Gesù è Dio - eterno, immutabile



“Che cosa vuol dire immutabile?” (a me quella parola suonava come “avvitabile”) ho chiesto a mia mamma, guardando una foto che mio padre le aveva dedicata “con affetto immutabile”. 

“Vuol dire che è sempre uguale” è stata la sua spiegazione e io ho pensato che una cosa sempre uguale, magari da avvitare tutto il tempo, doveva essere una gran pizza. 

Più tardi, ho capito che si trattava di un amore che non cambiava nel tempo (e l’amore dei miei  genitori è stato di quel tipo), e che era una gran bella cosa.
Più avanti ho capito anche  che “l’immutabilità”  è anche uno dei caratteri di Dio. Con la differenza che un amore umano, una volta o l’altra, se finisce la vita terrena, almeno da una parte, non esiste più. Mentre l’amore di Dio che è eterno, dura per sempre e non cambia mai. Fa parte del suo carattere. Dio è immutabile, perché è eterno. Egli è da sempre e per sempre, l’eterno IO SONO, Iahvè.

Il Signore si è presentato con questo appellativo a Mosè quando lo ha chiamato ad essere il liberatore del popolo dalla schiavitù in Egitto e così è chiamato attraverso tutto l’Antico Testamento.

Egli ha detto al suo popolo: “Sotto a te, stanno le braccia eterne” ( Deutronomio 33:27); “con un amore eterno avrò pietà di te”, “Io fermerò con voi un patto eterno” (Isaia 54:8; 55:3); “Io ti amo di una amore eterno” (Geremia 31:3).

Gesù, essendo Dio incarnato, aveva tutto il diritto di presentarsi anche Lui come l’IO SONO. A dei sacerdoti che non credevano in Lui ha affermato: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, IO SONO” (Giovanni 8:58) e i sacerdoti, per tutta riposta, presero delle pietre per lapidarlo.

Parlando ai suoi discepoli,  ha ripetuto spesso il suo “IO SONO” aggiungendo alcune caratteristiche, come io sono il pane, la luce, la verità, la vita, la via che porta al Padre, la porta, il buon pastore.  Quando è stato arrestato, le guardie hanno chiesto di Gesù di Nazaret,  e lui ha risposto “IO SONO”. Le guardie sono cadute a terra dallo spavento.

“Ma, se dovessimo spiegare a un bambino, che cosa significa essere eternamente immutabile, cosa potremmo dire?” chiedete.

Se siete mamme o insegnanti di scuola domenicale, ve  lo chiederanno. Ricordo che, quando i miei bambini non erano ancora in età scolare, sono venuti, tutti insieme, a chiedermi cosa volesse dire “eterno”. Io ho risposto che si trattava di un domani, e poi di un altro domani, e poi di un altro domani senza mai fermarsi. Non sapevo dire niente di meglio. Ma penso che lo ridirei.

Se dovessero venire a chiedere il significato di “eternamente immutabile” (onestamente dubito che si esprimerebbero così e se lo facessero sarebbero dei genii), penso che si dovrebbe dire che Dio oggi è buono, ci vuole bene e vuole darci cose buone, e che anche domani sarà buono e dopodomani sarà sempre buono. E, per essere sicuri che ci capiscono, diremo che domani non sarà mai cattivo e che, finché ci saranno dei domani, non sarà mai cattivo. Che oggi è giusto e domani e in tutti i domani che verranno sarà giusto. E così avanti.  E, per spiegarci ancora di più, diremo anche che non cambia mai idea.

A quel punto, saranno pronti a tornare a giocare carichi di teologia.

La Bibbia afferma che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8) e Dio Padre stesso dice di Lui: “Tu rimani lo stesso, i tuoi anni non avranno mai fine” (Ebrei 1:12). Nel congedarsi  dai suoi discepoli, Gesù ha affermato: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:20).

