Pensare al cielo… è difficile!

Un giovane mi ha scritto. “So che sei malata e mi domando come fai a essere così tranquilla, al pensiero che presto lascerai questa terra. Io ho un problema: non riesco a bramare il momento che incontrerò Gesù; mi riesce difficile pensare a un’eternità nella quale lo adoreremo continuamente. Non credo che ciò sia dovuto a una mancanza di fede o amore per il Signore, né che sia un problema che ho solo io”. Bruno

Hai fatto bene a parlarmi del tuo problema. Penso che il tuo sentimento sia una normale reazione emotiva all’idea astratta dell’eternità.

Non è affatto strano che tu abbia questi sentimenti. Sei normale, sei giovane, hai probabilmente molti anni di vita davanti a te. Perciò è naturale che tu pensi a viverli pienamente e gioiosamente, tanto più che hai fede nel Signore e sei consapevole del suo aiuto e della sua presenza costante. Certamente hai progetti e piani ed è più che normale che tu abbia voglia di vederli realizzati.

D’altra parte, più amiamo e più conosciamo una persona e più desideriamo passare del tempo insieme. Sono sposata da 56 anni con mio marito e, onestamente, lo amo e lo apprezzo più di quando ci siamo sposati. Allora eravamo innamorati e pieni di passione, ma l’amore profondo si sviluppa nel tempo, perché è fatto di comunione di idee, di proponimenti e desideri comuni. Non si sviluppa in poco tempo, ma è qualcosa che si matura con gli anni.

La stessa cosa succede nella nostra “storia di amore col Signore”. Dopo la conversione ci sono entusiasmo, scoperta, passione. È un periodo magnifico. Ma una relazione profonda con Lui si sviluppa nel tempo, leggendo e approfondendo la conoscenza della sua Parola, pregando, meditando sulle sue promesse e imparando a conoscere sempre più la sua grazia, il suo amore, la sua misericordia e la sua disciplina. Più lo si conosce e più si vuole stare con Lui. E più si pensa quanto sarà bello abitare nella casa che Lui ci prepara.

In secondo luogo, sono le prove, le difficoltà, le malattie e le debolezze della vecchiaia che spingono di più i credenti a pensare e desiderare il ritorno del Signore, per stare eternamente con Lui.

Un giovane che sta bene, a certe cose pensa meno. Se, come scrivi, la tua intenzione è di seguire e servire il Signore e approfondire la tua relazione con Lui, Egli stesso ti guiderà sempre più e si farà sempre più conoscere da te. Perciò non ti preoccupare; vivi per Lui e con Lui pienamente ogni giorno della tua vita. Fai piani come se tu dovessi vivere fino a cent’anni, ma vivi ogni giorno come se fosse il tuo ultimo. È una formula a prova di bomba.

E sai che cosa mi rallegra tanto, ora che sono vecchia, vicina al “trasloco” nella casa celeste, dopo avere pienamente goduto la mia vita sulla terra servendo il Signore?

Sono i versetti in Apocalisse 22:3-5: “Nella città ci sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte. Non ci sarà più notte; non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce del sole, perché il Signore Iddio li illuminerà e regneranno nei secoli del secoli”.

Che prospettiva meravigliosa! Serviremo ancora e non ci stancheremo!
.

Festa grande in cielo!



“Tu non mi puoi obbligare a fare quello che vuoi. Voglio toccare il fondo e fare a modo mio”. Così si è espresso il figlio di un nostro amico. Era un ragazzo cresciuto in una chiesa evangelica. Spero che abbia messo la testa a posto.

Mi auguro che nessuno di voi abbia un figlio ribelle. A mio marito e a me non è successo niente di simile e ne siamo infinitamente riconoscenti al Signore. Penso che io sarei andata ai matti dal dispiacere.

Su una vecchia VOCE del VANGELO, di 25 anni fa, ho trovato questi consigli basati sulla parabola del figlio prodigo, con particolare attenzione alla figura del padre, che simboleggia Dio. Spero che non vi debbano mai servire, però…

Rileggete, tanto per cominciare, la parabola nel capitolo 15 del Vangelo di Luca.

