Chi si loda si imbroda!

Le parole di Paolo oggi dicono: “Non vi stimate saggi da voi stessi” (Romani 12:16) e trovano una bella eco nel Libro dei Proverbi: “Altri ti lodino, non la tua bocca; un estraneo, non le tue labbra!” (27:2).

Gli Istituti specializzati fanno statistiche sulle cose più inutili e cretine. Però, mi pare di non aver mai sentito una statistica su quante volte nella giornata noi pronunciamo la paroletta “io”. Forse perché non basterebbero i computer per registrale? “Io ho detto… fatto… pensato… risposto… comprato… venduto… trovato… capito… io, io,io, io, io…”

Vi è capitato di dire che le seppie (o il fegato) non vi piacciono? Immancabilmente una signora vi dirà: “Ma se tu lo assaggiassi come lo preparo IO, ti piacerebbe certamente!”. Uffa! Se il fegato non mi piace, anche se lo preparasse il cuoco del re non mi piacerebbe!

Oppure hai fatto un viaggio e dici che sei stato in un posto incantevole? Ci sarà qualcuno che dice che c’è già stato e aggiungerà: ”IO non ci ho trovato niente di speciale”.

Volere o volare, il nostro IO viene sempre a galla.

La Bibbia, che non lascia nessun particolare in ombra, dice che dobbiamo avere di noi un concetto equilibrato, cioè non ci dobbiamo né sopravvalutare né sottovalutare, il che non succede in modo naturale. Solo il Signore ci può aiutare. Come?

  • In primo luogo, ci aiuterà a capire e accettare che se in noi ci sono delle buone qualità, delle capacità, dei doni, non ce li siamo né meritati né conquistati, ma ci sono stati dati da Lui. Questa consapevolezza dovrebbe ridimensionarci e spingere a usare ogni nostra capacità con riconoscenza e per Lui. 

  • In secondo luogo, il Signore ci aiuterà a affinare e perfezionare il dono o le capacità che ci ha date. Questo significherà approfondire quello che impariamo, migliorare le nostre capacità, progredire sempre, studiando, leggendo, informandoci. 

Per esempio, ho riletto certi articoli che ho scritto da giovane e certe traduzioni che ho fatte e me ne sono un po’ vergognata. Ho fatto quello che potevo allora, ma sarebbe un bel guaio se non avessi cercato di migliorare!

Così è per gli studi, il governo della casa, il lavoro o la professione che esercitiamo. Guai se non miglioriamo e ci accontentiamo della mediocrità. Perfetti diventeremo solo in cielo, ma progredire sulla terra è un dovere.

  • Infine, il Signore ci darà la grazia di dare a Lui la gloria per il poco di bene che abbiamo fatto. Se lo faremo, sentiremo da Lui le parole: “Sei stato fedele in poca cosa, entra nella gioia del tuo Signore!” (Matteo 25:21). Che meraviglia! 

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Le cose umili: attrazione poco fatale

Un mio amico si doveva sposare e alcuni amici lo volevano aiutare per la preparazione della sala dove di sarebbe svolta la cerimonia. A quei tempi a nessuno sarebbe venuto in mente di sposarsi in un edificio che non fosse la Sala di Culto e anche chi stava bene finanziariamente faceva le cose con semplicità.

Un amico suggerì di mettere un tappeto sotto le sedie su cui si sarebbero seduti gli sposi.

Il futuro sposo, che era un tipo che desiderava in tutti i modi applicare la Parola di Dio alla sua vita, obbiettò: “Ma fose è troppo lusso… Dopo tutto la Bibbia dice di accomodarsi alle cose basse…” (allora si usava ancora la Diodati!).

“Ma vai! Più basso di un tappeto cosa c’è?!” osservò uno dei presenti e il tappeto fu approvato fra le risate generali.