La nostra mente esplode al pensiero dell’eternità, ma il pensiero di un Dio che non cambia, di cui ci si può fidare oggi e domani, esattamente come ce ne siamo fidati ieri, che è eternamente buono, giusto, santo, fedele, tenero, equilibrato e compassionevole, dovrebbe riempirci di tranquillità e di riconoscenza. Non solo nei momenti in cui le cose vanno bene, ma anche e soprattutto, in quelli in cui ogni cosa sembra andarci storta,  i problemi si accavallano e ci sembra che nessuno ci capisca. Dico bene? Mi pare di sì!
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Gesù è Dio: è onnipotente



Gesù, accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, erano appena scesi dal monte. I discepoli erano ancora sbalorditi da quello che era successo: mentre erano lassù sul monte, a un tratto, Gesù era stato rivestito della sua gloria, e erano apparsi accanto a Lui Mosè e Elia. I tre parlavano insieme della morte che Gesù avrebbe subita.

Poi una nuvola li aveva avvolti. Mosè e Elia erano spariti e Gesù era rimasto da solo con loro. In più, aveva detto loro di non raccontare quello che era successo, se non dopo la sua resurrezione. Come spesso succedeva non avevano capito le parole di Gesù e si domandavano cosa avesse voluto dire, parlando di resurrezione.

Arrivano ai piedi del monte e una folla corre verso Gesù. Erano tutti in agitazione e concitati.

“Di che cosa state discutendo ?” chiede Gesù.

Un uomo accalorato, con lo sguardo disperato, comincia a raccontare. “ Sono il padre di un ragazzo che sta male, male, ma proprio male. Ha un demonio addosso... è muto, e quando il demonio si impadronisce di lui, dovunque sia, cade, bava dalla bocca... diventa tutto rigido... è caduto nell’acqua e nel fuoco.... Ho chiesto ai tuoi discepoli di guarirlo, ma non ci sono riusciti...”

Gesù esclama con infinita pazienza: “Generazione incredula... fino a quando vi sopporterò? Portatemelo qui!”.

Portarono il poveretto da Gesù e il padre disperato dice qualcosa come: “Vedi in che stato è... se puoi riuscirci tu...”.

“Se puoi! Ogni cosa è possibile a chi crede!” esclama Gesù.

E il padre, con onestà totale, risponde: “Io credo, vieni in aiuto alla mia incredulità”.

Gesù sgrida il demone, gli ordina di andarsene definitivamente al ragazzo. Il ragazzo è guarito.

Gesù ha espresso la sua onnipotenza. Niente gli si oppone: ha calmato il vento, acquietato la tempesta, cambiato l’acqua in vino, ha moltiplicato i pani, ha guarito ogni specie di malattia, ha risusictato dei morti. Ha affermato: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra”, prima di tornare risuscitato in cielo.

Esattamente come aveva detto Dio nell’Antico Testamento, quando era apparso a Abramo, che allora  aveva ben novantanove anni: “Io  sono l’Iddio onnipotente (El-Shaddai): cammina alla mia presenza e sii integro e io stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò  grandemente” (Genesi 17:2).

È vero che la gente a quei tempi viveva a lungo, ma avere un figlio a quell’età, da una moglie molto vecchia pure lei, richiedeva un bel po’ di fede. Ma Abramo credette a Dio, anche se con una certa titubanza. E la promessa si realizzò.

Dio è onnipotente. Sia da Abramo sia dal padre del ragazzo epilettico e indemoniato c’è una grossa lezione da imparare. Abramo credeva, quel povero padre ha creduto, ma la realtà, che avevano sotto agli occhi, era tale che nella loro fede si insinuava l’incredulità.

Spesso succede esattamente lo stesso a noi. Crediamo con la testa, sappiamo che Dio può tutto, e allo stesso tempo il nostro cuore vacilla.

Non credo che Dio si spaventi: l’importante che siamo integri, come Dio aveva chiesto a Abramo, e che siamo onesti come il padre del ragazzo  e diciamo con piena sincerità: “Io credo, vieni in aiuto  alla mia incredulità” e che ci affidiamo a un Dio onnipotente.
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Gesù è Dio: è creatore



Gesù era a Gerusalemme e il momento della sua morte si stava avvicinando. L’ostilità dei farisei e dei sacerdoti era palpabile.

