nel cimitero di Prima Porta a Roma. Mi piace immaginare che, in cielo, si tengono per mano e lodano insieme il Signore.
La scelta di prendere le botte dal marito è personale, ma quella di mostrare uno spirito benigno è un comando, anche se, a volte, è difficile praticarlo. L’abuso verbale, a volte, ferisce più delle botte e non sono poche le persone che lo usano anche coi figli. L’indifferenza e l’egoismo di un marito fanno sempre male. Però, il comando di usare benignità è sempre nella Bibbia e farà sempre del bene a chi lo ascolta, come dice il Libro dei Proverbi: “L’uomo (o la donna) benigno fa bene a se stesso, ma il crudele tortura la sua propria carne” (11:17).
E i mariti? Pietro ha pensato pure a loro. Ne parleremo, quando sarà il momento giusto.
Amore è... 4 — L’amore è paziente
La prima parola che i bambini imparano a pronunciare è di solito “papà” (che è pericolosamente vicino e confondibile con “pappa”) e la seconda è “mamma”. Lo fa fra l’ammirazione dei parenti che si convinceranno che sia nato un genietto poliglotta. La terza è “no” e se è ripetuta due volte i nonni crederanno che il bebé parli di loro. Invece, in realtà, dice: “No”. E lo ripeterà fino alla morte.
Un’altra parola che uscirà presto da quella piccola bocca è “uffa”! Se vive in una famiglia dove gli viene insegnata la buona educazione non la dirà a alta voce, ma la penserà molte volte al giorno. “Uffa” significa: “che barba”, “che pizza”, “non ne posso più” e “anche la pazienza ha un limite”.
La pazienza non è una virtù insita nell’uomo. Vogliamo tutto e subito, non vogliamo essere disturbati o rimproverati. E lo dimostriamo. Basta che andiamo a fare la coda alla posta per spedire una raccomandata: prendiamo il nostro numero e dice 407, mentre il quadro luminoso indica che a essere servito è il numero 295. Se fossimo davanti allo specchio vedremo il ritratto di un martire del primo secolo. Se poi ci riesce di essere pazienti, ci diamo una bella pacca sulla spalla... e cadiamo nell’orgoglio. Non c’è scampo.
La pazienza è una virtù di Dio. Egli viene addirittura chiamato “l’Iddio della pazienza” (Lettera ai Romani 15:5) e la sua pazienza la sperimentiamo ogni giorno.
“Ma perché non ferma tanta cattiveria?” sentiamo dire quando il telegiornale parla di omicidi, attentati e guerre. La risposta è una sola: è paziente.
La Bibbia parla di alcune circostanze specifiche in cui l’ha dimostrata.
Nel Libro della Genesi, è detto che ha aspettato 120 anni prima di scatenare il diluvio universale e, durante quei 120 anni, Noè ha costruito l’arca predicando ai suoi contemporanei che si pentissero del male che facevano. Chissà se il diluvio avrebbe potuto essere evitato?
È stato infinitamente paziente col suo popolo quando l’ha liberato miracolosamente dalla schiavitù in Egitto e il popolo gli si è ribellato per i prossimi 40 anni. Ha pazientato anche coi pagani: col re d’Egitto, col popolo di Ninive che era crudelissimo e gli ha mandato un profeta perché si ravvedesse, col re Nabucodonosor, orgoglioso e tiranno. E, ammettiamolo, la sua pazienza si è prolungata nei secoli fino a noi.
Oggi è ancora paziente e trattiene il suo giudizio.
L’apostolo Pietro ne spiega il perché. “Il Signore è paziente verso voi, non volendo che alcuni periscano, ma che tutti giungano a ravvedersi. Ma il giorno del Signore verrà come un ladro; in esso i cieli passeranno stridenti e gli elementi infiammati si dissolveranno, e la terra e le opere che sono in esse sarano arse...” (2 Pietro 3:9,10). Sembra che parli degli effetti della bomba atomica, non vi pare? E quanto ci metterà qualcuno dei “potenti” di oggi a premere il bottone fatale? Pensiamoci.
Il Signore Gesù è stato paziente mentre viveva sulla terra.