Diodati a no, tappeto o no, l’esortazione dell’Apostolo Paolo per noi oggi è proprio: “Non aspirate alle cose alte, ma lasciatevi attirare dalle umili” (Romani 12:15).

La nostra tendenza normale è sempre quella di voler sembrare qualcosa di più di quello che siamo e di credere di valere un po’ di più di quello che in realtà valiamo. Cerchiamo di fare amicizia con persone di un ceto più alto del nostro, ci piacciono i titoli di studio e li usiamo, se poi possiamo dire che un nostro cugino è direttore di qualcosa di importante, ci andiano a nozze. Non parliamo poi se in famiglia c’è qualche goccia di sangue blù!

Insomma, in ognuno di noi c’è un po’ di Totò che sparava: ”Lei non sa con chi parla!”, mentre in realtà era un poveraccio.

Se non ci vantiamo, riusciamo almeno a vantarci della la nostra umiltà.

Se siamo insegnanti della Bibbia, intercaliamo le nostre spiegazioni con frasi come “nella mia pochezza”, “correggetemi se sbaglio” o, peggio ancora!, “il Signore mi perdoni, ma…”. Naturalmente non accettiamo correzioni, perché pensiamo di saperne sempre un po’ più di altri.

Il Signore riguardo all’umiltà, quella vera, ha detto e fatto cose molto serie. Ha cominciato Lui col dare un esempio incredibilmente sublime, decidendo di annullarsi, di rinunciare alla gloria e allo splendore del cielo per incarnarsi e scendere sulla terra e vivere per più di trent’anni fra gli uomini peccatori in un mondo pieno di peccato. Immaginate solo cosa deve essere stato non poter disporre sempre di acqua corrente!

Quando ha cominciato a predicare, ha enunciato il suo programma: non era venuto per essere servito, ma per servire. E lo ha fatto.

Non ha cercato onori e ha scelto la compagnia degli umili e di chi era disprezzato. Ha vissuto costantemente camminando contro corrente. Disprezzato spesso e criticato da molti.

Come è riuscito a perseverare per tanti anni? Il suo segreto era uno solo: faceva solo quello che il Padre gli aveva ordinato e il suo cuore era umile e mansueto.

“Era il Figlio di Dio, senza peccato. Fare la volontà di Dio era inerente alla sua natura!” dite.

Tutto vero, ma era anche sottoposto alle debolezze dell’umanità e ha provato ogni tipo di tentazione e ha vinto.

Non aveva nessun bisogno di sottoporsi a tante umiliazioni. Ma lo ha fatto per noi, perché aveva compassione della nostra fragilità e voleva salvarci. Se ci apriamo a Lui, ci può venire in aiuto e tenere il nostro orgoglio sotto controllo. Basta che siamo abbastanza umili da chiederglielo.

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Andare d’accordo si può (se si vuole)

Continuiamo a esaminare la lista di raccomandazioni di Paolo. Oggi ci dice: “Abbiate tra voi uno stesso sentimento” (Romani 12:16). In altre parole, “vivete in pace”.

Dalle lettere che scrivevano gli apostoli alle chiese si capisce che in molte, se non in tutte, c’era maretta.

A Roma c’erano alcuni dissensi, a Corinto il disordine la faceva da padrone, in Galazia si litigava fra giudaizzanti e non, a Filippi due donne, impegnate nella chiesa, litigavano. Nelle chiese che curava Giacomo si facevano differenze di classe e in quelle curate da Pietro si infiltravano dei falsi insegnanti. Gli apostoli esortavano a vivere in pace, a amarsi, a sopportarsi.

Oggi i credenti vivono sempre in armonia e la pace regna nelle chiese? No. Si litiga su cose da niente, ci si impunta su particolari di poco valore, sul versetto da esporre dietro al pulpito e sulla forma e la conduzione del Culto. Si criticano gli anziani e si obbietta sul modo in cui le offerte vengono impiegate.