Egli camminava in una strada coi discepoli. Un  cieco attirò l’attenzione di questi: era cieco dalla nascita. Era nato senza occhi. Poveraccio!  

“O lui o i suoi genitori devono essere, o devono essere stati, dei grandi peccatori, per aver meritato una punizione simile!” pensarono. Lo chiesero al Signore e Lui disse che no, i peccati non c’entravano. Era nato così perché fosse una testimonianza della potenza di Dio. Poi fece una cosa strana.

Si chinò per terra, fece del fango con la sua saliva e con la polvere, ne fece una poltiglia e la spalmò al posto degli occhi del cieco. Poi gli disse: “Va’, lavati nella vasca di Siloe”.

Il cieco ci andò e tornò che ci vedeva! Aveva degli occhi! La gente era stupita.

Qualcuno diceva che era lui, altri affermavano che fosse uno che gli assomigliava. Lui diceva: “Sono proprio io! Ero cieco e ci vedo!”.

Per quello che ne sappiamo dai Vangeli, Gesù non aveva mai fatto un miracolo con una procedura simile. Aveva guarito centinaia, migliaia di persone, ma questo metodo era diverso. Perché? Forse, come recitando una parabola, voleva far capire qualcosa ai religiosi che lo disprezzavano?  Non lo sappiamo, anche se, prima di operare il miracolo, aveva detto: “Bisogna che io compia le opere di Colui che mi ha mandato... mentre io sono nel mondo, io sono la luce del mondo”.

Questa meravigliosa storia e la sua conclusione si trovano nel capitolo 9 del vangelo di Giovanni. Leggila per conto tuo: è straordinaria.

Se facciamo un immaginario e gigantesco passo indietro, arriviamo al sesto giorno della creazione.  Nel libro della Genesi 1:26, Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine...” e in Genesi 2:7 sta scritto: “Dio il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra e gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente”. Dio non creò l’uomo dal nulla, come fece per il resto della creazione, ma lo formò. 

Gesù usò esattamente lo stesso metodo per formare gli occhi del cieco nato. Egli, come Dio, fece del fango e quel fango prese vita. Divenne materia vivente. Gesù è creatore e fin dal principio ha creato insieme con Dio. Sembra un mistero incomprensibile? Non completamente, se ci fidiamo di quello che la Bibbia dice. 

La Genesi afferma che, alla creazione,  lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque e  Dio parlò. Disse: “Sia la luce e la luce fu” ...  La Trinità era, dunque, presente alla creazione: Dio, la sua Parola e lo Spirito.  

L’Apostolo Giovanni, proprio quello che ha descritto la guarigione del cieco, all’inizio del suo Vangelo  spiega molto chiaramente che  “nel principio era la Parola, la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei nessuna cosa fatta è stata fatta” (1:1,2). E più avanti dice : “La Parola è diventata carne (Gesù) e ha abitato per un tempo fra noi...” (1:14). Il mistero diventa più chiaro, no?  La “Parola” che creò il mondo è la “Parola” che fece gli occhi del cieco.

Che cosa fa ora la Parola? È il Figlio di Dio, salito in cielo col suo corpo risuscitato e, in questo stesso momento, “il Figlio di Dio, mediante il quale Dio ha creato i mondi, che è lo splendore della gloria di Dio e l’impronta della sua essenza, sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza. Dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi” (Ebrei 1:2,3) e l’Apostolo Paolo afferma: “Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in Lui” (Colossesi 1:16,17).

La Parola non solo ha partecipato alla creazione, ma oggi sostiene (tiene insieme) la creazione stessa.

E questa Parola, tornata in cielo con un corpo glorioso e trasformato, è anche il Salvatore e Signore di chi crede in Lui.  Tu ci hai creduto ?
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Gesù–“Rafa” ha guarito Jolanda


Ero molto giovane e ero da poco arrivata a Milano per lavorare coi GBU, insieme a Georgia, una collega americana. La città movimentata e con un traffico a cui non ero particolarmente abituata, mi attraeva. I milanesi mi sembravano simpatici e abbastanza aperti al Vangelo. Le prospettive erano buone.