L’ha dimostrato contro chi lo calunniava, coi discepli che non sembravano mai capire quello che diceva, con la folla che lo assediava e assillava giorno e notte. La sua pazienza lo rese ubbidiente e tenace, fino alla morte e anche dopo la resurrezione, quando ha riabilitato Pietro che loaveva tradito e ha fatto toccare a Tommaso che dubitava i segni delle sue ferite e dei chiodi. Non lo ha sgridato, ma gli ha detto: “Non essere incredulo. Piuttosto, credi!”.
Lo Spirito Santo è paziente.
Continua a avvicinarsi alla gente, che non si cura di Dio, per convincerla che è peccatrice, che dopo la morte ci sarà un giudizio, ma che il giudizio si può evitare credendo nella morte e nella resurrezione di Gesù.
E noi? Se siamo e diciamo di essere credenti, la pazienza è comandata. “Siate pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera”, “Siate pazienti... perché la venuta del Signore è vicina”, “Aggiungete alla vostra fede... la pazienza”.
Come fare? Decidendo di averla (Salmo 40:1) e aggrappandoci all’Iddio della pazienza, che vive dentro di noi e ci può aiutare producendola in noi.
Qualche commento? Lo aspetto.
La prossima volta, parleremo di benignità, che è il prossimo lato dell’amore.
Un’altra parola che uscirà presto da quella piccola bocca è “uffa”! Se vive in una famiglia dove gli viene insegnata la buona educazione non la dirà a alta voce, ma la penserà molte volte al giorno. “Uffa” significa: “che barba”, “che pizza”, “non ne posso più” e “anche la pazienza ha un limite”.
La pazienza non è una virtù insita nell’uomo. Vogliamo tutto e subito, non vogliamo essere disturbati o rimproverati. E lo dimostriamo. Basta che andiamo a fare la coda alla posta per spedire una raccomandata: prendiamo il nostro numero e dice 407, mentre il quadro luminoso indica che a essere servito è il numero 295. Se fossimo davanti allo specchio vedremo il ritratto di un martire del primo secolo. Se poi ci riesce di essere pazienti, ci diamo una bella pacca sulla spalla... e cadiamo nell’orgoglio. Non c’è scampo.
La pazienza è una virtù di Dio. Egli viene addirittura chiamato “l’Iddio della pazienza” (Lettera ai Romani 15:5) e la sua pazienza la sperimentiamo ogni giorno.
“Ma perché non ferma tanta cattiveria?” sentiamo dire quando il telegiornale parla di omicidi, attentati e guerre. La risposta è una sola: è paziente.
La Bibbia parla di alcune circostanze specifiche in cui l’ha dimostrata.
Nel Libro della Genesi, è detto che ha aspettato 120 anni prima di scatenare il diluvio universale e, durante quei 120 anni, Noè ha costruito l’arca predicando ai suoi contemporanei che si pentissero del male che facevano. Chissà se il diluvio avrebbe potuto essere evitato?
È stato infinitamente paziente col suo popolo quando l’ha liberato miracolosamente dalla schiavitù in Egitto e il popolo gli si è ribellato per i prossimi 40 anni. Ha pazientato anche coi pagani: col re d’Egitto, col popolo di Ninive che era crudelissimo e gli ha mandato un profeta perché si ravvedesse, col re Nabucodonosor, orgoglioso e tiranno. E, ammettiamolo, la sua pazienza si è prolungata nei secoli fino a noi.
Oggi è ancora paziente e trattiene il suo giudizio.
L’apostolo Pietro ne spiega il perché. “Il Signore è paziente verso voi, non volendo che alcuni periscano, ma che tutti giungano a ravvedersi. Ma il giorno del Signore verrà come un ladro; in esso i cieli passeranno stridenti e gli elementi infiammati si dissolveranno, e la terra e le opere che sono in esse sarano arse...” (2 Pietro 3:9,10). Sembra che parli degli effetti della bomba atomica, non vi pare? E quanto ci metterà qualcuno dei “potenti” di oggi a premere il bottone fatale? Pensiamoci.
Il Signore Gesù è stato paziente mentre viveva sulla terra.