Perché? L’Apostolo Paolo lo ha detto molto chiaramente ai credenti di Corinto chiamandoli “carnali”, cioè persone che volevano prevalere sugli altri e imporre a tutti i costi le loro idee. Gente che non si comportava secondo la Parola di Dio, fissandosi non su questioni di dottrina, ma su abitudini e tradizioni.

Purtroppo, litigare è più facile che andare d’accordo. Siamo più pronti a ascoltare il nostro orgoglio e la nostra ostinazione (magari rivestendola di parole pie), che a fare appello al buon senso e all’importanza di vivere in pace.

Giacomo, il fratello di Gesù, ha usato parole fortissime a questo proposito: “Se avete nel vostro cuore amara gelosia e spirito di contesa, non vi vantate e non mentite contro la verità. Questa non è la saggezza che scende dall’alto; ma è terrena, naturale, diabolica. Infatti dove c’è invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione” (1:14-16). Quanto è facile sentirsi offesi, turbati, incapaci di ammettere almeno una parte del torto, senza tenere conto del punto di vista dell’altro!

Giacomo continua: “La saggezza che viene dall’alto anzitutto è pura (onesta, limpida), poi pacifica (cerca la pace), mite (non si scalda), conciliante (cerca un accordo), piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale (non partigiana), senza ipocrisia (sincera). Il frutto della giustizia si semina nella pace per coloro che si adoperano alla pace” (v. 17). Cerchiamo di ascoltarlo!

Per concludere, come si può trovare l’accordo o per lo meno cercare di raggiungerlo, nella pratica?
  • Si impara a ascoltare l’altro senza preconcetti e senza interromperlo. 
  • Si espone gentilmente il proprio punto di vista. 
  • Si pesano le due posizioni. 
  • Si cerca, se c’è, un punto di intesa e un accordo. 
  • Si chiede perdono, se si è causato il malinteso o se si è agito poco saviamente. 
  • Si concede il perdono. 
  • Si chiede, eventualmente, anche l’opinione di qualcuno che sia spirituale, maturo, capace di vedere i vari punti di vista e non sia partigiano. 
  • A volte, purtroppo si dovrà decidere che non si va d’accordo, ma che non si continuerà a tornare sull’argomento e non se ne farà un motivo di contesa. 

Difficile? Sì. Impossibile? No.
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Dio chiede l’impossibile?

Da certi comandi scritti nella Bibbia si direbbe di sì. Per esempio: “Siate santi, perché io sono santo” (1 Pietro 1:16). “Siate imitatori di Dio, come figli amati, camminate nell’amore come Cristo…” (Efesini 5:1,2). 

“Santi… imitatori di Dio… camminate come Cristo...” Scherziamo? Come è possibile? 

Prima di voltare pagina, aspettate! 

Se fossero comandi dati a creature umane, fragili e peccatrici, sarebbero davvero comandi assurdi. Ma dato che sono comandi dati a credenti, rigenerati dallo Spirito Santo, la cosa, in certo modo, si ridimensiona e diventa comprensibile. 

I livelli che Dio mette davanti a suoi figli sono altissimi, ma Lui ci spiega anche come capirli e come affrontarli. 

Egli ci dice che, in quanto credenti in Cristo e salvati per la sua grazia, abbiamo spiritualmente tutto in Lui. Oggi siamo già salvati, redenti, addirittura seduti nei luoghi celesti. Questa è la nostra posizione di figli di Dio! È quella che godremo completamente e perfettamente un giorno, quando saremo con Lui in cielo. 

Mentre siamo ancora su questa terra e viviamo la nostra vita di credenti in un corpo fallibile, Egli ci spiega gentilmente che siamo in cammino verso la perfezione. Viviamo quella che la Bibbia chiama la via della santificazione (tre passi avanti e due indietro, come ha detto un predicatore!) e il Signore promette di fare la strada con noi, accompagnandoci in ogni passo. Fino alla fine. 