Un giorno, squilla il telefono: “Maria Teresa, c’è un ragazzina all’ospedale. È figlia di miei conoscenti. È molto malata. Puoi venire a visitarla con me?”.

Ho accettato con piacere. L’ospedale era grande e sembrava ben organizzato. La persona che mi aveva telefonato era lì che mi aspettava.

“Grazie di essere venuta. Devo dirti che Jolanda è malata di tumore... povera bambina, ha solo dodici anni... i medici non danno speranze... I parenti le dicono un monte di bugie e non vogliono che lei sappia che ha il «brutto male» (allora il cancro lo chiamavano così e guai a nominarlo col suo nome!)... 

Non sono  credenti. Vedi un po’ tu...”

“Vediamo un po’...”  ho detto salendo le scale verso il reparto.

Jolanda era molto bella, capelli neri lisci, occhi grandi e un po’ malinconici. Un sorriso attraente.

“Mi chiamo Maria Teresa, mi hanno detto che ti piacciono le visite. Sono amica di Vera e sono venuta con lei a trovarti...”

“Grazie, mi fa piacere!” fece Jolanda.

“A Jolanda piacciono le visite” è intervenuta la mamma che sedeva accanto al letto, mandandomi uno sguardo complice, come per mettermi in guardia. “Sa, dovrà stare qualche settimana qui in ospedale, finché non le passa l’infiammazione... Poi ce la riportiamo a casa guarita! Vero, tesoro?”

“Speriamo...” sospirò Jolanda.

“Ma che speriamo! Certamente!” ribatté la mamma.

Dopo un po’ di conversazione per informarmi sulla scuola, le amiche, l’età, le preferenze di lettura di Jolanda, i film che aveva visto, mi sono congedata: “Ciao, Jolanda. Mi stai simpatica, tornerò  a trovarti! Ti lascio questo libretto da leggere”. Era un Vangelo.

La mamma ci ha accompagnate, Vera e me, fino alle scale, piangendo e dicendoci che a Jolanda restavano solo poche settimane di vita, ma che non la volevano spaventare e perciò facevano finta di niente. “Mi raccomando, fate lo stesso!” ha supplicato.

Sono tornata a trovare Jolanda e ogni volta, come sentinella accanto al suo lettino, c’era almeno un parente. Se non ce n’erano due o tre. La consegna del silenzio era ferrea. Eppure volevo riuscire a parlare a quella bambina del Vangelo e della salvezza!

Finalmente, dopo una paio di mesi,  hanno rimandato a casa Jolanda, perché proprio non c’era più niente da provare. Sono andata a casa sua a trovarla. Prima di uscire avevo pregato, forse anche contro speranza, che potessi rimanere da sola con lei.

Jolanda era pallida, smunta, pelle e ossa. Si vedeva chiaramente che era alla fine.  Avevo sperato che il Signore esaudisse la mia preghiera. Invece, sembrava che tutto il parentado fosse  riunito in quella stanza! Ho preso per mano la Jolanda e le ho chiesto come stava.

“Male!” mi ha risposto.

Suona il campanello della porta e tutti i parenti corrono a vedere chi è. Resto da sola con la malata. Dio mi stava rispondendo?!

“Jolanda, tu stai molto male, vero?”

“Sì, lo so che sto morendo, ma faccio finta di credere alle  bugie che mi dicono... per non farli più tristi...”

Le ho stretto la mano che sembrava un pugnetto di ossa. Avevo portato con me un’illustrazione di un pastore che teneva una pecora in braccio e le ho detto che Gesù era il buon Pastore che la voleva portare in braccio in cielo, che le voleva pulire il cuore da ogni peccato, se lei glielo chiedeva... Lui era morto per darle un cuore pulito e aveva pagato per ogni cosa brutta che lei aveva fatto o pensato.

“Ma come faccio a dirglielo?” disse Jolanda con occhi imploranti.