  1. Il padre non ha diseredato il figlio ribelle che gli chiedeva la sua parte di beni. Non lo ha minacciato. Non c’è segno di odio o di desiderio di vendetta nel suo atteggiamento. Non ha trattenuto il figlio. Ha semplicemente acconsentito alla sua richiesta e ha continuato a amarlo.
  2. Il padre non si è lasciato sopraffare dalla disperazione. Alcuni genitori cadono a pezzi (come penso sarebbe successo a me) se un figlio si ribella. Il padre della parabola non ha permesso che la condotta del figlio lo annientasse. Ha continuato a vivere e a amare.
  3. Il padre non ha inseguito il figlio. Spesso l’insistenza nel richiedere l’ubbidienza e le troppe esortazioni allontanano più che mai i figli dalla famiglia. Il padre descritto da Gesù ha lasciato il figlio libero. Alcuni rispettabilissimi servitori di Dio hanno fatto lo stesso con dei loro figli ribelli. Ci vuole molto coraggio a farlo, ne sono sicura, e in alcuni casi ha funzionato.
  4. Il padre non ha negato al figlio i suoi diritti, gli ha dato la sua parte di eredità. Non lo ha trattenuto con un ricatto, nonostante la mancanza di rispetto del figlio, che lo stava trattando come se fosse già morto. Fece come gli era chiesto.
  5. Il padre non smise mai di sperare. Continuò a aspettare il figlio ribelle, a tenere le braccia aperte, perdonandolo in cuor suo. Credeva, evidentemente, nel suo ravvedimento.
  6. Il padre non rinfacciò al figlio il male che aveva fatto. Il suo perdono fu incondizionato e totale. Il suo abbraccio pieno di amore, ha parlato più di mille discorsi.
  7. Il padre fece una grande festa quando il figlio tornò pentito e desideroso del suo perdono. La festa fu grande e completa. Non ci furono rimproveri e quelle terribili frasi che cominciano con : “Te lo avevo detto!” oppure “Se mi avessi dato retta!”.

Il padre della parabola è un simbolo del Padre celeste e al suo modo di trattare chi appartiene alla sua famiglia, ma non è ubbidiente e sottomesso a Lui.

Quando il figlio si è ribellato non lo ha costretto all’ubbidienza, ma ha permesso che facesse le sue esperienze negative, dolorose, umilianti e comprendesse, per mezzo di esse, quanto stolta fosse la sua condotta.

Siamo sempre responsabili delle nostre scelte. Il Padre celeste continua a amarci, ma lascia che sperimentiamo i risultati delle nostre scelte sbagliate. Continua a amare e, quando rientriamo in noi stessi, magari pieni di piaghe e di lividi, e capiamo che abbiamo peccato e lo confessiamo, chiedendo perdono, ci perdona. Allora le sue braccia, che erano sempre state tese verso di noi, si aprono e ci stringono incondizionatamente. Bello, no? (Leggi 1 Giovanni 1:8,9).

La gioia in cielo è grande quando un peccatore si ravvede, ha detto Gesù. 
.

Il dilemma di tanti: figli in chiesa o no?

Ho ricevuto una bella lettera da Anna, una sorella in fede, che chiede il mio parere se i bambini dovrebbero essere abituati a stare buoni e calmi al Culto della domenica mattina e alle riunioni di preghiera o se sarebbe meglio che qualcuno li tenesse occupati in un altro locale.

Anna è propensa alla prima possibilità (ha due bambini di 3 e 5 anni) mentre altre sorelle tendono a sostenere la seconda opzione per paura che i bambini si annoino e respingano in blocco la chiesa e le riunioni quando saranno più grandi.

Dal tono della lettera, mi pare di intuire che la cosa stia creando qualche dissenso o malumore fra i credenti.

Per prima cosa, premetto che una chiesa, numerosa o no, dovrebbe essere guidata, istruita e corretta da uomini scelti da Dio e approvati dalla chiesa, che la Bibbia chiama “anziani” o “vescovi”. Se c’è un pastore, dovrebbe farsi coadiuvare da uomini spirituali e maturi. Chi ha altri compiti, come la scuola domenicale, la riunione dei giovani o delle sorelle, deve seguire le loro direttive.

Nel caso specifico, di cui Anna parla, le guide dovrebbero decidere che cosa sia meglio nella loro situazione specifica, riguardo alla presenza di bambini durante le riunioni. E i genitori di bambini piccoli dovrebbero accettare la loro guida.