Perciò quello che sembra un obiettivo impossibile, per mezzo di Lui, diventa realizzabile e possibile anche oggi. 

Diventa possibile perfino la cosa “impossibile” che la Parola di Dio ci propone oggi, nella serie di raccomandazioni dell’Apostolo Paolo ai credenti di Roma: “Benedite quelli che vi perseguitano. Benedite e non maledite” (Romani 12:14). Che comando! 

Paolo ha scritto queste parole ai credenti del suo tempo, mentre infuriava la persecuzione contro i cristiani, ai quali ogni giorno era regalato e per i quali ogni momento era pericoloso. Come poteva Dio chiedere che i suoi figli benedicessero i loro persecutori? 

In realtà, non chiedeva una cosa nuova. Gesù l’aveva già ordinato al principio del suo ministero terreno: “Voi avete udito che fu detto: «Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico». Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Matteo 5:44). E, alla fine del suo ministero, sulla croce, Lui stesso l’aveva praticato e dimostrato chiedendo a suo Padre di perdonare coloro che lo uccidevano (Luca 23:34). 

 Dopo di Lui, i suoi discepoli avevano continuato a praticare il perdono. A cominciare da Stefano, il primo martire (Atti degli Apostoli 7:60), per finire a Paolo (2 Timoteo 4:16). Due meravigliosi esempi! 

Noi dobbiamo fare lo stesso. Non dobbiamo arrabbiarci con chi ci fa dei torti, ma dobbiamo piuttosto pregare per loro e “benedirli” col nostro perdono. Il perdono è ordinato da Dio per il nostro bene e non necessariamente per il bene di chi ci ha offesi o danneggiati. 

Perdonare ci fa del bene. Ci toglie il desiderio di vendetta. Ci spinge ad avere compassione verso chi ci ha fatto del male. Intenerisce e ammorbidisce il nostro cuore. Scioglie quel groppo di rabbia che ci pesa e ci fa stare tanto male. 

Il perdono è la medicina che guarisce (e guarirebbe se fosse più praticato) mille screzi nelle famiglie, nelle chiese, nelle comunità. E ci permetterebbe anche di “benedire” chi ci ha offeso con le nostre preghiere per il loro ravvedimento e, forse, ammorbidimento. 

Lo trovate ancora impossibile? Allora ascoltate le parole solenni di Gesù e prendete dei provvedimenti: “Se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6:15). A buon intenditor…

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Angeli il più possibile

“Ma cosa è quella schifezza?” ha chiesto la figlia di alcuni nostri amici che avevamo invitato a pranzo.

“Ma cosa è quella schifezza?” ha chiesto la figlia di alcuni nostri amici che avevamo invitato a pranzo.

“Tesoro, è la schifezza che noi mangiamo la domenica” ho risposto col mio migliore sorriso. “Spero che ti piacerà”. L’ha mangiata. E spero che abbia imparato le buone maniere.

Essere ospiti e ospitare è una cosa bellissima, raccomandata nel Nuovo Testamento in modo particolare. “Non dimenticate l’ospitalità; perché alcuni praticandola, hanno ospitato angeli” (Lettera agli Ebrei 13:1), “esercitate con premura l’ospitalità” (Romani 12:14).

Ai tempi del Signore l’ospitalità era essenziale per chi viaggiava. Gli alberghi erano spesso taverne poco raccomandabili e la cosa migliore era trovare degli amici o delle persone gentili che aprissero la loro casa. L’ospitalità era considerata praticamente un dovere di normale cortesia. Forse per questo gli scrittori del Nuovo Testamento hanno parlato, come incentivo, del possibile privilegio di ospitare degli angeli, e hanno incoraggiato a ospitare “con premura”, cioè impegno e amore. E non “desiderando di non doverlo fare” come dice una moderna traduzione inglese.

Sia come sia, anche oggi ospitare e essere ricevuti in casa d’altri è bellissimo.