L’ha dimostrato contro chi lo calunniava, coi discepli che non sembravano mai capire quello che diceva, con la folla che lo assediava e assillava giorno e notte. La sua pazienza lo rese ubbidiente e tenace, fino alla morte e anche dopo la resurrezione, quando ha riabilitato Pietro che loaveva tradito e ha fatto toccare a Tommaso che dubitava i segni delle sue ferite e dei chiodi. Non lo ha sgridato, ma gli ha detto: “Non essere incredulo. Piuttosto, credi!”.
Lo Spirito Santo è paziente.
Continua a avvicinarsi alla gente, che non si cura di Dio, per convincerla che è peccatrice, che dopo la morte ci sarà un giudizio, ma che il giudizio si può evitare credendo nella morte e nella resurrezione di Gesù.
E noi? Se siamo e diciamo di essere credenti, la pazienza è comandata. “Siate pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera”, “Siate pazienti... perché la venuta del Signore è vicina”, “Aggiungete alla vostra fede... la pazienza”.
Come fare? Decidendo di averla (Salmo 40:1) e aggrappandoci all’Iddio della pazienza, che vive dentro di noi e ci può aiutare producendola in noi.
Qualche commento? Lo aspetto.
La prossima volta, parleremo di benignità, che è il prossimo lato dell’amore.
Amore è... 3 — Gesù... Com’era?
Non ho mai visto un quadro che mostri coraggiosamente com’era davvero Gesù. Lo dipingono, di solito, biondo, con una testa che sembra uscita dal parrucchiere, occhi azzurri e un corpo quasi da atleta, perfettamente proporzionato. Anche sulla croce è dipinto solo con poche ferite e qualche goccia di sangue. Eppure la Bibbia dice che era sfigurato e irriconoscibile.
La Bibbia dice pure che non aveva nulla nel suo aspetto che potesse attirare gli sguardi, mentre di alcuni altri uomini descrive l’altezza e la prestanza. Pobabilmente era un po’ scuro di carnagione, come erano gli ebrei, aveva la barba e i capelli lunghi come i nazirei che si consacravano al servizio di Dio. Vestiva come un ebreo qualunque, parlava come un ebreo e viveva con grande semplicità. Le sue mani avevano i calli, come qualsiasi operaio.
Però la gente lo notava e lo osservava. Evidentemente nel suo portamento e nel suo modo di essere c’era qualcosa di diverso. Dal modo in cui una persona guarda, cammina, si muove, sorride si capisce come è dentro.
Mia mamma era incredibile. Poteva fare la radiografia del carattere di una persona, dopo che le aveva parlato per cinque minuti. Per esempio, mi diceva che una persona che “cammina coi tacchi è uno stupido che crede però di sapere tutto”. Io non so come si faccia a camminare solo sulle punte, per apparire umile. Ma tant’è: mia mamma ci prendeva. “Non ti fidare di chi ti dà la mano e non la stringe” mi diceva. “È un falso.”
D’altra parte, è vero che una persona è amara, lo si intuisce dalle rughe spioventi attorno alla bocca e una acida dal suo sguardo che sembra fulminarti, mentre una bonacciona la si capisce dal suo sorriso bonario.
Dai racconti dei vangeli si comprende bene quale fosse il carattere di Gesù. Era gentile, ma non sdolcinato. Era severo, ma non duro. Era estremamente occupato, ma mai scortese.
Si fermava a guarire i malati, toccava gli intoccabili e aveva una grande pazienza. Mostrava una profonda gentilezza verso le donne. Era religioso, ma non metteva in mostra la sua pietà. Era l’incarnazione dell’amore di suo Padre per gli uomini e del suo amore per il Padre.
La descrizione di questo amore perfetto prenderebbe molti libri. Se ne trova una incredibilmente concisa in una lettera di S. Paolo. L’hanno chiamata proprio “il ritratto di Gesù”. È nel capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi. Eccola.
“L’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia, l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non si inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia, ma gode della verità, soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.”
Così era Gesù. Ha visto un giovane ricco che, a quel che pare, aveva delle buone intenzioni di seguirlo, ma che poi non lo fece, ma Gesù non lo respinse a priori. Anzi, gli dimostrò amore nel modo in cui lo guardava. Ha visto una povera donna, impura per la legge ebraica, è si è fermato nella calca solo per guarirla e rassicurarla che la sua fede l’aveva salvata. Ha preso i bambini in braccio. Non ha avuto paura di parlare con chi viveva una vita di peccato palese e ha lodato il loro pentimento. Ha pianto sull’incredulità di Gerusalemme.