Personalmente, quando i nostri figli erano piccoli (ne avevamo quattro) e frequentavamo un’Assemblea dei Fratelli, abbiamo sempre portato ai culti e alle riunioni settimanali i nostri bambini da quando erano in culla. Via via che crescevano, sedevano con me e mio marito (due per ognuno!) e avevano imparato che la sala di culto era un luogo strano in cui si stava calmi e silenziosi.

Portavamo libretti speciali, riservati alla domenica, da sfogliare e colorare, e giochi silenziosi con cui tenersi occupati. Non disturbavano e così si abituavano a frequentare la chiesa (solo una volta mio marito ha dovuto uscire e disciplinare uno dei gemelli che non si comportava secondo le regole). Piano piano, via via che crescevano, li abbiamo abituati a ascoltare, a ricordare i canti e, a casa, cercavamo di ripetere quello che era stato detto e fatto. Naturalmente, senza fare commenti negativi sulla lunghezza della predica o su preghiere troppo estese.

Sono convinta che i bambini imparano a amare la “chiesa” e a stare buoni, se, quando sono a casa, i genitori li hanno abituati a ubbidire, a stare calmi quando necessario e a non fare capricci.

È essenziale, poi, che i genitori mostrino entusiasmo all’idea di frequentare le riunioni e insegnino ai loro piccoli a amare e rispettare la Bibbia. E inculchino il concetto che la chiesa è un posto importante, dove Dio ha promesso di essere presente.

Il lavoro si fa a casa in famiglia. Non si può sperare che si faccia durante un’ora di culto o scuola domenicale. Se la Bibbia, il canto di inni e la preghiera vengono trascurati in famiglia non è possibile che i figli li godano per un’ora la domenica o durante la settimana.

Ancora un avvertimento per Anna specialmente. Esprimere opinioni non serve a molto e si rischia di creare frizioni che, in ogni modo, nelle chiese spesso non mancano. Il modo in cui tu e tuo marito vi comportate, in chiesa e nella vita privata, sarà più efficace di qualsiasi predica, discussione o pio suggerimento. E, scusa se lo dico così francamente, i vostri figli sono la vostra unica responsabilità. Quelli degli altri, sono responsabilità di chi li ha messi al mondo. Curate bene i vostri e fate del vostro meglio.

P.S. Mio marito sta scrivendo un breve libro proprio su questo soggetto!
.

HABEMUS PAPAM

Ieri sera ho visto in TV la presentazione del nuovo Papa. Sembra un tipo alla mano.

Mi ha fatto effetto la folla che gridava “Francesco” come allo stadio e mi sono ricordata di altre folle che gridavano “Duce!” quando ero ragazza. Niente è più contagioso del clamore della folla.

Molti sperano che ci saranno dei cambiamenti, ma che cambiamenti ci potranno essere da uno che ha già recitato l’Ave Maria la prima volta che si è affacciato alla finestra vestito da Papa e che domani andrà a pregare la Madonna? Sarà sempre la stessa solfa!

Qualcuno ha detto che nella chiesa ci vorrebbe una riforma, e probabilmente intendeva più moralità, meno ricchezze e meno politica. Parole sante!

Ma cosa sarebbe una vera riforma? Buttare alle ortiche il complesso di regole, sacramenti e tradizioni ammucchiate attraverso i secoli e accogliere i tre punti di Lutero: sola Scrittura, sola grazia, sola fede. Quella, sì, era una vera riforma. Ma la chiesa di Roma ha perso il treno. Oramai, per riforma si intende fare finta di cambiare qualcosa per non dovere cambiare mai niente.

In ogni modo, staremo a vedere!

Non usare questa parola!

Ultimamente ho avuto molto a che fare con medici, infermieri e trasfusioni. Ho una malattia seria e, scherzando, dico che sono, però, la malata più fortunata del mondo. Non ho dolori, ho forza sufficiente, mangio con appetito, dormo bene e faccio vita normale. Devo solo fare controlli al day hospital e questo mi dà molti contatti con il personale medico e infermieri.