“Gesù è qui e ti sente. Usa le tue parole: gli dici di pulire il tuo cuore e lo ringrazi perché è morto per te”.

“E questo basta?”

“Sì!”

Jolanda chiuse gli occhi e disse: “Gesù voglio venire con te. Grazie perché sei morto per pulire il mio cuore. Vieni presto!”.

In quel momento, come per incanto, i parenti ricomparvero.

Jolanda aveva chiuso gli occhi. Sembrava che dormisse tranquilla.

“Quando lei viene, è sempre contenta” disse la mamma.

“Tornerò” ho promesso.

Dopo due giorni, Jolanda era in cielo. Il Buon Pastore aveva esaudito la sua preghiera. E anche la mia.
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Gesù è Dio: Egli guarisce


“Quando c’è la salute c’è tutto!” si dice. Certamente, la salute è un grande tesoro. Quando stai bene, tutto è più facile e anche i problemi li affronti con più coraggio e ottimismo.

Ma la salute non è tutto. Conosco tante persone che stanno bene in salute, ma che non sono contente. Hanno dispiaceri in famiglia, problemi al lavoro, difficoltà a relazionarsi con colleghi, insicurezze finanziarie, ferite morali profonde.

Quando Gesù era sulla terra non c’erano ospedali, i medici erano più stregoni che altro e i malati erano a centinaia. Basta leggere i Vangeli per rendersene conto.

Gesù guariva tutti quelli che gli si avvicinavano:  gli zoppi camminavano, i ciechi vedevano, i paralitici si muovevano ad un suo ordine, gli storpi si raddrizzavano. Egli guariva anche a distanza. In più, i demoni fuggivano e chi era stato tormentato diventava sano. Erano guarigioni che dimostravano la  potenza del Signore, ma che, a volte, erano solo fisiche.

Le guarigioni più importanti erano quelle spirituali. A molti Gesù diceva: “La tua fede ti ha salvato... Ti sia fatto secondo la tua fede”... “Tutto è possible a chi crede.... Infatti, chi credeva in Lui come Messia e Signore, riceveva, oltre alla salute del corpo, anche una guarigione profonda che sarebbe durata per tutta l’eternità: la guarigione dell’anima.

Uno dei titoli di Dio, nell’Antico Testamento, è “Rafa” (Colui che guarisce). Si trova nel Libro dell’Esodo (15:26).  Dio si rivelò a Mosè, dopo avere operato per mezzo di lui, un grande miracolo, dicendo: “Se tu ascolti attentamente la voce del Signore, che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che io ho inflitte agli Egiziani, perché io sono l’Eterno, Colui che ti guarisce”.

Il  Salmista Davide lodava Dio dicendo: “Anima mia benedici il  Signore... Egli è colui che guarisce ogni tua infermità e molti sono i racconti di guarigioni miracolose tramandati nell’Antico Testamento.

Gesù, guarendo fisicamente tanti infermi ha dimostrato ai suoi contemporanei di essere “Rafa” e, con la sua morte e resurrezione ha adempiuto quello che era stato profetizzato da Isaia, cioè di essere il Redentore “Rafa”, “Colui che ti guarisce” spiritualmente: “Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo pace, è caduto su di Lui e mediante le sue lividure noi siamo guariti. Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via: ma il Signore ha fatto ricadere su Lui l’iniquità di noi tutti” (53:5,6).

Nel Nuovo Testamento, Dio non promette di dare buona salute a tutti suoi figli. All’Apostolo Paolo, che aveva un male che lo faceva soffrire e da cui aveva chiesto di essere liberato, disse: “La mia grazia ti basta” (2 Corinzi 12:9). Paolo stesso, che aveva fatto miracoli di guarigione, ha scritto a Timoteo di avere lasciato “Trofimo, infermo a Mileto” (2 Timoteo 4:20) e ha consigliato a Timoteo di prendere del vino come rimedio  “per il  suo stomaco e le sue frequenti indisposizioni” (1 Timoteo 5:23). Dio a molti credenti oggi non concede la guarigione, né miracolosamente né per mezzo di cure mediche. Egli sa che cosa sia bene per i suoi figli e opera secondo la sua volontà.