Ospitare è un’arte. Bisogna che chi sta sotto il nostro tetto senta di essere il benvenuto, ricevuto come un membro della famiglia, circondato (ma non soffocato!) da gentilezza e messo a suo agio. Rispettato, ma non trattato e riverito come se fosse il cugino del re d’Inghilterra, tanto da metterlo in imbarazzo. Accolto e aiutato, ma non costretto a conversazioni continue e, a volte, banali. Lasciato anche in pace, se lo desidera.

I figli di chi ospita si devono abituare a essere gentili coi visitatori, a cedere, se necessario, il loro letto e a non essere curiosi o invadenti. E a non intromettersi nelle conversazioni degli adulti.

Anche chi è ospitato deve avere degli accorgimenti. Tipo?

Non chiede cibi speciali. Se qualcosa non gli piace non fa storie e la mangia. Se ha delle intolleranze o delle allergie lo comunica con gentilezza alla padrona di casa (una mia amica celiaca si portava in valigia la sua pasta speciale). Se preferisce un materasso duro e il letto che gli viene offerto ne ha uno molle, sta buono e zitto senza lamentarsi. La mattina dopo non proclama che ha il male di schiena.

Attenti anche nell’offrire aiuto e nel voler collaborare a tutti i costi con la padrona di casa. Certe donne non vogliono nessuno in cucina e preferiscono fare da sé. Allora si lasciano in pace e si cerca, magari, di giocare con i suoi bambini e, soprattutto, di sorvegliare i propri.

Molti anni fa, ho conosciuto e ospitato un predicatore itinerante che chiedeva “l’onore” di asciugare i piatti e diceva: “Dimenticheranno quello che ho detto, ma ricorderanno quello che ho fatto”.

Oggi, in quasi tutte le case c’è la lavastoviglie e la sua offerta sarebbe forse inutile. Dovrebbe trovare qualche altro modo per essere ricordato con piacere. Facciamolo anche noi.

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Tre, sedici



Questo accoppiamento di numeri a cosa ti fa pensare? Se sei un pagano, a un ambo da giocare al Lotto. Se sei evangelico, ti viene subito in mente il versetto del Vangelo di Giovanni (capitolo 3, versetto 16) che contiene in poche parole tutto il messaggio della salvezza. “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna”

È un versetto così conosciuto che anche i bambini della Scuola domenicale lo conoscono e lo sanno recitare senza sbagli.

C’è però anche un altro 3:16, sempre scritto dall’Apostolo Giovanni nella sua prima lettera, che è un po’ meno conosciuto, ma che è il complemento perfetto del 3:16 del Vangelo. Eccolo: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Gesù ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrà l’amore di Dio essere in lui?”.

È anche il commento molto appropriato al passo della Lettera ai Romani, che abbiamo seguito ormai da qualche settimana. Dopo aver detto di perseverare nella preghiera (ne abbiamo parlato la volta scorsa), l’Apostolo Paolo incoraggia a provvedere alle necessità di chi è nel bisogno, soprattutto se fa parte della chiesa.

L’amore cristiano, spiegato nella Bibbia, è molto pratico e spinge all’azione.

La parabola del buon Samaritano lo descrive perfettamente, insegnato proprio da Cristo. Se non la conoscete, la trovate nel capitolo 15 del Vangelo di Luca.

·        È un amore che rischia (i banditi che avevano aggredito il viandante, potevano essere ancora nelle vicinanze, e assalire anche il Samaritano),
·        È un amore che agisce e non si tira indietro (il Samaritano curò le ferite e le piaghe, forse repellenti, dello sconosciuto),
·        È un amore che usa i mezzi che ha e si ingegna (le medicine sono state vino e olio).
·        È un amore che si sacrifica (mise il ferito sul suo cavallo o mulo e lo portò fino a un albergo). Era una strada impervia, certamente senza stazioni di servizio o motel, e forse il soccorritore ha dovuto fare una strada diversa da quanto aveva previsto.
·        È un amore che mette la mano al portafogli. Il Samaritano provvide alle necessità del poveretto. Quando sono coinvolti i soldi, le scuse sono sempre pronte.
·        È un amore che dura nel tempo. Il Samaritano promise di continuare a aiutare se necessario.