La diagnosi, avuta dal dottore dopo vari test, conteneva la parola “terminale”, che in un primo momento, mi ha sorpresa e mi è sembrata un po’ cruda. Tutti abbiamo la tendenza a crederci immortali, sebbene, alla mia età, sia logico almeno ogni tanto pensare alla morte realisticamente.

Però, quando io uso la parola “terminale”, ci potete contare che qualcuno mi racconta subito che ha un nonno “terminale” che ancora campa a più di 90 anni, una zia “terminale” che sta facendo una crociera, e un’amica che avrebbe dovuto “terminare” quindici anni fa e ancora campa. Quando finisce la lista dei parenti e degli amici, compare il fantasma della grande Rita Levi Montalcini, “terminata” oltre i 100 anni!

Chi non ha fede, ha ragione di irrigidirsi davanti alla parola “terminale”. Per lui la morte è, e deve essere, “il re degli spaventi” come la chiamava Giobbe. Molti chiamano la morte un “salto nel buio”, ma noi sappiamo purtroppo che, per chi non crede in Cristo come Salvatore e Signore, sarà un terribile ingresso nelle pene eterne, dove Gesù ha detto che ci saranno pianto e disperazione per sempre. E noi non dovremmo essere reticenti nel parlarne.

Invece, per chi crede in Cristo e ha messo radici profonde nelle promesse della grazia di Dio, la parola “terminale” ha un significato diverso. Umanamente, dato che è un’esperienza assolutamente sconosciuta e l’istinto di preservazione è forte in tutti, produce un certo timore. Ma non fa paura, se si elabora, digerisce e ridimensiona alla luce della Parola di Dio. Allora diventa l’aspettativa di cui l’Apostolo Paolo ha parlato dicendo: “Per me vivere è Cristo e il morire guadagno”.

In più, diventa un’occasione straordinaria, impagabile e perfetta, per parlare della propria fede biblica, delle certezze che Cristo dona, del dono gratuito della vita eterna a chi ci sta vicino. È un’occasione a cui, quando la si sperimenta, non si vorrebbe rinunciare, per nessun motivo.

“Ero venuto per confortarvi e incoraggiarvi” ha detto un infermiere che doveva misurarmi la pressione “e sono io che sono stato incoraggiato!”.

E sapere di non avere molto tempo da vivere, spinge a fare progetti immediati e ragionevoli, facendoli precedere dalla frase “se piace al Signore”, come insegna Giacomo. Con questo pensiero, per occupare bene il mio tempo, ho cominciato a scrivere un nuovo libro. Vedremo se riuscirò a completarlo! Se no, vuol dire che non era necessario!
.

Quando l’impossibile diventa possibile

Il Cristianesimo biblico è amore e fede in azione. Molto diverso da quello che spesso si pensa. 

Quando si parla di relazioni umane, per esempio, spesso si dice: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te” e ci sentiamo già molto magnanimi, quando ci riusciamo. Ma Gesù ha detto di più. Ha ordinato di “fare agli altri quello che si vuole sia fatto a noi”. Ne abbiamo già parlato varie volte , ma vale la pena ritornarci su, perché è uno dei comandi del Signore che va più contro la nostra natura. 

Va contro la nostra pigrizia. Devo fare una visita, devo mandare un messaggio, devo scrivere una lettera, devo… Lo so che dovrei farlo, ma oggi sono stanca, ho male di testa. Mi merito un pisolino. 

Va contro il nostro egoismo. Perché devo essere sempre io a darmi una mossa? Faccio abbastanza cose per gli altri. Che si muova qualcun altro! Va contro il nostro orgoglio. Con una certa persona ho pazientato per molto tempo. Ora basta. Ma chi crede di essere? La più bella del reame? Se non la cerco, forse le passeranno le arie di importanza che si dà! 

Va contro la nostra voglia di vendetta. Perché toccherebbe a me chiedere scusa? Ha cominciato lei (o lui) a mettere in giro certe maldicenze! Si meriterebbe ben altro! 

Abbiamo tutti pensato così. Se dite di no, o avete perso la memoria o mi dite una bugia. O, peggio ancora, cercate di mettere a tacere la vostra coscienza, sperando che quella piccola voce tranquilla vi dia pace. Ma non vi dà pace, perché rincara la dose e continua a ricordarvi le parole di Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene” (Romani 12:21). Uffa! 