A noi fa tanto piacere stare bene e lo lodiamo per la salute che ci concede. Ma sappiamo pure che un giorno morremo e che quello che veramente è importante è che Egli sia l’Iddio-Rafa della nostra anima.

Glielo hai chiesto? Hai accolto nella tua vita il Signore Gesù come Salvatore? Lo spero di cuore!

La prossima volta, vi racconterò la storia di Jolanda. Una ragazzina che ha trovato in Gesù, la sua guarigione.
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Gesù è Dio: È la mia bandiera


Quando il popolo d’Israele si metteva in marcia nel deserto, tribù dopo tribù ordinatamente, ogni gruppo aveva la sua bandiera. Deve essere stato uno spettacolo imponente.

Era una strada lunga e difficile. Una volta, proprio mentre erano in cammino verso la Terra Promessa, gli Israeliti dovettero affrontare in battaglia un popolo crudele, gli Amalekiti. Mentre combattevano, guidati da Giosuè nella pianura, su un monte non lontano, Mosè pregava con le braccia alzate. Quando era stanco, Aronne e Hur gliele reggevano. Finché  Mosè pregava, l’esercito vinceva. Se Mosè smetteva di pregare, l’esercito perdeva. Alla fine della giornata, la vittoria fu totale. Un giorno memorabile.

A ricordo della grande vittoria, Mosè edificò un altare e lo chiamò l’Eterno è la mia bandiera.

Gesù non ha mai combattuto con le armi, ma passava anche Lui notti intere pregando e parlando con suo Padre nel cielo. E, da quando è tornato in cielo, col suo corpo glorificato, giorno e notte intercede per noi credenti, in qualità di Mediatore e Avvocato difensore fra Dio e gli uomini (1 Timoteo 2:3; 1 Giovanni 2:1; Apocalisse 12:10). Le sue braccia non sono mai stanche.

Gesù non ha mai lasciato ai suoi una bandiera, per marciare contro il nemico. Le armi dei credenti non sono spade e lance. Sono armi spirituali.

Però, forse, una specie di bandiera,  di insegna o di stendardo, c’è. A me pare che si possa trovare in un libro dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici. 

È un libro scritto da Salomone ed è soprattutto la descrizione del suo idillio con la sua donna amata. Molti studiosi biblici hanno visto in questo libro una descrizione della relazione fra Cristo e la sua sposa la chiesa, forse anche per giustificarne la presenza nella Bibbia, dato il contenuto.

Sia come sia, è una descrizione bellissima della passione corrisposta di Salomone per una ragazza, che dice di sé: “Sono scura, ma sono bella” e, a un certo punto, racconta: “Egli mi ha condotta nella casa del convito, l’insegna che stende su di me è AMORE” (2:4).  Ecco la bandiera!

Gesù è venuto nel mondo perché l’amore di Dio, suo Padre, lo ha mandato a compiere l’opera di redenzione (Giovanni 3:16; 1 Giovanni 4:8-10), e Lui ha amato i suoi fino alla fine (Giovanni 13:1), fino a morire sulla croce. Ciò che lo spingeva era l’AMORE per i perduti, che gli apparivano come pecore sbandate e senza pastore.  L’amore era la sua bandiera.

Noi non andiamo attorno sbandierando stendardi e portando cartelli, con su scritto a caratteri   AMORE (cosa che sarebbe perfino fraintesa). Perfino le “Marce per Cristo”, di anni fa, non hanno sortito grandi effetti, con tutta l’organizzazione e la propaganda che le accompagnavano.

Quello che  dovrebbe accompagnarci sempre e ovunque, invece, è l’amore di Cristo. Dovrebbe animarci fra le masse di gente che incontriamo ogni giorno per strada, nei negozi, nei grandi Centri commerciali, nella Metro, nell’ufficio dove lavoriamo, nella scuola che frequentiamo, alla spiaggia e nei parchi dove giocano i nostri bambini.  