Come ho detto la volta scorsa, nella mia risposta a Gabriele, chi vedeva Gesù, vedeva Dio. Perché Lui era Dio. E farci conoscere il carattere di Dio era uno degli scopi della sua venuta.
Non tutti l’hanno capito e perciò si sono allontanati da Lui. Molti altri lo hanno seguito.
Spero che un esame particolare delle sfaccettature dell’amore di Gesù ci aiuterà a apprezzare di più il Salvatore e spingerci a riconoscerlo e a volerne fare il Signore della notra vita.
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La Bibbia dice pure che non aveva nulla nel suo aspetto che potesse attirare gli sguardi, mentre di alcuni altri uomini descrive l’altezza e la prestanza. Pobabilmente era un po’ scuro di carnagione, come erano gli ebrei, aveva la barba e i capelli lunghi come i nazirei che si consacravano al servizio di Dio. Vestiva come un ebreo qualunque, parlava come un ebreo e viveva con grande semplicità. Le sue mani avevano i calli, come qualsiasi operaio.
Però la gente lo notava e lo osservava. Evidentemente nel suo portamento e nel suo modo di essere c’era qualcosa di diverso. Dal modo in cui una persona guarda, cammina, si muove, sorride si capisce come è dentro.
Mia mamma era incredibile. Poteva fare la radiografia del carattere di una persona, dopo che le aveva parlato per cinque minuti. Per esempio, mi diceva che una persona che “cammina coi tacchi è uno stupido che crede però di sapere tutto”. Io non so come si faccia a camminare solo sulle punte, per apparire umile. Ma tant’è: mia mamma ci prendeva. “Non ti fidare di chi ti dà la mano e non la stringe” mi diceva. “È un falso.”
D’altra parte, è vero che una persona è amara, lo si intuisce dalle rughe spioventi attorno alla bocca e una acida dal suo sguardo che sembra fulminarti, mentre una bonacciona la si capisce dal suo sorriso bonario.
Dai racconti dei vangeli si comprende bene quale fosse il carattere di Gesù. Era gentile, ma non sdolcinato. Era severo, ma non duro. Era estremamente occupato, ma mai scortese.
Si fermava a guarire i malati, toccava gli intoccabili e aveva una grande pazienza. Mostrava una profonda gentilezza verso le donne. Era religioso, ma non metteva in mostra la sua pietà. Era l’incarnazione dell’amore di suo Padre per gli uomini e del suo amore per il Padre.
La descrizione di questo amore perfetto prenderebbe molti libri. Se ne trova una incredibilmente concisa in una lettera di S. Paolo. L’hanno chiamata proprio “il ritratto di Gesù”. È nel capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi. Eccola.
“L’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia, l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non si inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia, ma gode della verità, soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.”
Così era Gesù. Ha visto un giovane ricco che, a quel che pare, aveva delle buone intenzioni di seguirlo, ma che poi non lo fece, ma Gesù non lo respinse a priori. Anzi, gli dimostrò amore nel modo in cui lo guardava. Ha visto una povera donna, impura per la legge ebraica, è si è fermato nella calca solo per guarirla e rassicurarla che la sua fede l’aveva salvata. Ha preso i bambini in braccio. Non ha avuto paura di parlare con chi viveva una vita di peccato palese e ha lodato il loro pentimento. Ha pianto sull’incredulità di Gerusalemme.
Come ho detto la volta scorsa, nella mia risposta a Gabriele, chi vedeva Gesù, vedeva Dio. Perché Lui era Dio. E farci conoscere il carattere di Dio era uno degli scopi della sua venuta.
Non tutti l’hanno capito e perciò si sono allontanati da Lui. Molti altri lo hanno seguito.
Spero che un esame particolare delle sfaccettature dell’amore di Gesù ci aiuterà a apprezzare di più il Salvatore e spingerci a riconoscerlo e a volerne fare il Signore della notra vita.