Mi dite che la Bibbia chiede l’impossibile? È vero. Chiede l’impossibile, ma dice anche che “tutto è possibile a Dio” e che, col suo aiuto “io posso ogni cosa in Cristo”

Ecco come. La ricetta è nel vangelo di Luca, cap. 6 e versetto 27: “Amate i vostri nemici”

Dio non ci chiede di essere emotivamente coinvolti con i nostri sentimenti nei confronti dei nemici. I sentimenti vanno su e giù e non c’è da fidarsene. Non ci dice di amare con l’amore “fileo” dell’amicizia, ma con l’amore “agape” dell’azione. Di amare facendo una cosa gentile e buona, verso chi non ti si fila o ti fa addirittura del male. 

“Fate del bene a quelli che vi odiano.” Aiuta chi non è gentile o addirittura chi vuole il tuo male. 

“Pregate per quelli che vi oltraggiano.” Non chiedendo punizioni o rivalse, ma sperando che chi ci fa del male si rivolga a Dio, si penta e capisca il male che fa. Gesù lo ha fatto sulla croce. 

“A chi ti percuote su una guancia, porgi anche l’altra.” In altre parole non reagire male e non ti ribellare. Servirebbe solo a renderti amaro. Ci penserà Dio a farti giustizia.

“Da’ a chi ti chiede e a chi ti toglie il tuo non glielo ridomandare.” Vorrebbe dire anche che dovresti pagare le tasse senza ribellarti? Che non dovresti ribellarti alle leggi? Probabilmente, sì! 

Insomma, l’ho detto, Dio ci chiede l’impossibile. Ma se vive in noi, l’mpossibile diventerà possibile. “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male col bene” (Romani 12:21). 

Ciao, e alla prossima. 
.

Pan per focaccia? Mai!

Andiamo avanti ancora per una settimana con gli insegnamenti dell’Apostolo Paolo ai credenti di Roma. Poi, cambieremo argomento.

Oggi l’esortazione è a “non rendere male per male” e a non fare le nostre vendette (Romani 12:17,19).

La tendenza a vendicarsi è in ognuno di noi. È spontanea. Viene dal nostro cuore malvagio.

Gesù l’ha detto chiaramente: “Dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (Matteo 15:19).

Si comincia col “poco” (pensieri malvagi) e si può finire con le azioni più perfide.

Qualche esempio? “Mio marito mi ha fatto questo e io rifiuto di fare sesso. Mia cognata mi ha detto quest’altro e io non la vado a trovare, finché non viene a chiedermi scusa. La vicina non mi saluta e io sbatto il tappeto sul suo bucato steso.” Andate avanti voi e non vi sarà difficile trovare degli esempi (spero non troppo personali).

Che brutti proponimenti! Un gesto di rabbia, una parola tagliente, uno sguardo bruciante scavano solchi che possono diventare incolmabili. E che, inevitabilmente, si allargano sempre più, portando frizioni e liti nelle famiglie, nelle chiese, nei condomini. Ovunque.

Il male è che ai “pensieri malvagi” si dà poca importanza, perché sembrano innocui. Invece, non lo sono: devono essere affrontati senza pietà e senza scusanti, confessandoli come peccati che ci separano da Dio. Se, invece, li coccoliamo esploderanno.

Ammetterli non basta. Bisogna parlarne col Signore, chiamandoli per quello che sono, e sostituendoli con il proponimento di fare qualcosa di gentile verso chi ci ha offesi. Tipo: mostrando affetto verso il marito scorbutico e la sera, con un bel pigiama profumato … (mi spiego?), portando alla cognata un vasetto di marmellata appena fatta, e mettendo una pianta di ciclamini davanti alla porta della vicina poco attenta. Forse non funzionerà alla prima, ma poi qualcosa di buono succederà.

Vendicarsi è da stupidi, perché si accende una miccia che non si spegnerà.

Ascoltiamo Salomone nel Libro dei Proverbi:
“La risposta dolce calma il furore”, 
“Chi è pronto all’ira commette follie”, 
“Chi è lento all’ira ha molto buon senso”, 
“Il senno rende l’uomo lento all’ira ed egli considera un suo onore passar sopra le offese”.
Più di così…

Adesso, se necessario, provateci. Se siete in pace con tutti, beati voi e continuate così.
.