Noi dovremmo essere delle insegne luminose, degli stendardi attraenti capaci di indicare la via della salvezza, in ogni occasione possibile e in ogni luogo. “L’Eterno è la mia bandiera!” ha proclamato Mosè.  Che insegna sventolo io? E tu?
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Gesù è Dio: È colui che provvede


Millenni fa, un padre e un figlio salivano verso la cima di un monte. Il padre teneva in mano una torcia accesa e un coltello. Andavano a offrire un sacrificio. Il figlio portava sulle spalle le legna per bruciare il sacrificio.

Quel padre era Abramo e suo figlio si chiamava Isacco. Il cuore di Abramo era molto pesante. Dio gli aveva chiesto una cosa tremenda: doveva sacrificargli suo figlio, ucciderlo, per dimostrargli la sua ubbidienza  totale. Abramo era disposto a ubbidire, ma il sacrificio richiesto era orribile. Ogni passo gli pesava come se avesse dovuto spostare un macigno.

A un certo punto, il ragazzo si rivolge al padre, forse pensando che il vecchio avesse dimenticato la cosa più importante: “Papà, il fuoco e la legna ci sono, ma dov’è l’agnello?”.

“Figliolo, Dio se lo provvederà l’agnello!”

Riprendono la salita fino alla cima del monte. Una volta arrivati, il padre accatasta la legna, ci lega sopra il figlio e sta per colpirlo col coltello. A quel punto l’Angelo dell’Eterno lo ferma e grida di non far male al ragazzo: “So che tu temi Dio, perché non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo!” (Genesi 22:12).

Abramo si volta e vede un montone con le corna impigliate in un cespuglio. Dio è grande! Aveva provveduto un animale per il sacrificio! Lo prende, lo scanna e lo offre a Dio. Isacco è salvo!

Poi esclama: “Questo posto lo chiamerò:  Dio provvede!” (Iavé-Irè, in ebraico). Che provvidenza!

Poco dopo, Dio gli parla una seconda volta e gli dice: “Io giuro per me stesso, dice il Signore, che siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l’unico tuo, io colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare... Tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia voce” (Genesi 22:15).

Da allora in poi, Dio ha continuato a benedire Abramo, nonostante le molte infedeltà dei suoi discendenti e le persecuzioni a cui sono stati sottoposti attraverso i secoli. È un vero miracolo che gli Ebrei, come popolo, esistano ancora. Ma quello che Dio promette, lo mantiene!

1900 anni dopo Abramo, Dio ha provveduto un altro Agnello, Gesù. Egli era Dio, esisteva da sempre con Dio e da sempre la sua venuta per la salvezza del mondo era stata prestabilita.

In un certo momento della storia, mentre regnava Cesare Augusto, questa venuta si è avverata. Concepito miracolosamente per opera dello Spirito Santo nel corpo di Maria, Gesù è nato a Betlemme ed è cresciuto come un bambino qualsiasi. Quando aveva 30 anni ha cominciato il suo ministero in Palestina. Non ha mai fatto mistero, sul suo mandato, sulla sua provenienza e sul fatto di essere il Figlio di Dio e di essere venuto per rivelare il Padre.

Per tre anni ha percorso la Palestina facendo del bene: guarendo, aiutando, predicando, provvedendo alle necessità del momento. Ha provveduto ( è stato Iavé-Iré) il vino, che era venuto a mancare durante un matrimonio, ha sfamato, in due occasioni, migliaia di persone, ha sanato i malati, ha risuscitato dei morti, ha consolato, esortato, ammonito le folle, comunicato le parole che aveva udito da suo Padre nel cielo. Ha sgridato, senza mezzi termini, i religiosi ipocriti e, addirittura, due volte ha purificato con violenza il mercato che si faceva nell’area del tempio.

A un certo punto, i religiosi hanno deciso che Gesù era un elemento troppo scomodo. Dovevano eliminarlo. E hanno creduto di farlo, convincendo i Romani a condannarlo. I Romani lo hanno crocifisso e, sulla croce, Gesù ha provveduto alla salvezza dell’umanità, caricandosi di tutti i peccati mai commessi da Adamo in poi e morendo come l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.