Anche oggi ci sono banditi per strada e gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno. E sono anche all’ordine del giorno i racconti di mancato soccorso da parte di passanti e testimoni. Ma senza guardare a possibili catastrofi future, ci sono vicini soli che vorrebbero una visita, malati che gradirebbero una telefonata, mamme con bambini piccoli che apprezzerebbero una baby-sitter che permettesse loro di andare a fare un po’ di shopping in pace e extra-comunitari che gradirebbero un pranzo che non fosse sempre quello della Caritas. E, addirittura, ci sarebbero alcuni vecchi che non disdegnerebbero un aiuto per pulirgli la casa o gli andasse a stirare una camicia.
 
Pensiamoci.
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Umiltà nel perseverare

Uno dei nostri figli, quando si metteva in mente una cosa, finché non la otteneva non si dava pace. E dai, e dai, e dai. Finché non la vinceva.

Poteva essere comperare una certa maglietta di un certo colore e con un certo colletto o riuscire a andare da qualche parte o che so io, non mollava. Questo gli aveva fatto appioppare dai suoi fratelli il nomignolo di “fratello perseveranza”. Una qualità che ancora non ha perso dopo cinquant’anni.

La perseveranza è importante nella vita.

Per conseguire un diploma o una laurea ce ne vuole una dose considerevole.

Per finire un lavoro che si è iniziato, e che richiede impegno, bisogna perseverare.

Per educare i figli, la perseveranza accompagnata dalla pazienza è indispensabile (Isaia 28:10 dice: “Precetto dopo precetto, linea dopo linea. Un poco qui e un poco lì”).

E la perseveranza è anche indispensabile perché un matrimonio riesca bene. L’Apostolo Paolo ha esortato i credenti a perseverare nella preghiera (Romani 12:12) e Gesù ha perfino raccontato una parabola proprio per esortare i suoi seguaci a “pregare senza stancarsi”. La potete leggere nel Vangelo di Luca18:1-18.

 La preghiera è un mistero che capiremo completamente solo quando saremo in cielo. Io parlo a Dio qui sulla terra e Lui mi ascolta ovunque sono. Io chiedo qualcosa e lo Spirito mi aiuta in quello che chiedo. E Gesù, che è il mio unico mediatore, fa da tramite fra me è il Padre. Una mia preghiera coinvolge, dunque, tutta la Trinità. Che meraviglia!

Io devo chiedere qualsiasi cosa che mi sembra buona senza pretendere nulla (“non la mia ma la tua volontà sia fatta”), pur sapendo che Dio mi può dare tutto (nulla è impossibile a Dio). D’altra parte, Egli è anche il mio Padre buono e sovrano che sa quello che è bene per me e per i miei cari, per cui mi concederà quello che è giusto, utile e proficuo per me o per la persona per la quale prego.

Devo abituarmi perciò a pregare secondo quello che dice la Bibbia e quello che essa insegna. Non posso chiedere e aspettarmi sempre prosperità e buona salute, come ricompensa della mia fedeltà, come era promesso da Dio a Israele.

Oggi viviamo in un altro periodo delle azioni di Dio verso i suoi. Le sue benedizioni per la chiesa sono più spirituali che materiali, anche se Dio ci promette di provvedere il necessario per vivere. Gesù ha insegnato a chiedere il pane quotidiano, ma non il burro da spalmarci sopra o come companatico della bistecca quotidiana.

Dio ha promesso di portare a compimento la sua opera spirituale cominciata in chi si è convertito sinceramente a Cristo. Su questa base, prego con fede, anche contro speranza, per chi si è allontanato dal Signore.

