Il testo che segue è tratto dall'opuscolo "Vado a Casa" scritto da Maria Teresa a marzo 2013. Se vuoi riceverne delle copie da distribuire, scrivici a: assverev(AT)tin.it
“Signor Standridge, porti subito sua moglie al Pronto Soccorso per una trasfusione. I livelli del suo sangue sono bassissimi. Abbiamo già informato il suo dottore.”
Avevo appena fatto dei prelievi di sangue in un centro medico e le cose sembravano davvero gravi. Non mi aspettavo niente di simile, anche se, da alcune settimane, mi sentivo piuttosto debole e con poca energia. Siamo andati subito al Pronto Soccorso di un grosso ospedale romano, vicino a casa nostra, e ben presto stavo sdraiata su un lettino, con un ago infilato nel braccio e una bella sacca di sangue, a cui ne sono seguite altre due, che trasferiva il suo liquido, goccia a goccia, nelle mie vene.
Da allora sono cominciate le novità e le sorprese, di un ricovero all’ospedale, altre analisi e prelievi anche di midollo che hanno portato a una diagnosi di leucemia mieloide acuta, a cui i dottori hanno aggiunto l’aggettivo poco promettente di “terminale”.
Così oggi, senza particolari dolori e, apparentemente, ancora in buona salute e con una buona misura di forza, mi trovo a pensare in modo molto pratico e realistico, alla mia “andata a casa col Signore” quando Lui vorrà. Forse molto presto.
Cosa ho provato davanti a una notizia di questo tipo?
Onestamente, sorpresa e quasi incredulità. Ma anche tanta tranquillità.
Già da qualche anno, quando ero invitata a fare degli studi biblici in qualche Convegno per donne, dicevo ridendo che, data la mia età di più di 85 anni (ora vado verso gli 89), le organizzatrici avrebbero fatto bene a procurarsi anche una “ruota di scorta” in caso io avessi dovuto declinare l’invito. Ma, onestamente, data la mia salute che credevo di ferro, lo dicevo scherzando come se in realtà fossi immortale.
Oggi gli scherzi sono finiti e la realtà è diversa. È una realtà fatta di una certa tristezza (sarei bugiarda se dicessi il contrario), ma anche di grande tranquillità.
Tristezza perché la leucemia è una realtà che parla di distacco da Bill, l’unico amore della mia vita, con cui ho passato più di 56 anni di vita, ho avuto la gioia di servire il Signore, in una specie di simbiosi spirituale e anche intellettuale, ho condiviso la passione per la Parola di Dio, l’impegno nell’allevare quattro figli, e la responsabilità di aiutare molti a conoscere e crescere nella fede biblica.
So che dopo la mia partenza Bill si sentirà un po’ come “mutilato”, ma so che il suo amore per il Signore, la sua Parola e gli Italiani lo sosterranno e aiuteranno a servire finché ne avrà la forza.
Naturalmente non mi piace neppure l’idea di lasciare i figli e anche delle nuore e un genero che mi vogliono bene e dodici nipoti (uno sposato) e due pronipotini, uno più caro dell’altro. Ma il momento del distacco verrà. Però la mia gioia è che tutti affermano di amare il Signore e perciò sono nelle sue mani.
Ma parliamo adesso delle ragioni della mia serenità.
Ho accolto Gesù nella mia vita come Salvatore e Signore quando avevo 20 anni. Da allora la grazia di Dio mi ha circondata e il favore immeritato del Signore mi ha avvolta e protetta.
So di essere salvata e la mia fede si basa sulle promesse della Parola di Dio. Una che mi consola in modo particolare è nella lettera dell’Apostolo Paolo a Tito: “Dio ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha sparso su noi abbondantemente per mezzo di Cristo Gesù nostro Salvatore, affinché giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna” (3:5-7). Più di così, che cosa si può desiderare o sperare?
Poi ho avuto l’onore di ricevere dal Signore una chiara chiamata a servirlo a pieno tempo, ho frequentato la scuola biblica, ho avuto degli insegnanti di grande valore, ho vissuto lo straordinario tempo di fervore evangelistico e spirituale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e ho partecipato all’inizio del nuovo periodo di libertà politica in Italia che ha permesso di iniziare campi per giovani, scuole estive, convegni e ogni sorta di attività che il Signore ha benedetto. In ogni nuovo progetto evangelistico mi buttavo a capofitto.
I miei studi universitari mi hanno preparata per avere anche un ministero di scrittura che mi ha portata a mettere a disposizione del Signore le capacità che Lui mi aveva date.
Attraverso gli anni ho imparato a nutrirmi della Parola di Dio e ho capito l’importanza di approfondirne la conoscenza e di affondare le radici della mia fede nell’ubbidienza a quello che essa dice. Senza una buona riserva di questo tipo di conoscenza, la vita cristiana può diventare molto difficile e essere molto piatta.
Confesso anche che ho fatto molti sbagli di cui ho dovuto chiedere perdono al Signore, ai miei cari, a fratelli e sorelle e ho capito che il perdono è la chiave della vita cristiana. Specialmente è essenziale nella famiglia umana e in quella di Dio.
Chi non perdona ha capito poco dell’amore di Dio. Ma chi pratica la confessione dei propri peccati di credente, sa che il sangue di Cristo lo purifica e gli permette di camminare poi nella luce (1 Giovanni 1:8-10).
Dopo tanti anni di cammino col Signore ho capito che “in me, nella mia carne, in Maria Teresa, non abita alcun bene” (Romani 7:18), ma quello che ho fatto di buono è Lui che l’ha fatto per me e in me (Isaia 26:12).
Durante un convegno a Isola del Gran Sasso, Daniele, uno dei nostri figli, in una meditazione ha sottolineato il fatto che Gesù dopo la resurrezione portava nel suo corpo i segni del suo martirio per noi. I discepoli hanno visto quelle cicatrici e con quel suo corpo risuscitato Gesù è salito in cielo.
Nella visione dell’Apocalisse, Giovanni, più tardi, lo ha visto come un “agnello, in piedi, che pareva essere stato immolato” (5:6) e io, con miriadi di credenti (e spero anche te) contemplerò per tutta l’eternità i segni del prezzo pagato da Gesù per la mia redenzione e mi spingerà a adorarlo nella perfezione.
È un pensiero meraviglioso che mi umilia, ma anche mi riempie di grande riconoscenza.
Con affetto, Maria Teresa
Roma, marzo 2013
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