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Amore è... 2 — Troppo astratto
“Maria Teresa, quello che dici sull’amore di Dio suona bene. Ma è così astratto che non riesco a crederci. Non vedo amore attorno a me. Vedo piuttosto le donne stuprate del Darfur e i bambini che muoiono di stenti e sento un rifiuto, anche verso Dio”. Gabriele.Grazie, Gabriele, per il tuo commento, anche se molto triste. Anch’io consideravo i discorsi della Bibbia troppo astratti e filosofici, per considerarli pratici e applicabili alla vita sulla terra. Il dio che io immaginavo era lontano e impersonale. Avrei voluto conoscerlo. Ma come?
All’Università studiavo, fra altre materie, anche filosofia e tutte le idee dei filosofi mi interessavano, ma mi sembravano una partita di calcio. Prima il pallone stava nella metà del campo degli spiritualisti, poi passava in quello dei positivisti. Ma nessuno faceva mai goal.
Un versetto del Vangelo di Giovanni, mi ha dato la chiave per uscire dal mio dilemma. Mi è sembrato che Dio mi dicesse: “Vuoi sapere come sono? La risposta è nel Vangelo di Giovanni. Leggilo”. Nel capitolo 12:45 ho cominciato a vedere qualcosa.
Il versetto diceva: “Chi vede me, vede Colui che mi ha mandato”. Niente di più né di meno.
Erano parole di Gesù stesso. Nessuna teoria filosofica, nessun ragionamento a cavatappi. Era chiaro. Gesù mi diceva: “Guarda come sono e saprai come è Dio. Tale il padre tale il figlio. Io non faccio, non penso e non dico niente se non quello che farebbe, penserebbe e direbbe il Padre”. E ho cominciato a vedere la luce.
Nel post precedente ho detto che l’amore di Dio è eterno, incondizionato, dimostrato, giusto e coerente e deve essere accettato. Esattamente così è stato ed è l’amore di Gesù.
Gesù è eterno, è Dio e, prima di incarnarsi, era stato da sempre con Dio. Con Dio aveva creato il mondo e aveva deciso di creare l’uomo. Prima che qualsiasi cosa fosse creata, sapeva che l’uomo avrebbe disubbidito e sarebbe caduto nel peccato. Perciò il Padre , il Figlio e lo Spirito Santo da sempre concepirono il piano della redenzione. Questo piano comprendeva il sacrificio di Gesù. Era il piano concepito da un amore eterno.
Gesù ha amato anche con un amore incondizionato. Non c’è stata una persona che sia stata meno capita, più osteggiata e più calunniata di Lui. Ma Lui ha continuato a amare. E il suo amore lo ha portato alla croce. Per te e per me.
Sulla croce, fino all’ultimo, ha dimostrato questo amore. Ha perdonato chi lo aveva torturato e inchiodato. Ha pensato a affidare sua madre all’apostolo Giovanni. Chiunque avrebbe cercato di sfuggire a un supplizio simile e Lui avrebbe potuto annientare quelli che lo uccidevano. Ma ha detto: “Nessuno mi toglie la vita. Io la depongo volontariamente”. Ha voluto morire, perché non c’era altro modo per pagare il peccato dell’umanità.
D’altra parte, ha perdonato solo chi glielo ha chiesto. Il suo amore totale e infinito è anche coerente e giusto. Non può estenderlo a chi non si pente. Se ci fai caso, leggendo i Vangeli, ti renderai conto che proprio Gesù ha parlato più del giudizio e dell’inferno che di misericordia e di perdono.
Infine, è un amore offerto in dono. Offrire di pagarlo con buone opere, soldi e sacrifici è la più grande offesa che si possa fare a Dio e a Gesù. Vale la sua vita, perciò è impagabile. O ci si arrende a Lui, si crede a quello che la Bibbia dice e si fa come dice Lui, o si rimane nella condanna. Prendere o lasciare. Dopo tutto Dio è Dio e gli ordini li dà Lui.
Gabriele, io non ti posso convincere. Ti ho raccontato la mia esperienza. Spero che ti sia stata utile. La prossima volta, scriverò su un ritratto di Gesù. Ciao a te e tutti quelli che mi leggono. Siete tutti importanti.
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