Egli è il nostro, il mio, Sostituto. Il Sostituto che non è rimasto nella tomba, ma è risuscitato vincitore, provvedendo salvezza a chiunque crede in Lui e lo riconosce come Signore. Tu, lo hai fatto?
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Oggi ho il magone


Pensavo che la parola “magone” fosse solo dialettale. Invece anche in un dizionario rispettabile come lo Zingarelli la elenca e significa “accoramento e dispiacere”. (Lo sapevate che si chiama “magone” anche il ventriglio del pollo? Davvero, se ne impara una nuova tutti i giorni... Perciò: evviva i dizionari!).

Ma torniamo al magone, che è un qualcosa che ti viene addosso per nessuna ragione specifica, ma è un po’ come una cappa di malinconia irragionevole, che ti fa vedere tutto grigio, antipatico e noioso.

Quando hai il magone, non sopporti i figli, il marito ti sembra pedante, i negozianti maleducati e i colleghi d’ufficio inefficienti e stupidi. Se è domenica, e vai in chiesa, la predica ti pare una pizza.

Se hai il magone, non solo tutti ti diventano antipatici, ma diventi antipatico anche tu. E divento antipatica anch’io. Perciò è meglio che ce lo facciamo passare.

Quando veniva a me, da giovane, cominciavo a farmi un profondo esame di coscienza per capire se c’erano in me dei peccati da confessare. Naturalmente, qualcosa trovavo sempre, perciò confessavo, pregavo e mi ripetevo il bellissimo versetto in 1 Giovanni 1:9: “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da perdonarci i nostri peccati e purificarci da ogni iniquità”. Magnifico!

Ma il magone troppo spesso rimaneva.

Ne parlavo con mio marito, il quale, da bravo psicologo, mi chiedeva: “Hai guardato il calendario?”. È vero: a volte il magone è fisiologico e noi donne ne andiamo soggette. Altre volte non lo è. E allora?

Con l’esperienza,  ho trovato un paio di rimedi molto semplici, validi per ogni età.

Il primo è proprio quello di cui ho già parlato. Il peccato mette tristezza e perciò è importante vedere se c’è in noi qualche perdono da chiedere o da dare, qualche amarezza da esaminare e risolvere, qualche preoccupazione latente  da lasciare nelle mani del Signore.

Se questa è la realtà, non c’è che da agire di conseguenza. Confessare, perdonare, risolvere e ... voltare pagina.

Il secondo rimedio l’ho trovato nella  Lettera di Paolo agli Efesini 5:19,20: “Parlandovi con salmi, inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore; ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore  nostro Gesù Cristo”.

Parlandovi con Salmi
Mentre riordini la cucina, o fai il letto, ripeti a alta voce il tuo salmo preferito. Se  è il Salmo 23, dopo averlo recitato, cantalo.

(Parlandovi con...) inni e canti spirituali
Io non ho mai avuto una grande voce. Ora che sono vecchia, non ne parliamo. Ma posso cantare “dentro”! E quanto canto! Mi vengono alla mente i bei canti dell’innario, alcuni canti in francese, altri in inglese. Me li canto dentro, con la loro melodia, che ritorna alla mente. Che meraviglia! Li ripeto, me li godo e non disturbo nessuno.

Salmeggiando col vostro cuore al Signore e ringraziando continuamente
Salmeggiare significa “cantare salmi”, “cantare lodi al Signore”.  Componiamo i nostri salmi e cantiamoli ringraziando. Tipo “Grazie, Signore,  perché ho una casa, il geranio è fiorito, la lavatrice funziona, i figli mi amano, mio marito lavora, ho pagato il mutuo...” Non importa se le rime non combaciano! Cantiamo col cuore!

Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo
Ringraziamo per il nostro Salvatore, il Mediatore, il Difensore, il Maestro, il Redentore,  l’Amico, il Signore! È Lui che ha reso e rende la mia comunione con Dio Padre possibile! Alleluia!

E il magone se ne va.
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