Credo che Lui riporterà a sé chi veramente gli appartiene. L’ho visto succedere molte volte. Non penso che la promessa fatta personamente al carceriere di Filippi, riguardo alla conversione di tutta la sua famiglia, si possa applicare onestamente a tutti i parenti non credenti di tutti gli altri figli di Dio.

Non credo neppure che ci si possa attaccare alle parole del Salmista che diceva: “Mille ne cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma tu non ne sarai colpito” (Salmo 91:7) e chiedere incolumità costante in ogni situazione. Molti bravi credenti sono morti in guerra e altri sono morti in circostanze inaspettate o di pericolo.

Il Signore ci ha dato il buon senso per aiutarci nelle nostre richieste a non fare gli offesi se a volte ci dice “no”, oppure “aspetta”.

Dunque, bisogna con umiltà, sottomissione e pazienza perseverare nelle nostre richieste e nelle nostre preghiere. Se la risposta sarà “sì”, gloria a Dio! .

Rallegratevi!

Dopo la mia parentesi in ospedale, torniamo alle meditazioni, sulle buone raccomandazioni dell’Apostolo Paolo contenute nel capitolo 12 della lettera ai Romani.

L’ultima raccomandazione di cui abbiamo parlato riguardava il servizio. L’esortazione di oggi è bellissima: “Siate allegri nella speranza”.

Per il credente, la gioia è un ordine. “Siate allegri”, gioiosi, felici. In un’altra sua lettera, quella ai credenti di Filippi, Paolo ripete molte volte: “Rallegratevi, da capo vi dico: rallegratevi!”.

“Ma rallegratevi per che cosa?” chiedete. Con l’aria che tira, la crisi e il governo che cambia non c’è molto, se non niente, per stare allegri.

Giusto. Certamente, non mettiamo le nostre speranze negli uomini. Tempo fa ho sentito un comico che diceva: “I politici fanno promesse a cui non credono, nella speranza che ci credano i cittadini”. Parole sante.

La nostra gioia, vera e duratura, dipende da ben altro.

“Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” ha detto Gesù ai discepoli che si compiacevano dei loro successi spirituali (Luca 10:20). E subito dopo ha pregato per ringraziare il Padre perché le cose profonde di Dio le capiscono le persone semplici, e non i “savi e gli intelligenti”.

Se hai accolto Gesù nel tuo cuore, hai accettato il dono della sua salvezza, automaticamente il tuo nome è stato scritto nei registri del cielo, in quello che la Parola di Dio chiama il libro della vita. E nessuno lo può cancellare. Perciò hai tutti i diritti di rallegrarti!

La gioia di appartenere al Signore per sempre deve essere la fonte della nostra gioia. Una gioia che deve traboccare in testimonianza.

Perciò parliamo della nostra fede. Rallegriamoci di poterlo fare. Quando qualcuno accetta il messaggio del Vangelo e si salva, c’è festa in cielo e nel nostro cuore.

E quando le cose vanno male, e ci sono problemi, che si fa? Paradossalmente, l’ordine è di nuovo quello di rallegrarsi. Ascoltiamo l’Apostolo Pietro: “Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi [le persecuzioni che voi subite] per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano” (v. 12).

Oggi va di moda, in alcuni ambienti il “vangelo del benessere” per cui si predica che il vero credente non avrà mai problemi di salute o finanziari. Niente di più cretino! La Parola di Dio non ha mai promesso niente di simile. Anzi, Gesù stesso ha avvisato che i suoi seguaci avrebbero avuto tribolazioni.

Ascoltiamo di nuovo Pietro: “Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché al momento della rivelazione della sua gloria, possiate rallegrarvi e esultare. Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi!” (vv. 13,14).

Oggi viviamo in una certa pace e con libertà. Rallegriamoci.

E se domani dovesse finire? Continuiamo a rallegrarci. Il meglio deve ancora venire!
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